Lirragionevole utopia del bunker salvifico

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L’utilizzo delle armi nucleari è tornato a essere una possibilità negli ultimi anni, specialmente a seguito dell’invasione russa del territorio ucraino. Questa minaccia assoluta ha preoccupato – ha tormentato – le generazioni politiche tra gli anni ’50 e gli anni ’80 del secolo scorso, imponendo la costruzione del movimento transnazionale per il disarmo nucleare e proponendo riflessioni intellettuali critiche.

GÜNTHER ANDERS è stato tra i principali analisti, anche in dialogo con Claude Eatherly, il pilota che diede il via libera per lo sganciamento della bomba su Hiroshima nel 1945. Il contesto italiano è stato, anch’ esso, protagonista di questa elaborazione, oltre che delle mobilitazioni sociali e politiche, come testimoniano, ad esempio, i contributi di Dario Paccino e padre Ernesto Balducci.
Pierpaolo Ascari, ricercatore di Estetica presso l’Università di Bologna, affronta questa emergenza convinto della necessità di mobilitare l’ironia per dare conto di provvedimenti – decretare l’uso di ordigni nucleari – «micidiali e ridicoli». Lo fa con il suo saggio Fine di mondo. Dentro al rifugio antiatomico da giardino (MachinaLibro, pp. 98, euro 12): un titolo che mette insieme un tema definitivo – che evoca anche La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali di Ernesto De Martino – con un oggetto quasi di arredo, appunto il bunker, che alcuni costruirono negli Stati Uniti soprattutto durante gli anni ’60 per salvarsi nel caso di una guerra nucleare.
È evidente che la giustapposizione dei due termini – la fine di mondo e il bunker nel giardino – richiama subito quel registro ironico sul quale il testo è stato intenzionalmente costruito.

COME SCRIVE L’AUTORE nell’introduzione («Violenza e ironia»), avendo la soluzione dei rifugi antiatomici anche un valore scaramantico, del tutto inadeguato rispetto all’apocalisse, «tanto valeva riservare alla loro sfrontata inadeguatezza il ’gusto di mettere in evidenza l’ironia insita nelle cose stesse’ che Sebastiano Timpanaro attribuiva a Marx, senza dissimularne gli aspetti più drammatici ma continuando a chiamare le circostanze con il loro nome».

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È IMPOSSIBILE EVITARE di fronte a questo tipo di catastrofe il ricorso al senso del ridicolo, sapendo che, come ci ha ricordato ancora nel 2023 un breve rapporto della campagna internazionale per abolire le armi atomiche (Ican), Debunking the nuclear bunker (Sfatare i miti sul bunker nucleare), «questi bunker non prevengono o mitigano i rischi di una guerra nucleare», ma, «in realtà, tentano di legittimare i rischi disumani e inaccettabili che le armi nucleari intrinsecamente comportano. Incoraggiando i civili a fare affidamento sui bunker, si elimina l’onere dei costi per i governi e si dà ai cittadini un falso senso di sicurezza sulla sopravvivenza alla guerra nucleare».

D’ALTRONDE, I RIFUGI si continuano a vendere: un articolo della Associated Press del 18 dicembre 2024 rilevava che «il mercato dei rifugi antiatomici negli Stati Uniti dovrebbe crescere dai 137 milioni di dollari dell’anno scorso ai 175 milioni di dollari entro il 2030». Le affermazioni sulla loro inefficacia non sono sufficienti a fermare questo mercato. Evidentemente, «pensare l’impensabile» – che rinvia alla categoria filosofica del sublime – continua a essere un esercizio necessario.
Su questa riflessione si concentra la sezione centrale del testo, a partire da un capitolo intitolato «Macerie» Dopo avere ripercorso, attraverso una molteplicità di opere di fantascienza e di fantasia, l’affermazione dell’immaginario popolare e politico che sostiene la costruzione dei rifugi, Ascari si concentra sul concetto di sublime nucleare. E qui si esprime la parte politicamente e sociologicamente più importante del testo, nell’affermazione secondo cui «una circostanza impensabile come il day after viene spesso immaginata come un mondo finalmente esonerato dalle seccature dell’intersoggettività».

QUELLO che il rifugio antiatomico esprime è l’utopia di un mondo di uomini forti (perché gli unici sopravvissuti), furbi (perché gli unici ad essersi attrezzati per sopravvivere) e, soprattutto, finalmente soli: dunque, un mondo di umani non più umani. Necessario epilogo di una civiltà fondata sul privilegio e sul mito della sicurezza garantita dai muri.



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