Parlamento e governo, tutti in vacanza ma è lunga la lista dei compiti a casa, dall’ immigrazione alla giustizia

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Deputati in vacanza dal 20 dicembre, se ne riparla il 7 gennaio. Ai senatori è andata un po’ peggio: tra oggi e domani nel primo pomeriggio daranno il via libera – tra infinite polemiche – alla legge di bilancio poi anche loro in vacanza fino all’8-9 gennaio. Ai ministri è andata così e così: il 23 dicembre l’ultimo Cdm con riunioni collegate – Albania, Zes unica e Pnrr – e poi arrivederci all’8-9 gennaio al netto di attività ordinaria nei singoli ministeri delegate comunque ai tecnici. Vacanze lunghe anche per la premier Meloni: “Riposiamoci, chi può farlo – ha auspicato negli auguri social della vigilia – che il 2025 sarà un altro anno impegnativo per garantire al paese la crescita e il ruolo che ci spettano”. Le scarne informazioni da palazzo Chigi parlano di una sua assenza fino al 6 gennaio. Vero? Falso? Dove? Con chi? Notizie riservate tutelate da una giusta privacy.

Tutti gli impegni di gennaio

Come che sia, la lista dei compiti a casa di queste vacanze è lunga e insidiosa. Il Parlamento avrà una ripresa
impegnativa che culminerà il 20 gennaio con la decisione della Corte costituzionale sull’ammissione del referendum abrogativo del ddl sull’autonomia differenziata. Entro quella data le camere in seduta comune dovranno fare ciò che non sono riuscite a fare nell’ultimo anno: nominare i quattro giudici costituzionali, tutti di nomina parlamentare. E’ uno di quegli accordi sulla carta “impossibili” – un po’ come quello sulla presidenza Rai – finchè un pezzo di opposizione non cederà alla maggioranza i suoi voti. E tutto questo ha un prezzo. Anche per eleggere i giudici costituzionali serve un quorum di tre quinti, soglia che il centrodestra non raggiunge da solo. Di sicuro quei quattro giudici vanno eletti entro il 20 gennaio perchè la Corte opera ormai con undici su quindici, il minimo legale per poter deliberare. Basta un influenza e la Corte è fuori gioco. Sarebbe un pessimo segnale. La ripresa dei lavori porta con se anche un ingorgo di decreti: a quelli già all’esame del Parlamento si sommano i quattro approvati dal Cdm ma ancora non firmati dal Capo dello Stato: il Milleproroghe, il decreto Caivano bis, un nuovo decreto Pnrr e quella sulle armi all’Ucraina. Ciascuno, per motivi diversi, è altamente divisivo sia per le opposizioni che per la maggioranza. Soprattutto quello degli armamenti a Kiev. Nella Lega si sta cominciando a discutere l’ipotesi di un ordine del giorno che chieda almeno ulteriori caveat per consentire l’invio di armi.

La separazione tra giudici e pm

Il primo voto politicamente rilevante ci sarà già l’8 gennaio sulle pregiudiziali delle opposizioni contro la separazione delle carriere dei magistrati. Poi inizierà la battaglia sugli emendamenti. La maggioranza vuole approvarla entro il mese, per ottenere anche il sì del Senato prima della pausa estiva. La maggioranza si è poi impegnata in una complessa proposta di legge sulla Corte dei Conti, che nelle intenzioni dei proponenti (firmatario è l’attuale ministro Tommaso Foti), vorrebbe velocizzare l’utilizzo concreto dei fondi del Pnrr da parte delle pubbliche amministrazioni. In realtà, la proposta di legge trasforma la Corte da ente di sorveglianza ad ente di supporto della pubblica amministrazione. Un filtro e un organo di controllo in meno. Il Quirinale è già pronto ad intervenire. Non meno complessa la lista dei compiti a casa della Presidente del consiglio, dall’immigrazione alla giustizia, dalla riforme istituzionali al caro vita passando dai rapporti con la sua maggioranza. Qualcosa di più ne sapremo il 9 gennaio quando è prevista la tradizionale conferenza stampa di fine anno per il secondo anno di fila rinviata ad anno nuovo iniziato.

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La lista della premier

Dichiarazioni e impegni istituzionali lasciano pensare che il suo primo obiettivo si chiami “Albania”, e cioè il controllo dell’immigrazione irregolare. Che poi lei e i suoi, sbagliando, confondono con la sicurezza nella nostre città perseverando nell’equazione errata + immigrazione= + insicurezza. Solo la propaganda può intrecciare le due cose fino ad essere uno conseguenza dell’altro. Il penultimo atto collegiale, a livello di ministri, prima delle vacanze è servito proprio a fare il punto sui centri albanesi di Gjader e Schengjin che, inaugurati il 14 ottobre, hanno finora ospitato 18 immigrati ma solo per poche ore.

