Crisi auto e tracollo siderurgia: l’Unione Europea continuerà a far cadere settori industriali? Le soluzioni secondo Carlo Mapelli (PoliMI) e Antonio Gozzi (Duferco e Federacciai)

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Si immagini un ponte: da un lato si trova l’industria siderurgica, dall’altro l’automotive. Quando uno dei due pilastri si incrina, l’intera struttura rischia di crollare. È esattamente ciò che sta accadendo in Europa: il forte rallentamento del settore automobilistico, uno dei maggiori consumatori di acciaio, sta mettendo in seria difficoltà l’industria siderurgica, creando un effetto domino che si estende a tutta l’economia manifatturiera del Vecchio Continente. Si va verso la crisi industriale ecosistemica. Ma cosa sta accadendo?

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L’acciaio, lo ricordiamo, è uno dei pilastri della manifattura italiana, con aziende quali Acciaierie d’Italia, Duferco, Ori Martin, Marcegaglia, Valbruna, Arvedi; Tenaris, Acciaierie Venete. Con il 22-28% della domanda di acciaio proveniente dall’automotive, il crollo europeo delle immatricolazioni (- 6,1% a settembre, tendenziale) e i rallentamenti nella transizione verso l’elettrico stanno riducendo drasticamente l’assorbimento di acciai speciali, quelli più preziosi e tecnologicamente avanzati. Al tempo stesso, le imprese siderurgiche, già sotto pressione per i costi energetici elevati e la concorrenza internazionale, si trovano a dover fronteggiare chiusure di impianti, tagli al personale e investimenti bloccati, aggravando uno scenario già critico (la domanda è in calo da quattro anni). Thyssenkrupp e ArcelorMittal stanno prendendo severe misure che impattano sull’occupazione. La gravità della situazione ha spinto l’associazione europea dell’industria siderurgica (Eurofer) e la federazione sindacale europea che rappresenta i lavoratori dei settori manifatturieri, minerari, energetici e chimici (IndustriAll European Trade Union) a scrivere una lettera indirizzata alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, e al vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné: si propongono misure urgenti, come tariffe sull’acciaio a basso costo, un European Steel Summit” per pianificare il rilancio del settore, politiche per ridurre i costi energetici e un sostegno alla transizione ecologica.

L’obiettivo è salvaguardare competitività, posti di lavoro e sostenibilità del comparto. Non si cita l’automotive, perché non è di competenza Eurofer: ma in Europa tanti ormai si rendono conto dell’effetto domino che sta generando l’applicazione del Green Deal sul mondo auto.

L’Acea, l’associazione europea che rappresenta i principali produttori di automobili, veicoli commerciali, camion e autobus, chiede di congelare lo stop al 2035 per la produzione di motori endotermici; e l’importante partito tedesco Cdu (Unione Cristiano-Democratica, componete primaria del Partito Popolare Europeo, Ppe) recentemente, ha espresso preoccupazioni riguardo alle sanzioni previste per i carmaker che non ridurranno le emissioni del 15% entro il 2025. Si pensi che la Von Der Leyen è della Cdu.

Come risolvere al contempo i problemi dell’automotive, in modo da favorire la ripresa dell’acciaio? Dagli esperti, emergono due soluzioni su tante. Anzitutto, quella di anticipare al 2025 la revisione delle normative sulle emissioni di CO2: consentirebbe di correggere lei distorsioni di mercato, evitando altri impatti negativi sul settore auto e quindi sull’acciaio. In secondo luogo, l’adozione da parte dei carmaker di piattaforme ibride, che uniscono motori endotermici ed elettrici. Rappresentano una soluzione intermedia che sostiene la domanda di acciaio e componenti industriali, mentre l’uso dei biocarburanti, come il biodiesel, permette di ridurre le emissioni senza rinunciare ai motori tradizionali. Questi interventi offrirebbero un equilibrio tra sostenibilità e innovazione, assicurando una transizione realistica e competitiva per l’industria europea.

