Il Natale è divenuto progressivamente la prova vissuta delle diseguaglianze. Quello appena trascorso, comprensivo dei soliti festeggiamenti per l’ingresso del nuovo anno, ha fotografato il grande stato di disagio della Nazione vissuto in Paese che arretra sul piano delle uguaglianze. Altro che preoccupazione per il regionalismo differenziato, che in pochi hanno ben compreso e di cui si è discusso senza le dovute conoscenze.
Il Natale di quest’anno ha presentato il conto delle differenze. Gradualmente in crescita, con gli sprechi contrapposti alle rinunce in progressione geometrica. La borsa della spesa ne è stato l’esempio più concreto. È stata una ulteriore prova, l’ultima in ordine di tempo, della diversità di trattamento di come l’economia nazionale incide su quella domestica e come in quest’ultima pesano le latitudini geografiche. Il Paese è, infatti, diviso anche in termini di borsa della spesa. Nel Mezzogiorno una siffatta differenziazione assume sempre di più una dimensione enorme. Insomma, al di là dei numeri che si rendono via via pubblici, il film girato per le strade del Sud in questo periodo presenta un bilancio figurato negativo. Suscita una commozione concreta nell’evidenziare le disponibilità economiche delle famiglie, alcune delle quali impedite a fare il Natale.
Altro che secessione dei ricchi abbinata al regionalismo asimmetrico. La secessione dei ricchi, quella vera, è rintracciabile da decenni tra le strade eleganti e i vicoli del Mezzogiorno, causata da un centralismo che ha discriminato da decenni e incrementato il numero dei poveri. Ma anche nelle case dei meridionali, molti dei quali relegati tra i muri domestici perché pieni di «scuorno» (alias, di vergogna) per essere incapaci di fare la spesa quotidiana, figuriamoci quella per festeggiare la vigilia di Natale e organizzare il cenone di Capodanno.
Ma tutto ciò non è reso evidente, perché fa male in tema di acquisizione di consenso politico, preteso dagli immeritevoli. A tutta la politica che lo ha via via determinato e celato, sino a raggiungere un tale segno distintivo di vergogna sociale alla quale in pochi sono impegnati a dare rimedio. I dati delle iniziative caritatevoli di Sant’Egidio e della Caritas dimostrano, del resto, affollamenti in crescendo sino a qualche anno fa inimmaginabili. Sono decine di migliaia di persone come noi ad affollare il loro desco natalizio.
Il Natale, celebrativo di una festa prevalentemente cristiana all’insegna della uguaglianza delle donne e degli uomini, è diventata la scenografia di un dramma, ove tale aspirazione è più facile a vedersi negata. Specie nel Mezzogiorno, al quale si riconosce essere divenuta la patria dei diseguali, non solo rispetto al resto del Paese, ma nel Sud medesimo.
È spaventoso quanto emerso dal report dell’Eurostat sulle condizioni di vita nell’Ue: quattro regioni italiane, tutte del sud Italia, tra le cinque peggiori per occupazione, con sensibile aggravamento per quella femminile. Così come la Guyana francese. Immaginate come in Campania, Sicilia, Calabria e Puglia si possa pretendere di vivere felici le festività natalizie.
Un dato, questo, che fa riflettere e impensierire sulle differenti condizioni occupazionali e sulle difficoltà generate dalla cattiva politica.
Lo dimostra la comparazione dei risultati meridionali con quelli della Grecia. Mette paura il trattamento riservato sino ad oggi al Mezzogiorno, tanto da fare riflettere sul da farsi in termini di rivendicazioni nei confronti dello Stato e dell’Ue in materia di facilitazioni alle imprese, tanto da stimolare la loro sopravvenienza al Sud.
Non solo. Di pretesa sulle Regioni ad esercitare più politiche che mera amministrazione, intervenendo con leggi dall’occhio lungo e programmi pronti ad essere messi a terra e non solamente enunciati. E ancora. Di stimolo agli enti locali ad elaborare una programmazione locale che dia ragione alla occupazione meritocratica ma anche un grande spazio alla solidarietà necessaria.
Pur avendo un tasso di occupazione più basso di quello medio italiano, tanto da essere il peggiore in assoluto in Europa (57,2% contro il 58,2% dell’Italia), la Grecia esprime meno differenze regionali, per essere più attenta alle periferie. Un effetto meno discriminante che ha fatto sì che le sue aree più povere non figurassero insieme a Campania, Sicilia, Calabria, Puglia e Guyana francese.
Questo è il consuntivo registrato dall’Eurostat riferito all’occupazione. Altra cosa è il dato riconducibile al rischio di povertà assoluta e di esclusione sociale. Anche qui il Mezzogiorno ha registrato uno dei più alti tassi dell’Ue, con la Calabria nella quota più alta (48,6%), seguita nella graduatoria dei peggiori dalla solita Guyana francese. Ovviamente, ad allarmare in tal senso i dati riferiti a Campania (44,4%) e Sicilia(41,4%), seguiti seppure con un certo distacco da Sardegna (32,9%), Puglia (32,2%) e Abruzzo (28,6%). A ben vedere, il motivo principe di come nel Mezzogiorno, per troppi, non è mai Natale.
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