I centri in Albania

La premier sta rilanciando per almeno tre motivi. Il primo: dall’ultimo vertice europeo (19-20) dicembre si aspettava risultati più concreti. Che invece – o forse come al solito – non sono arrivati. Il 20 mattina Meloni ha presieduto una riunione informale di undici paesi a cui era presente Ursula von der Leyen. L’opzione di Bruxelles restano le “soluzioni alternative, ad esempio con hub in paesi terzi” che però dovranno essere valutate da una serie di organismi internazionali a cominciare da Unhcr, Organizzazione internazionali dei migranti, Croce rossa e dopo una serie di pareri legali. Il primo dei quali è la Corte di Giustizia Ue che ha sollevato questioni sul concetto di “paese sicuro” dove rimpatriare rafforzando decisioni già prese dai nostri tribunali dell’immigrazione per vietare le “procedure di espulsione accelerata” previste negli hub albanesi. E’ chiaro che dall’Unione, che ha promesso anche nuove regole comunitarie per le espulsioni, non arriverà una parola certa prima della primavera. Troppo tardi per la premier italiana. Per quello che è il secondo motivo del rilancio: la Corte dei Conti. La magistratura contabile sta già esaminando denunce per sospetto danno erariale visto che i centri albanesi hanno un costo di circa 800 milioni in quattro anni e comunque tutte le spese sono state per decreto (dl flussi) coperte dal segreto di stato. Occorre fare presto per evitare grane dalla Corte dei conti. Terzo motivo di rilancio: la premier ha promesso e giurato davanti alla platea di Atrjeu che “quesi centri funzioneranno perchè io vigilerò perchè così sarà cascasse il mondo”. L’hanno anche convinta che una sentenza della Cassazione (20 dicembre) sarà di aiuto al governo visto che ha ribadito che “ciascun governo è autonomo nello stilare la lista dei paesi sicuri”. Ma non è mai stato questo il punto controverso che invece riguarda l’applicabilità dopo aver valutato ogni singolo caso. Per chiarezza: non è la Tunisia il problema ma il singolo cittadino tunisino in fuga da quel paese per specifici motivi. Così come l’hanno convinta che aver nuovamente coinvolto la Corti d’appello nella valutazione delle domande d’asilo renderà più omogenea la risposta dei giudici. Quasi a sottintendere un pregiudizio idelologico nei tribunali di primo grado.

Giustizia e Salvini

Una situazione esplosiva che ci porta dritti ad un altro dossier del più complesso file “compiti a casa”: la giustizia. I magistrati, almeno una parte, sono il nemico giurato di questa maggioranza. L’esito di alcuni processi – il proscioglimento di Renzi &c nell’udienza preliminare Open e l’assoluzione di Salvini nel processo Open arms “perchè il fatto non costituisce reato” – hanno armato le truppe di tutta la maggioranza – e non solo – motivata più che mai ad approvare la riforma costituzionale della separazione delle carriere tra giudici e pm. Un altro abbaglio, se è lecito dire: proprio queste due inchieste dimostrano che il sistema ha in sè gli anticorpi per difendersi da errori – in questo caso della pubblica accusa – rispetto alla quale sorge il dubbio che ci sia talvolta un eccesso di protagonismo anche politico. Non c’è dubbio che la scena politica nel centrosinistra sarebbe stata diversa se Italia viva non fosse stata gambizzata dall’inchiesta Open a due settimane dalla sua nascita. “Il 2025 sarà l’anno delle riforme” ha promesso Meloni che come tutti i coach deve sempre alzare l’asticella motivazionale degli obiettivi per la sua squadra. La magistratura però non ci sta: il presidente dell’Anm Santalucia ha lasciato la guida del sindacato delle toghe che si stanno compattando al grido “giù le mani dalla giustizia”. Il problema sono sempre i tempi della giustizia non le inchieste. Non è mai un buon indizio quando uno dei tre poteri dello stato si sente insidiato nella sua autonomia e si chiude a testuggine per proteggersi. Un altro file nel dossier “compiti a casa” si chiama Matteo Salvini e Lega. Respinto il primo attacco del leader leghista che vorrebbe tornare al Viminale convinto che solo il tema sicurezza-immigrazione gli restituirebbe un po’ del consenso perduto, Meloni sa che dovrà respingere a breve altre due questioni delicatissime per la Lega: Salvini ha perso la sua arma più “forte” degli ultimi mesi che è stato il vittimismo giudiziario, in primavera dovrà affrontare il congresso del partito (in Lombardia il suo candidato ha perso) e poi ci sarà il nodo Veneto, regione che Fratelli d’Italia vuole fare sua.

L’Italia che non cresce e pochi ne parlano

Ultimo qui ma primo in ordine di importanza sebbene rifiutato dalla maggioranza, il dossier economico: il caro vita, gli stipendi bassi, l’aumento delle tasse e dell’energia (cresceranno le bollette così come i pedaggi e altre tariffe), la produzione industriale che da ventuno mesi è in calo costante. Tra oggi e domani il Senato licenzia definitivamente la legge di bilancio. Che non risponde a nessuna di queste domande. Tutti in vacanza ma nessuno in realtà ha molto tempo per oziare.





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