L’ultimo allarme arriva da una ricerca apparsa su Lancet Planetary Health, a firma degli studiosi dell’Istituto Karolinska. L’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico sarebbe una possibile concausa di milioni di decessi in India. Lo studio, che vede come ultimo autore Petter Ljungman, ricercatore presso l’Institute of Environmental Medicine del Karolinska, punta diretta sull’importanza di mettere in vigore normative più severe sulla qualità dell’aria nel Paese.
L’inquinamento atmosferico costituito da particelle di diametro inferiore a 2,5 micrometri, PM2,5, può entrare nei polmoni e nel flusso sanguigno e rappresenta un rischio importante per la salute. Nella ricerca si sono prese in esame le informazioni relative a 655 distretti in India tra il 2009 e il 2019. Cosa emerge? Ogni aumento di 10 microgrammi per metro cubo nella concentrazione di PM2,5 ha portato a un aumento dell’8,6% della mortalità.
Analizzando la relazione tra i cambiamenti nell’inquinamento atmosferico e la mortalità si vede che circa 3,8 milioni di decessi nel periodo in questione possono essere collegati a livelli di inquinamento atmosferico superiori alle linee guida sulla qualità dell’aria dell’India di 40 microgrammi per metro cubo. Ma non basta. Se confrontata con le linee guida più severe raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) — solo 5 microgrammi per metro cubo — la cifra sale a 16,6 milioni di decessi. Ovvero, in pratica, un quarto delle morti osservate nel periodo di studio.
L’abbiamo detto. Questa ennesima dimostrazione, in chiave One Health, dell’impatto dell’inquinamento e del cambiamento climatico sulla salute umana conferma quanto e come occorra agire. Ma mette anche in luce quanto e come sia importante conciliare sviluppo economico e salute ambientale. Anche per preservare il benessere della Terra che ci ospita.
È possibile? Certo, almeno per quanto riguarda il carbonio. E se non sarà tutto, è già qualcosa. L’importante è “disaccoppiare” la crescita economica dalle emissioni di CO2. E si può. Tanto che, come riporta una ricerca apparsa su Pnas sempre più regioni in tutto il mondo combinano la crescita economica con la riduzione delle emissioni di carbonio. Lo studio è stato condotto dagli esperti del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) sui dati relativi a 1.500 regioni negli ultimi 30 anni. E mostra che circa in un caso su tre si è riuscito a ridurre le proprie emissioni di carbonio continuando a prosperare economicamente.
Ora però bisogna migliorare. Secondo gli studiosi infatti l’attuale ritmo di disaccoppiamento è insufficiente per soddisfare l’obiettivo climatico globale di emissioni di carbonio nette pari a zero entro il 2050. A fare la differenza, stando a quanto riporta la ricerca coordinata da Maria Zioga, sarebbe anche il punto socio-economico di partenza.
L’indagine infatti mette in luce come le aree ad alto reddito, seppur con un passato basato in gran parte di industrie ad alta intensità di carbonio, così come quelle con quote significative di settori dei servizi e della produzione, hanno avuto particolare successo nel ridurre le emissioni di carbonio pur continuando a crescere sul fronte economico. In questo senso, come si legge in una nota per la stampa dell’ateneo, l’Europa si sta comportando bene, seppur a macchia di leopardo. “Le città dell’Ue che hanno implementato piani di mitigazione del clima e le regioni che hanno ricevuto un maggiore sostegno finanziario per le azioni per il clima tendono a mostrare tassi di disaccoppiamento più elevati – segnala Zioga – In particolare, l’Europa supera costantemente altre parti del mondo, con molte delle sue regioni che mostrano una tendenza continua al disaccoppiamento negli ultimi 20 anni. Al contrario, il Nord America e l’Asia hanno visto modelli di disaccoppiamento più fluttuanti nel corso dei decenni, ma c’è stata una tendenza al miglioramento nell’ultimo decennio”.
La strada da fare, insomma, è ancora lunga. Perché a vedere quanto propone lo studio, meno della metà delle regioni sarà in grado di raggiungere zero emissioni nette entro il 2050. L’importante è che la salute umana ed ambientale viaggi sempre più a braccetto con il trend di crescita economico. E questo è l’augurio che ci facciamo per il futuro.
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