Fake news e Primo Emendamento. Il dibattito negli Usa sul Global Engagement Center

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La chiusura dell’unità anti-disinformazione degli Stati Uniti prima dell’insediamento della nuova amministrazione Trump riapre il dibattito sull’equilibrio tra lotta alla propaganda e difesa del Primo Emendamento. Ecco cosa diceva l’inviato speciale Rubin meno di due anni fa a Formiche.net

28/12/2024

Lunedì il dipartimento di Stato americano ha chiuso il Global Engagement Center, l’unità che si occupava di identificare e contrastare le campagne di disinformazione orchestrate da attori statali ostili come Russia, Cina, Iran e Corea del Nord. Era stato aperto nel 2016 dall’amministrazione Obama sulla base del Center for Strategic Counterterrorism Communications inaugurato cinque anni prima. Nonostante le forti sollecitazioni dei funzionari pubblici nei confronti del Congresso per ottenere una proroga, una misura per prolungare il centro fino al 2031 è stata eliminata dalla versione finale del testo della legge di bilancio della Difesa approvata dal Senato.

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Una scelta che in qualche modo anticipa l’insediamento della nuova amministrazione presieduta da Donald Trump. I repubblicani non hanno mai risparmiato critiche al Global Engagement Center. Elon Musk, vicinissimo a presidente e nominato da questi a capo del Dipartimento dell’efficienza del governo (Doge), aveva criticato la legge di bilancio definendola “criminale” per aver incluso i fondi per il Global Engagement Center, quella che lui aveva bollato come un’“operazione di censura”. Le sue posizioni riassumono i due punti di critica repubblicana al centro: il taglio della spesa pubblica e la difesa della libertà di espressione sancita dal Primo Emendamento. Due punti che si alimentano vicendevolmente, rendendo la “censura” del Global Engagement Center – che per altri, tra cui i democratici, è un elemento della resilienza democratica – “legittima” giustificazione per i tagli.

Quella del Primo Emendamento è una questione su cui gli esperti si interrogano da anni, almeno dal 2016 con le elezioni presidenziali tra Trump e Hillary Clinton, segnate dalle pesanti interferenze russe. Il timore è che il Primo Emendamento venga utilizzato dagli attori ostili come scappatoia per condurre operazioni di disinformazione, sapendo che la libertà di parola funge da scudo. Un argomento ripreso recentemente, come abbiamo visto, dai repubblicani per opporsi agli sforzi di contro-disinformazione (o comunicazione strategica).

“L’obbligo di rendere pubbliche le operazioni di informazione ostile della Russia negli Stati Uniti violerebbe la garanzia del Primo Emendamento della Costituzione sulla libertà di parola?”, si chiedeva quasi cinque anni fa Brian Michael Jenkins, consigliere del presidente della Rand Corporation. No, la risposta: “Le preoccupazioni legate al Primo Emendamento sono importanti, ma non proteggono le campagne di informazione ostile da parte di attori stranieri, né sono una scusa legale per l’inazione degli Stati Uniti”, concludeva.

Sono passati quasi cinque anni. Quando Jenkins scriveva dovevano ancora tenersi le elezioni presidenziali che hanno portato Joe Biden alla Casa Bianca. Oggi quell’amministrazione sta facendo le valigie per lasciare – di nuovo – il posto a Trump e ai suoi. E nel maggio 2020 la Russia non aveva ancora avviato l’invasione su larga scala dell’Ucraina, nel cui contesto la disinformazione è stata, è e sarà utilizzata come una delle minacce ibride contro l’aggredito e i suoi alleati.

Così James Rubin, inviato speciale e coordinatore del Global Engagement Center, parlava a Formiche.net nel marzo 2023: “La Cina, invece di mentire e ripetere le bugie russe sulle cause della guerra, dovrebbe fare qualcosa per fermare la guerra della Russia”; sulla guerra in Ucraina c’è un allineamento “quasi totale” tra i due Paesi. “Esiste una echo-chamber in cui la Russia mente su qualcosa – come la guerra per i laboratori biologici in Ucraina, che è una menzogna, suggerire che questa guerra riguardi la ricerca fatta per proteggersi dalle malattie è una menzogna – e la Cina, purtroppo, nel suo sistema di propaganda, ha scelto di ripetere queste bugie”, prosegue citando anche le accuse di Pechino alla Nato. “Purtroppo questa perniciosa echo-chamber ha avvelenato i pozzi in tutto il mondo e ha confuso cittadini, leader e giornali di tutto il mondo sul perché di questa guerra, sul suo significato” proseguiva. “E questo ha reso più difficile, purtroppo, per l’Ucraina e per gli Stati Uniti che sostengono l’Ucraina raccogliere il sostegno internazionale, dato che i pozzi sono stati avvelenati nel Sud globale, nei Paesi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia Pacifico, da questa echo-chamber russo-cinese, in cui le bugie vengono dette, ripetute e ripetute ancora come se ci fosse una qualche base fattuale”.

Prima di Rubin, sotto l’amministrazione Trump (e con Mike Pompeo segretario di Stato), a guidare il centro per due anni era stata la giornalista Lea Gabrielle, ex pilota nella Marina e funzionaria dell’intelligence.

(Foto: State.gov)

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