La contrazione registrata nel 2023 (-6%) evidenzia una quarta recessione annuale negli ultimi cinque anni, anche se meno grave del previsto (-9%). Le prospettive per il 2024 rimangono deboli, con un ulteriore calo atteso del -1,8%, in contrasto con la precedente stima di crescita (+1,4%). Per il 2025 si prevedeva una ripresa, seppur modesta (Fonte: siderweb)

Ne abbiamo parlato con il presidente di Federacciai e del gruppo Duferco, Antonio Gozzi, e con il docente al dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano ed importante esperto di siderurgia Carlo Mapelli.

Perché la crisi del settore automotive impatta sulla difficile situazione dell’acciaio europeo

Il consumo apparente di acciaio continua a diminuire In Europa, con marcate contrazioni nel 2024

La citata Eurofer (European Steel Association, rappresenta i produttori di acciaio dell’UE) dipinge un quadro difficile per il mercato siderurgico europeo. Il consumo apparente di acciaio, indicatore che misura la domanda totale di acciaio all’interno di un mercato specifico, ha subito un calo del -1,3% nel secondo trimestre del 2024, un dato leggermente migliore rispetto al -3% del trimestre precedente. Tuttavia, la contrazione registrata nel 2023 (-6%) evidenzia, come si diceva, una quarta recessione annuale negli ultimi cinque anni, anche se meno grave del previsto (-9%). Le prospettive per il 2024 rimangono deboli, con un ulteriore calo atteso del -1,8%, in contrasto con la precedente stima di crescita (+1,4%). Per il 2025 si prevedeva una ripresa, seppur modesta; ma le proiezioni sono state realizzate prima del crollo dell’automotiva.

Si accennava al fatto che a fine novembre, ThyssenKrupp, colosso siderurgico tedesco, ha comunicato l’intenzione di ridurre di 11mila unità il personale nella sua divisione acciaio entro il 2030, equivalente a circa il 40% della forza lavoro. Nel frattempo, ArcelorMittal, leader globale con una presenza significativa in Europa, ha deciso di sospendere numerosi progetti legati agli investimenti per la sostenibilità e, di recente, ha confermato la chiusura di due centri di lavorazione in Francia, situati a Reims e Denain.

Al tempo dell’analisi di Eurofer tra i settori “responsabili” del calo della domanda di acciaio spiccavano le costruzioni, che rappresentano il 35% del consumo nell’UE e che erano in recessione dal terzo trimestre del 2022. Ma ora, a destare la maggiore preoccupazione è l’automotive.

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Perché il crollo del settore automotive rappresenta una minaccia diretta per i produttori di acciaio, aggravando le difficoltà di un settore già sotto pressione

Carlo Mapelli, docente al dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano

Acea, l’associazione europea che rappresenta i principali produttori di automobili, veicoli commerciali, camion e autobus, evidenzia un andamento contrastante del mercato automobilistico europeo a settembre 2024, con il citato calo di immatricolazioni di nuove auto. Nello specifico, tra i principali mercati dell’UE, tre su quattro hanno registrato flessioni significative: Francia (-11,1%), Italia (-10,7%) e Germania (-7%). L’unica eccezione positiva è la Spagna, che ha registrato una crescita del 6,3%. Quanto alle auto green a batteria, il dato complessivo da inizio anno segna un calo del 5,8%, con una quota di mercato scesa al 13,1% rispetto al 14% dell’anno precedente. Questo calo è dovuto principalmente a una forte contrazione in Germania (-28,6%).

Ma qual è la relazione tra automotive e acciaio? Il problema è che il settore automotive, come sottolinea Carlo Mapelli e come già menzionato, rappresenta una parte cruciale per l’assorbimento di acciaio in Europa. Coinvolto, in particolare, il prodotto di alta gamma, quello di qualità superiore rispetto a quelli utilizzati nel comparto edilizio o in altre applicazioni industriali. «L’industria dei veicoli è particolarmente esigente, sia in termini di qualità che di specificità dei materiali», afferma Carlo Mapelli.

