Per colmare il vuoto bisogna tornare più indietro, alle radici ancora fresche del nostro essere insieme come comunità nazionale. Il 25 aprile festeggeremo gli ottant’anni della Liberazione. Data fondativa della Repubblica, giorno di speranza e di fiducia
Il senso di una porta cui bussare, senza aprirla. Dobbiamo a Rino Formica, su Domani (27 dicembre), la riflessione più acuta sull’inizio del Giubileo cristiano. Papa Francesco che si ferma sulla soglia della porta della basilica di San Pietro e poi a Rebibbia, bussando, ha scritto Formica, è l’immagine di un mondo in decadenza, in cui la porta della speranza non può più essere aperta dall’esterno, ma solo dall’interno, da qualcuno che è di là.
Anche Michela Murgia aveva ragionato su questa figura, partendo dalla pagina del vangelo di Giovanni su Gesù che afferma di essere «la porta delle pecore», il recinto dell’ovile. «La porta è la soglia tra una divisione: lo spazio dell’ovile, cioè la sicurezza, e l’esterno, dove non c’è la protezione e il lupo è sempre in agguato. È l’idea che non ci siano modi di essere e di stare giusti e sicuri, liberante», commentava Michela, con consolazione. Mentre drammatica è la conclusione di Formica: nel mondo in cui «le condizioni generali della convivenza civile sono precarie, se non disfatte» vengono meno la dimensione cristiana della speranza e quella laica della fiducia.
La speranza e la fiducia sono le grandi assenti nel 2024 che si chiude. La speranza si infrange sui rapporti di forza e sull’uso della violenza per spazzare via il nemico, e con il nemico gli innocenti.
La fiducia appassisce nelle società liberali, prende le forme del non-voto o del voto anti-politico. L’impossibilità della speranza, l’eclisse della fiducia e la crisi della democrazia, ormai strutturale, rendono inadeguate e insopportabili le analisi routinarie di fine anno, le pagelle e i borsini dei leader e dei partiti, il segno più e il segno meno, in un campo sempre più disertato e dissestato.
Di Giorgia Meloni si esaltano la tenuta nel consenso, la stabilità, ma senza chiedersi a cosa servano, e che fine abbiano fatto le grandi riforme annunciate dalla premier nella conferenza stampa di inizio anno. Riposte in un cassetto (il premierato), smembrate dalla Corte costituzionale (l’autonomia differenziata), in iter accidentato (la separazione delle carriere dei magistrati).
La vera riforma non dichiarata è la durata al potere in sé, il grigiore è il colore che accomuna la presidente del governo italiano alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
Quello che è davvero avanzato è il processo di delegittimazione delle istituzioni della Costituzione entrata in vigore 77 anni fa, il primo gennaio 1948.
Il Parlamento, umiliato, ridotto nel corso degli anni a ufficio di vidimazione delle scelte dell’esecutivo, privato di rappresentanza democratica a colpi di liste bloccate, poi mutilato nei suoi componenti, con lo scellerato taglio dei parlamentari voluto dal Movimento 5 Stelle e approvato poi anche dal Pd dell’epoca, un cedimento senza contropartita.
Oggi la destra al governo riscuote l’incasso di anni di anti-parlamentarismo e lo porta alle estreme conseguenze, discussione zero, come riconosciuto perfino dal senatore di Fratelli d’Italia relatore sulla legge di bilancio. La magistratura è sotto attacco nella sua funzione di contrappeso rispetto all’esecutivo, quando si tratta di provvedimenti sui migranti e sui centri in Albania, il più grande fallimento del governo Meloni.
Tutto questo avviene nel vuoto. Non è il vuoto dell’opposizione, come ripetono quelli che in realtà vorrebbero indebolire anche l’unico puntello politico costruito nell’anno che si chiude, il Pd della segretaria Elly Schlein, con le caratteristiche della solidità e della forza tranquilla che dodici mesi fa nessuno le avrebbe riconosciuto, ma è il vuoto della società e della cultura, dell’informazione sminuita a fotografia dell’esistente, lontana dalla grande tradizione italiana del giornalismo politico, e di quelli che un tempo si chiamavano corpi intermedi, dai sindacati alle associazioni di categoria, indeboliti o sfranti, tutti comunque al di qua della porta, per usare ancora l’immagine di Formica, incapaci di aprirla, di spalancarla.
Il vuoto ha origini antiche, arriva da un anno-spartiacque, il 1975, il cuore degli anni Settanta e della nostra storia repubblicana, l’anno in cui la Repubblica dei partiti tocca l’apice, tra il piombo del terrorismo e il colore della televisione, ma comincia anche la lunga parabola discendente che arriva qui. È l’anno cominciano la stanchezza, la disillusione, il disincanto. La fine della speranza e della fiducia.
La destra al potere non ha creato il vuoto ma del vuoto beneficia, si alimenta. Per colmare il vuoto bisogna tornare più indietro, alle radici ancora fresche del nostro essere insieme come comunità nazionale. Il 25 aprile ’25 festeggeremo gli ottant’anni della Liberazione. Data fondativa della Repubblica, giorno di speranza e di fiducia. Il giorno giusto per andare avanti. Aprire la porta.
© Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link