Chiusa senza discussione la legge di bilancio, si riapre lo scontro nella maggioranza. La Lega alza il tiro sul governo: dall’autonomia alle armi alle imprese del nord. Soprattutto chiede il rimpasto. Salvini: sogno ancora il Viminale. Palazzo Chigi: non se ne parla
MANOVRA DI ALLONTANAMENTO Chiusi i conti in senato con la fiducia, non protesta solo l’opposizione. La Lega calca su tutto quello che non gradisce e apre il fronte interno
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Nessuna sorpresa né potevano essercene. Il Senato era chiamato a ratificare la legge di bilancio, non a discuterla. Ha vistato e approvato come da copione con unica protesta sonora quella del relatore Liris, FdI, che ha mandato la premier su tutte le furie. Insieme ai voti a comando non è mancata la abituale apologia di se stesso cantata dal governo: la «manovra di grande equilibrio che sostiene i redditi medio-bassi» della premier, che peraltro in aula non c’era, il «valore della prudenza» del meno iperbolico Giorgetti.
Serviva maggiore attenzione alle industrie del Nord. E adesso bisogna prendere le distanze dai paesi più bellicosi Romeo, capogruppo Lega
I SOLI BRIVIDI sono arrivati con Renzi. Il leader di Iv si è beccato a microfoni accesi con il presidente del Senato: «Camerata La Russa, deve abituarsi a rispettare le opposizioni». «E lei deve abituarsi a non sfuggire la verità ». Scambio di cortesia natalizie ma il leader di Iv è imbufalito davvero per quella norma che lo costringe a scegliere tra il seggio al Senato e le conferenze ben pagate all’estero: «Ve ne pentirete. Io sono come il Cavaliere nero di Proietti», minaccia. E promette pirotecniche manovre per il futuro prossimo: «Compio 50 anni, poi mi rimetto a fare sul serio».
Capita che buona parte della maggioranza, sulla norma, sia d’accordo con lui. «Il senatore Renzi non ha tutti i torti, per usare un eufemismo», va giù piatto nella dichiarazione di voto il capogruppo leghista Romeo. Dalle parti di Forza Italia basta chiedere per sapere che la pensano allo stesso modo e anche tra i Fratelli di Giorgia la norma ad personam anti-Renzi ha un indice di gradimento decisamente basso. «L’hanno voluta Giorgia e Arianna», sibila il conferenziere ex premier.
LA STILETTATA sulla norma Renzi, però, non è l’unica vibrata dal leghista. Impiega metà della sua dichiarazione di voto per magnificare la manovra, l’altra metà per elencare tutto quel che non è stato fatto e che la Lega si aspetta per l’anno che verrà , dall’avvio del federalismo fiscale ai Lep, da una «maggiore attenzione» per le
industrie del nord al «prendere le distanze dai Paesi più bellicosi» nella guerra ucraina. Sono punzecchiature, anche se l’opposizione se ne appropria e il capo dei senatori Pd Boccia invita addirittura a «far posto a Romeo fra le file dell’opposizione». Ma le frecciate si sommano all’ormai quotidiano botta e risposta sul rimpasto e acquistano così qualche spessore in più.
Dai piani alti della maggioranza e di palazzo Chigi il no è corale. Partono i capigruppo di Fi e FdI, Gasparri e Malan. Non vedono né «le ragioni» di rimpastare alcunché. Il colpo di grazia prova a darlo il sottosegretario di fiducia della premier, Fazzolari: «Salvini farebbe certamente molto bene al Viminale ma un rimpasto si fa quando l’attività del governo ne trarrebbe giovamento. Ad oggi non mi sembra che ci sia questa esigenza». Il leghista non demorde: «Siamo nelle mani del buon dio. L’assoluzione toglie le scuse alla sinistra. Ho tante cose da portare avanti dove sto ma occuparsi della sicurezza è bello e importante». Conclusione: «Ne parlerò con Piantedosi e con Giorgia».
Giorgia a ritrovarsi Salvini ministro degli Interni non ci pensa per niente. Sarebbe un guaio con la Commissione europea, che invece al momento sul fronte dell’immigrazione sta dalla sua parte. Implicherebbe proprio ciò che la premier vuole a tutti i costi evitare, l’effetto domino, il valzer dei ministeri, la richiesta di Fi di irrobustire la propria delegazione in ragione del maggior peso confermato dalle urne, tensioni persino all’interno delle diverse aree del partito tricolore: quelle che quando c’è di mezzo un ministero non mancano mai. E persino sull’Ucraina il problema sarebbe spinoso con la sicurezza affidata a un leader che l’establishment europeo considera senza andare per il sottile putiniano al 100%.
MA IL RISCHIO di una tensione crescente con la Lega c’è, perché i fronti aperti sono già troppi. C’è l’autonomia in bilico e a rischio referendum. C’è la decisione in sospeso del governo sull’impugnazione della legge regionale campana che permetterebbe la ricandidatura di De Luca ma trascinerebbe anche quella di Zaia in Veneto. La decisione va presa in gennaio, la premier è decisa a impugnare, la Lega sta già provando a mettersi di traverso. Il 2025 non si preannuncia sereno.
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