La crisi non colpisce solo gli acciai piani, utilizzati per telai e carrozzerie, ma anche i prodotti lunghi, impiegati nelle trasmissioni e nelle componenti meccaniche. Inoltre, le fonderie, che producono getti in ghisa e leghe di alluminio per freni e motori, subiscono un impatto diretto dalla diminuzione della produzione automobilistica. «L’Italia – continua Carlo Mapelli – è particolarmente attiva in quest’ultimo segmento, che comprende sia il comparto siderurgico sia quello metallurgico in senso più ampio».

Antonio Gozzi aggiunge un ulteriore elemento di complessità: «la crisi dell’automotive rischia di fare seguito a quella del ciclo integrale dell’acciaio». L’acciaio primario, quello da altoforno, «rischia di chiudere in Europa a causa dei costi insostenibili legati alle emissioni di CO2: l’EU ha deciso di abolire i crediti di carbonio gratuiti dal 2027». Gozzi si riferisce al meccanismo degli Ets (Emission Trading System): ogni azienda riceve o acquista dei “crediti di carbonio”, che rappresentano il diritto di emettere una certa quantità di CO2. Ad esempio, un credito può permettere di emettere una tonnellata di CO2. «L’abolizione di questi crediti gratuiti potrebbe aggiungere 200 euro per tonnellata ai costi di produzione, rendendo l’acciaio primario europeo meno competitivo rispetto a quello di Cina, India e Corea», chiarisce Antonio Gozzi. Anche qui, l’intreccio tra automotive e acciaio è evidente; e il rischio per un settore si propaga sull’altro.  Infatti, il pianale e la scocca di un’auto si realizzano con lo stampaggio profondo, operazione pertinente all’acciaio primario. Con la fine di quest’ultimo, i carmaker europei dovranno rivolgersi alla Cina per il telaio, rendendo l’auto europea ancora più debole e meno competitiva. E questo avrà a sua volta ripercussioni sulla domanda di acciaio.

L’investimento non ammortizzato in acciai speciali per il settore automotive: il peso dei costi a lungo termine sulla crisi del settore siderurgico

Uno degli elementi più critici della crisi che ha colpito il settore siderurgico è la pressione generata dagli enormi investimenti fatti dalle acciaierie per rispondere alle esigenze dell’industria automotive che, come si è detto, è una delle principali consumatrici di acciaio di alta qualità. Questi investimenti, spesso ingenti, rappresentano un vero e proprio nodo finanziario, aggravato dal crollo della domanda automobilistica degli ultimi anni.

Secondo Carlo Mapelli «produrre acciai di alta gamma richiede processi altamente tecnologici e macchinari costosi. In molti casi, gli investimenti necessari non sono ancora stati completamente ammortizzati». Questo dato rivela la complessità del problema: da una parte, il settore siderurgico ha investito in tecnologie avanzate per rispondere alle richieste di prodotto di qualità superiore, dall’altra, il calo drastico della domanda ha rallentato la capacità delle aziende di recuperare i capitali investiti.

Possibili soluzioni per uscire dalla crisi dell’automotive, e quindi favorire la ripresa dell’acciaio europeo

La necessità di normative equilibrate e di una transizione realistica per l’industria europea: come le politiche ambientali rischiano di penalizzare al contempo l’automotive e la siderurgia, aumentando la dipendenza da competitor asiatici e mettendo in crisi la competitività del settore

Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e presidente e amministratore delegato di Duferco Italia Holding.

Antonio Gozzi critica duramente l’approccio del Green Deal europeo, definendolo «un attacco ideologico al settore industriale più importante d’Europa, l’automotive». Secondo Gozzi, il divieto di produrre motori endotermici post-2035 e la promozione dell’auto elettrica come unica soluzione sostenibile sono scelte affrettate, che ignorano le complessità strutturali e la realtà del mercato.

