“Sogno Quartapelle sindaca, tra Sala e Pd amore mai iniziato”

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Cosa sta succedendo a Milano? La seconda capitale d’Italia ha le convulsioni. E quanto più salgono i sintomi della febbre, con le crescenti tensioni Sala-Pd che fanno scricchiolare Palazzo Marino, tanto più iniziano ad emergere figure di nuovi, potenziali incumbent. Ne abbiamo parlato con Giacomo Lev Mannheimer, 36 anni, coordinatore del Comitato scientifico dell’Osservatorio Metropolitano di Milano e research fellow dell’Istituto Bruno Leoni.

Figlio del popolare sondaggista Renato Mannheimer, Giacomo ha lavorato in Italia e all’estero per startup e multinazionali, società di consulenza e think tank, candidati politici e istituzioni. Nel 2024 ha co-fondato FutureProofSociety e Upwind. Il 10 gennaio 2025 uscirà il suo primo libro, “I mercanti nel palazzo. Fare impresa è anche fare politica” (Il Mulino).

Cosa succede tra Sala e il Pd, un amore è finito? Il Salva-Milano sembra aver aperto il vaso di Pandora. E adesso?
«Non so se l’amore sia mai cominciato, a dire il vero. La norma Salva-Milano, a dispetto del nome evocativo, non dovrebbe nemmeno far notizia. Stiamo parlando di politiche urbanistiche che risalgono a più di dieci anni fa, come mai nessuno ha mai sollevato il tema? Purtroppo chi fa politica per mestiere ha forti incentivi a cercare pretesti per scandali e riposizionamenti, non solo nel Pd. Sala è, fortunatamente per Milano, una persona libera e un sindaco pragmatico. Non credo si farà condizionare».

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Qual è il suo giudizio sugli anni della Milano di Sala ? La città è cresciuta in più direzioni, ma anche criminalità e affitti sono fuori controllo…
«Prima di tutto sfatiamo un mito: il margine di manovra dell’amministrazione sull’evoluzione di una città è molto visibile ma, fortunatamente, limitato. Milano cambia, in larga parte, a prescindere da Palazzo Marino. Ciò detto, più che il dito dei problemi guarderei la luna: criminalità e caro-affitti sono il rovescio della medaglia del voler essere una grande metropoli globale. Questo richiede sforzi di integrazione degli stranieri e di ampliamento del trasporto pubblico. Si poteva fare meglio? Certo, sempre».

Nel centrodestra si fanno due nomi come possibili sindaci : quello di Maurizio Lupi, sostenuto da La Russa, qundi Fdi e naturalmente Noi Moderati, e quello di Alessandro Sallusti, per Lega e Forza Italia. Sono candidature forti ? Chi dei due può farcela ?
«Sono nomi scontati, ma questo non è necessariamente un male. Il problema invece è che a Milano il centrodestra si dimentica spesso di fare quello che la fa vincere spesso nel resto d’Italia: restare uniti laddove la sinistra si divide. Nel 2016 ebbi la fortuna di lavorare alla campagna dell’ultimo vero candidato con la possibilità di governare Milano, Stefano Parisi. Perdemmo al fotofinish esclusivamente perché, al ballottaggio, uno dei partiti che lo supportava decise di boicottarci perché eravamo “troppo moderati”. Il rischio, per Lupi e a maggior ragione per Sallusti, è questo».

La scorsa volta a Milano il centrodestra aveva fatto correre un candidato volutamente debole, il pediatra Luca Bernaudo, ignoto al 99,99% dei milanesi. Come mai?
«Esattamente per la ragione che indicavo prima. L’idea che un candidato di compromesso sia preferibile a uno di visione, a Milano, è la strada più sicura verso la sconfitta. Albertini, Moratti, Parisi: questi sono i profili giusti cui ispirarsi. Non sono facilmente controllabili? Meglio: è proprio la ragione per cui Sala, che difficilmente potremmo dipingere come l’emblema dell’uomo di sinistra, ha stravinto l’ultima volta».

Sono ipotizzabili le primarie, per la prima volta, nel campo del centrodestra ?
«Credo proprio di no, e forse è anche giusto così. Le primarie sono un ottimo strumento a disposizione di comunità politiche coese, policentriche ma unite. Questo non è chiaramente il centrodestra milanese. Peraltro il voto stesso della città è molto sbilanciato su quello d’opinione, mentre le primarie richiedono un fortissimo impegno in termini di militanza. È un peccato: non solo perché forse si eviterebbero nuovi casi Bernaudo, ma perché sono un ottimo strumento di marketing politico, di attivazione dell’entusiasmo attorno a una candidatura. Il fenomeno Pisapia nacque così».

Venendo al centrosinistra, chi vede come figura emergente ? Il Pd schleiniano tirerà fuori un asso dalla manica?
«Credo che, a meno che Sala abbia idee molto chiare su una successione diversa, i nomi siano quelli che girano. Majorino è la scelta più ovvia e anche facile da gestire politicamente dal partito. Ha tanta esperienza e in molti ambienti di centro sinistra verrebbe anche un po’ visto come una nemesi di Sala, con un forte focus sulle aree in cui la sua amministrazione ha fatto più fatica. In caso di primarie, credo che il candidato sarebbe lui. Se dovessi dire il nome che piacerebbe a me, però, non avrei dubbi: sarebbe Lia Quartapelle».

Milano è la città dove il terzo polo triplica le percentuali nazionali, è sopra il 20%. Possibile che diventi la rampa di lancio per una candidatura di rottura, magari in ambito imprenditoriale? Come valuterebbe Matteo Marzotto, Emma Marcegaglia o Giorgio Squinzi?
«Non credo siano ipotesi realistiche. Sono nomi di grandissima qualità, ma manca completamente il contesto politico per sostenere concretamente un progetto simile. Ed è un peccato, perché se fosse andata diversamente a livello nazionale, con il centrodestra in confusione da una parte e il centrosinistra tentato da profili molto diversi da Sala, qualcosa sarebbe potuto succedere. Ma i voti restano lì: speriamo che le cose possano cambiare al prossimo giro».

Ci sono anche liberali di lunga tradizione come Alessandro De Nicola o Oscar Giannino, o quelli più giovani come Giulia Pastorella, che i milanesi conoscono bene e tenterebbero tanto l’area di Forza Italia quanto quella dei riformisti dem…
«Vale, purtroppo, lo stesso discorso. Sarebbero candidature eccelse se ci fossero le condizioni esterne per sostenerle. Senza un contenitore politico adeguato, al momento l’area politica dei liberali non può far altro che cercare di influenzare i candidati di altri, con la difficoltà di non avere, anche in questo caso, un soggetto unico che possa farsi promotore di quell’influenza, sostenendone esplicitamente uno e portandosi dietro la struttura. Da liberali non resta che provare a lavorare su potenziali membri della giunta con un briciolo di principi più vicini ai nostri da una parte e dall’altra».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.





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