a rimetterci sono ancora i tifosi

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Bergamo. Il 2 gennaio l’Atalanta giocherà contro l’Inter la semifinale della Supercoppa Italiana a Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita, circa 4mila km di distanza da Bergamo in linea d’aria. Sarà la prima partita ufficiale nerazzurra fuori dai confini europei e anche l’esordio assoluto della Dea in una competizione a cui non aveva mai avuto la possibilità di prendere parte. Meriti propri, certo, ma anche del nuovo format a quattro squadre che ha preso il via l’anno scorso.

Negli ultimi vent’anni a prendere parte alla competizione sono sempre state le big: Milan e Inter, Juventus e Napoli, Lazio e Roma. Prima ci sono state comparsate anche di Vicenza, Torino, Fiorentina, Parma e Sampdoria, ora invece è un monopolio di squadre che vivono la Supercoppa nella maggior parte dei casi quasi come un disturbo prima che come un’occasione, soprattutto da quando il calendario la piazza a gennaio e finisce per comprimere il resto delle partite, come del resto accade anche quest’anno. E poi, in fondo, che differenza fa al tifoso di un club abituato a lottare per lo Scudetto vincerla o meno? Tendenzialmente poca.

Ci sta. Fa parte della selezione degli obiettivi. Basta analizzare i dati relativi agli spettatori per comprendere questa mancanza di interesse con radici storiche: senza andare fino ai trentamila scarsi di San Siro a fine anni novanta ma anche all’inizio dei duemila, non c’è mai stato un pienone, se si esclude l’Olimpico di Roma quando in campo c’era una romana. Anche da questi numeri è nata l’idea di renderla un trofeo itinerante. Stati Uniti, Cina, Libia, Qatar e negli ultimi anni Arabia Saudita. Dove toccherà giocare anche all’Atalanta.

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Il punto è che, rispetto ad altre, per la Dea giocare una Supercoppa non è un disturbo, ma un privilegio, conquistato con il sudore e il lavoro. Una possibilità di vincere un trofeo, qualcosa che non capita tutti i giorni, per usare un ricco eufemismo. Una possibile affermazione a livello nazionale che manca da oltre sessant’anni. La provinciale che affronta le big da capolista rappresentando una città da 120mila abitanti che non potrebbe competere con Roma, Milano o Napoli. Il fatto di non poterlo fare con a fianco il pieno sostegno dei propri tifosi è un vero peccato nonché una grande occasione persa.

In fondo questo 2024 sta dimostrando che non c’è niente di più bello che poter condividere i successi e i giorni storici con la propria gente. Le decine che hanno accolto De Roon dopo che è diventato bergamasco benemerito, le centinaia che si radunano fuori da Zingonia ogni volta che c’è da celebrare un successo storico in trasferta, le migliaia che popolano il centro di Bergamo dopo i grandi successi (oltre che lo stadio sempre al limite del tutto esaurito). Senza arrivare alle decine di migliaia del 31 maggio, quando tutta la città si colorò di nerazzurro per la vittoria in Europa League.

È chiaro, è difficile pensare che per un’eventuale vittoria della Supercoppa si possa rivedere un film del genere, sia per il periodo, sia perché è una competizione diversa che non dura un’intera stagione, ma anche, se non soprattutto, perché il fatto di portarla a migliaia di chilometri di distanza dalle piazze, quindi lontano dalla gente, ha creato un inevitabile distacco. La Lega Serie A l’ha identificata come la miglior maniera di esportare il prodotto e soprattutto generare indotto con i petroldollari: legittimo, ma va da sé che poi ci si pongano delle domande quando l’amministratore delegato Luigi De Siervo parla di “portare almeno mille tifosi a partita e mantenere vivo il rapporto con la tifoseria organizzata”.

Una trasferta che costa, nel migliore dei casi, mille euro per partire la mattina della gara e rientrare la sera dopo la partita. La soluzione più economica è quella da 880 euro del charter organizzato da Borgoviaggi (che è partner di Atalanta BC), a cui si devono aggiungere 110 per il visto turistico per l’accesso in Arabia, più il biglietto (che, almeno quello, costa davvero poco).

Quadrupla cifra per una semifinale, con il “rischio” di dover pagare lo stesso prezzo in caso di finale, che è quattro giorni dopo. E non parliamo dei pacchetti proposti dai partner “Visit Saudi” per restare per tutta la durata della competizione, che è dal 2 al 6 gennaio: pagare migliaia di euro col rischio di veder la propria squadra giocare una volta. Non sembra un caso che da Bergamo per la semifinale dovrebbero partire pochissime decine di tifosi con il charter, pochissimi con i voli di linea i cui costi sono ancora più elevati.

Leggere di un pacchetto per i tifosi “per seguire le tre gare a cifre assolutamente competitivi” fa quasi sorridere, perché qui non si parla di portare tifosi, ma di portare turisti con il pretesto del tifo. Ci fosse stato un reale interesse nel portare tifosi – e glissiamo sul dover “mantenere vivo il rapporto” che pare una motivazione quantomeno bizzarra – sarebbe stata la stessa Lega a proporre voli organizzati a prezzi veramente competitivi e per certi versi “popolari”, tra cento virgolette, per poter permettere ad un importante numero di fan dall’Italia di volare in Arabia Saudita. Se non è stato così, evidentemente è perché l’interesse è un altro, semplice e pura monetizzazione. Basta dirlo, non c’è niente di male.

Lo scorso anno furono circa 500 i tifosi interisti partiti per la finale contro il Napoli il 22 gennaio. E parliamo di un bacino d’utenza enormemente più ampio rispetto a quello che riguarda l’Atalanta. La semifinale Napoli-Fiorentina si giocò in uno scenario desolante, nemmeno 10mila persone sugli spalti. Per carità, la promozione del prodotto all’estero è essenziale, e probabilmente lo sono anche i milioni che vengono incassati dalla Lega (prima che dai club). Ma è lecito chiedersi se il gioco valga la candela, perché, come molto spesso capita, ad essere presa a calci è la passione del tifoso, che non ha ricevuto alcuna agevolazione diretta e soprattutto reale da parte dell’ente organizzatrice della competizione.

I tifosi atalantini non si sono mai tirati indietro di fronte ai viaggi internazionali (se ne sono spostati 24mila in totale per l’Europa in tutto il 2024), ma un conto è pagare poche centinaia di euro per volare in un tempio sacro del calcio come Anfield o per finali europee come Dublino e Varsavia, un altro è sorpassare i mille per fare prima i turisti che i tifosi — con tutto il rispetto per chi le vive in questo modo: scelta legittima.

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Sarebbe stato però più corretto dare alla possibilità anche ai tifosi di fare semplicemente… i tifosi. A prezzi coerenti e convenienti, in località maggiormente non diciamo “popolari” (con le stesse virgolette di prima), ma quantomeno più alla portata. Ok, al dio denaro nel calcio del 2024 non si dice mai di no, ma ogni tanto bisognerebbe dire anche “sì” alla passione di chi poi quel prodotto lo sostiene realmente: non l’occasionale che vede la partita fuori sede una volta all’anno, ma il tifoso fedele che paga il biglietto ogni weekend. Perché le radici e il territorio restano l’anima del pallone fino a prova contraria. E l’Atalanta, con la sua gente, sarà sempre lì a dimostrarlo.

 

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