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Uno dei principali problemi riguarda l’inadeguatezza delle infrastrutture green. «La rete di punti di ricarica è ancora insufficiente», sottolinea Antonio Gozzi, evidenziando come l’assenza di un sistema capillare e affidabile limiti l’adozione delle auto elettriche. Inoltre, il costo elevato dei veicoli green li rende poco accessibili per molti consumatori, contribuendo a un calo complessivo delle vendite. «In Europa si vendono milioni di auto in meno rispetto a dieci anni fa», aggiunge Antonio Gozzi. Peraltro queste politiche green rischiano di favorire i competitor asiatici. «La transizione all’elettrico si trasformerà in un gigantesco mercato per la Cina e altri Paesi asiatici», afferma Antonio Gozzi, sottolineando come l’industria europea debba già confrontarsi con i bassi costi di produzione e il dominio cinese sul mercato delle batterie. Queste dinamiche, secondo Antonio Gozzi, non solo indeboliscono la competitività del settore automobilistico europeo, ma aumentano la dipendenza strategica dell’Europa da fornitori esterni.

Al centro delle critiche vi è anche il citato sistema di penalizzazioni economiche imposto alle case automobilistiche che non raggiungono gli obiettivi di vendita per le auto elettriche. «Questa cosa demenziale dei 15-16 miliardi di multe è una misura completamente scollegata dalla realtà», afferma Gozzi, evidenziando come queste sanzioni gravino su un settore già in crisi. «Le auto elettriche non si vendono per decreto», aggiunge: l’approccio europeo è rigidamente normativo. In sintesi, pur riconoscendo l’importanza della sostenibilità, Gozzi critica «l’eccesso di retorica ambientalista» che ha guidato molte decisioni politiche europee. «Questa demagogia, capace solo di fare regole, decreti e vincoli, invece di occuparsi di tecnologia e crescita, sta distruggendo l’industria europea».

Secondo il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso il bando ai motori endotermici nel 2035 non è più un totem.

Ma le cose stanno cambiando. Ormai, la menzionata scadenza del 2035 non è più un totem, e la sua modifica non è più un tabù. Si diceva che i regolamenti europei prevedono una possibile revisione delle normative sulle emissioni solo nel 2026-2027, troppo tardi per intervenire efficacemente su eventuali squilibri o criticità emerse nel percorso di transizione. Al “Tavolo sulla posizione italiana sulla revisione dei regolamenti nel settore auto e della siderurgia” presieduto dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, Ferdinando Uliano e Valerio D’Alò (rispettivamente segretario generale e segretario nazionale di Fim-Cisl) hanno chiesto di anticipare queste clausole di revisione. I sindacati italiani si muovono, e non sono gli unici in Europa. Si diceva che anche la citata Acea sottolinea che l’industria «non può permettersi di aspettare fino al 2026 per la revisione delle normative sulla CO2» e sollecita l’adozione di «interventi di supporto immediati», insieme a una «revisione tempestiva, approfondita e strutturata delle regolamentazioni sulle emissioni di CO2». Va ricordato che Urso aveva proposto al ministro dell’economia e della protezione climatica tedesco, Robert Habeck, di anticipare di un anno, al 2025, l’attivazione della clausola di revisione. Habeck, ambientalista di Lubecca, alla fine ha rifiutato. Questo a fine settembre, però: ora il crollo dell’automotive, la prima industria in Germania, è più evidente.

Si diceva che l’aria sta cambiando, sulla revisione del divieto sui motori endotermici post-2035. Carlo Mapelli la mette così: «Non si tratta di rinunciare alla sostenibilità, ma di favorire una transizione graduale che consenta alle aziende di adattarsi senza compromettere la loro competitività».

Un approccio tecnologico più equilibrato per affrontare la crisi del settore automotive: la promozione delle piattaforme ibride e dei biocarburanti come alternative concrete per una transizione sostenibile e compatibile con le esigenze del mercato

L’impiego di biocarbiranti – sottolinea Carlo Mapelli – è compatibile con la legislazione europea, poiché la CO2 emessa viene riassorbita dall’ecosistema». Questo approccio, come si accennava, consentirebbe di mantenere attive le piattaforme endotermiche, offrendo una transizione più graduale e sostenibile verso soluzioni ecologiche..

Per uscire dalla crisi dell’automotive è fondamentale adottare un approccio tecnologico più equilibrato. Carlo Mapelli identifica due soluzioni che potrebbero ridare slancio al mercato, mantenendo al contempo una traiettoria sostenibile.

Anzitutto, la citata promozione di piattaforme ibride. «Le piattaforme ibride – spiega Mapelli – rappresentano un’opportunità straordinaria non solo per rispondere alle esigenze dei consumatori, ma anche per sostenere la domanda di componenti industriali». Infatti, i veicoli ibridi necessitano di due sistemi di trazione, aumentando così la richiesta di acciai di alta qualità e altre materie prime.

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In secondo luogo, il menzionato utilizzo di biocarburanti. «Il loro impiego – sottolinea Carlo Mapelli – è compatibile con la legislazione europea, poiché la CO2 emessa viene riassorbita dall’ecosistema». Questo approccio, come si accennava, consentirebbe di mantenere attive le piattaforme endotermiche, offrendo una transizione più graduale e sostenibile verso soluzioni ecologiche.

Si tratta, in buona sostanza, di proporre alternative tecnologiche credibili. Per convincere la Commissione Europea e il Consiglio Europeo, è necessario presentare soluzioni tecnologiche che coniughino sostenibilità ambientale e sostenibilità economica. «Queste misure – osserva Carlo Mapelli – rappresentano due opzioni concrete che possono garantire una riduzione delle emissioni senza imporre una transizione forzata verso l’elettrico, che come si è detto oggi presenta ancora molte criticità».

Gli altri problemi della siderurgia: quello dei costi energetici e della competitività

La competizione internazionale e le sfide per la siderurgia europea: come l’eccesso globale di acciaio e la concorrenza sleale stanno minando la competitività dell’industria europea e richiedono interventi strategici per salvaguardare il settore

Il forno ad arco elettrico di Tenova installato presso l’Acciaieria Arvedi. «Per le acciaierie – osserva Carlo Mapelli – il costo dell’energia è determinante, e in Europa, soprattutto in Italia, questo costo è molto più elevato rispetto ad altre grandi aree economiche del mondo». L’Italia, in particolare, soffre di una carenza infrastrutturale nel settore energetico, come dimostra la scarsa diversificazione dei fornitori di gas naturale.

Nella citata lettera alle autorità Eu di IndustriAll European Trade Union e Eurofer, si individua anzitutto uno dei problemi più urgenti: l’eccesso di acciaio prodotto a livello globale, che supera di gran lunga la domanda. Questo surplus, pari a circa 560 milioni di tonnellate, finisce per inondare i mercati europei, dove la Cina gioca un ruolo predominante con oltre 100 milioni di tonnellate di acciaio esportato a prezzi estremamente bassi. Anche Paesi come l’India, il Medio Oriente e l’Asia meridionale contribuiscono a questa concorrenza sleale, rendendo l’Europa il mercato di destinazione per prodotti venduti sottocosto. A questo si aggiungono i costi di produzione molto più elevati rispetto ai competitor internazionali, ma questo tema sarà affrontato a breve.

Un’altra questione cruciale è la debolezza degli strumenti di difesa commerciale europei (TDIs), che non riescono a contrastare efficacemente le distorsioni di mercato causate dall’acciaio importato a prezzi di dumping. Questi strumenti, pur indispensabili, non bastano a salvaguardare la competitività dell’industria siderurgica europea.

Si accennava al fatto che IndustriAll European Trade Union ed Eurofer propongono un piano di interventi mirati, articolati su misure d’emergenza a breve termine e strategie di lungo periodo.

Quanto alle misure di emergenza, una delle priorità è l’introduzione di tariffe sulle importazioni di acciaio a basso costo, una misura indispensabile per arginare l’invasione di acciaio venduto a prezzi di dumping, soprattutto da Paesi come la Cina e l’India. Sebbene questa soluzione debba rispettare le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), è considerata essenziale per riequilibrare il mercato e dare respiro alle acciaierie europee, fortemente penalizzate dalla concorrenza sleale. A questo si aggiunge la necessità di organizzare un “European Steel Summit”, previsto per l’inizio del 2025. Questo vertice di alto livello dovrebbe coinvolgere governi, imprese, sindacati e istituzioni europee, con l’obiettivo di sviluppare un piano d’azione strategico che affronti le sfide immediate e costruisca un percorso di rilancio a lungo termine per la siderurgia.

Il Summit dovrebbe portare alla definizione dello Steel and Metals Action Plan, un piano d’azione strategico volto a risolvere i problemi strutturali del settore siderurgico attraverso interventi mirati. Uno dei punti centrali è la riduzione dei costi energetici, che in Europa sono tra i più alti al mondo e rappresentano un freno significativo alla competitività della siderurgia. Politiche efficaci per abbassare questi costi sono indispensabili per garantire produzioni sostenibili e al contempo competitive sul mercato globale. Un altro elemento cruciale è l’efficacia del Cbam (Carbon Border Adjustment Mechanism), un meccanismo che regola il carbonio alle frontiere e che mira a evitare che i produttori europei siano svantaggiati rispetto ai concorrenti internazionali, spesso soggetti a normative ambientali meno stringenti. Assicurare che il Cbam funzioni correttamente è una priorità assoluta per proteggere l’industria siderurgica europea.

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Interno della fabbrica ORI Martin

Il piano dovrebbe inoltre prevedere misure per garantire l’accesso sicuro alle materie prime strategiche, rafforzando l’autosufficienza dell’Europa e riducendo la dipendenza dai mercati esterni per risorse essenziali. Infine, un pilastro fondamentale dello Steel and Metals Action Plan è il sostegno alla transizione ecologica, un impegno imprescindibile per il futuro del settore. Per rendere le acciaierie più sostenibili senza compromettere la loro competitività, è necessario incentivare investimenti in tecnologie verdi e infrastrutture adeguate alla produzione di acciaio a basse emissioni, favorendo così una decarbonizzazione che sia compatibile con gli obiettivi economici e ambientali dell’Europa.

Il problema dei costi energetici: una sfida cruciale per le acciaierie italiane ed europee, tra carenze infrastrutturali, dipendenza da fornitori esterni e la necessità di soluzioni rapide e sostenibili per ridurre l’impatto economico sull’industria siderurgica

«Per le acciaierie – osserva Carlo Mapelli – il costo dell’energia è determinante, e in Europa, soprattutto in Italia, questo costo è molto più elevato rispetto ad altre grandi aree economiche del mondo». L’Italia, in particolare, soffre di una carenza infrastrutturale nel settore energetico, come dimostra la scarsa diversificazione dei fornitori di gas naturale.

Secondo Mapelli, poi, «affidarsi oggi all’energia nucleare non è una soluzione praticabile nel breve termine, perché le attuali tecnologie a fissione nucleare richiedono tempi di implementazione troppo lunghi rispetto alle urgenze attuali».

Quali sono le soluzioni, dunque? Per quanto riguarda l’Italia, anzitutto, incrementare la capacità di rigassificazione. Per ridurre i costi del gas naturale, è essenziale aumentarne il numero. Questa infrastruttura consente di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, riducendo la dipendenza da pochi fornitori e stabilizzando i prezzi. «Puntare sui rigassificatori – sottolinea Mapelli – rappresenta una soluzione immediata e realizzabile per abbattere i costi energetici, soprattutto in un contesto in cui altre fonti non possono offrire risposte a breve termine».

In secondo luogo, Per l’Europa e per l’Italia, investire nelle energie rinnovabili. Il fotovoltaico, rappresenta un’opportunità cruciale per il Belpaese, grazie alla sua posizione geografica favorevole. Un aumento significativo della produzione di energia da fonti rinnovabili ridurrebbe non solo i costi energetici ma anche la dipendenza dai combustibili fossili, migliorando la sostenibilità dell’industria siderurgica nel lungo termine.

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 16 dicembre)

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