Casini: «Carceri, riforme, Consulta: serve il metodo Giubileo»

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Onorevole Casini, il Papa che per il Giubileo apre la porta di Rebibbia non è un segnale anche alla politica per dire: lavorate per risolvere la tragedia delle carceri e dei carcerati? 
«Questo grande gesto di Francesco mi ha fatto venire alla mente l’invocazione di Giovanni Paolo II, nell’aula di Montecitorio, quando chiese un atto di clemenza per i detenuti. Dobbiamo ricordarci, in questi giorni del santo Natale e con il Giubileo della speranza indetto dal Papa, che c’è un’umanità dimenticata dietro alle sbarre che merita di vivere dignitosamente, non in spazi angusti e in tante circostanze privi di dignità. Ci sono migliaia di persone che hanno sbagliato ma guai a dimenticare che la Costituzione e la nostra cultura giuridica stabiliscono un principio inderogabile: la funzione rieducativa della pena. In realtà, oggi, più che rieducare le nostre carceri finiscono per produrre nuova delinquenza». 

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In una agenda della collaborazione tra maggioranza e opposizione per il 2025 che cosa inserirebbe oltre alla carceri? 
«Intanto direi che non siamo, sul terreno delle intese istituzionali e politiche, all’anno zero. Per restare al Giubileo, è molto significativo l’impegno comune praticato dal sindaco Gualtieri e dal governo centrale. Bisogna dare atto al sottosegretario Mantovano di avere lavorato bene coltivando in maniera concreta la sintonia con il Campidoglio. Da emiliano, aggiungo che lo stesso approccio bisognerebbe praticarlo anche quando ci sono calamità naturali come le alluvioni, la cui ricostruzione deve essere in capo al presidente della Regione». 

Sta dicendo che in quell’occasione il governo non ha fatto la sua parte? 
«Sto dicendo che le bandiere di parte è naturale che si sventolino in campagna elettorale. Ma poi bisogna far prevalere l’interesse comune del Paese che non può rassegnarsi a una competizione permanente, generalizzata su tutto e su tutti». 

Ora per un po’ non si vota, quindi è la fase giusta per far scattare il metodo Giubileo, quello dell’incontro sulle cose e non dello scontro preliminare e finale? 
«L’intesa delle intese, secondo me, dovrebbe essere quella per l’accorpamento delle elezioni amministrative a quelle europee e a quelle politiche. Andrebbe stabilita una sorta di election day da tenersi ogni due anni. Così si evita che il Paese debba subire campagne elettorali permanenti». 

Si ragionerebbe di più e ci si scannerebbe di meno?
«Si avrebbe un clima migliore per fare le cose che è importante fare. Nella Prima Repubblica, tanto detestata, il fatto che si realizzassero intese per la composizione della Corte Costituzionale era il minimo comune denominatore. Non a caso i costituenti hanno messo dei quorum. Lo hanno fatto proprio per spingere le diverse componenti politiche a trovare i compromessi che assicurino un plenum in grado di assumere le decisioni necessarie». 

Si sta realizzando il compromesso per l’elezione dei quattro giudici costituzionali? 
«Io spero fortemente, e non sono il solo, che l’intesa in Parlamento si trovi tra maggioranza e opposizione. Mi auguro che all’inizio di gennaio ci sia finalmente la fumata bianca».

E per la Rai? 
«Francamente, credo che occorra individuare un presidente accettato dalle opposizioni perché la Rai svolga il ruolo di garanzia che spetta al servizio pubblico. L’alternativa è ciò che sta accadendo: un progressivo e silenzioso abbassamento degli ascolti. Poiché i grandi conglomerati finanziari, padroni della rete, stanno diventando i nuovi monopolisti dell’informazione (e anche della disinformazione), il ruolo dei giornali e della televisione pubblica diventa ancora più essenziale per garantire il pluralismo». 

Il 2025, come anno della concordia, potrà essere quello delle riforme istituzionali? 
«Per quanto riguarda l’autonomia, credo che la Corte Costituzionale abbia già messo paletti invalicabili. Per quanto riguarda il cosiddetto premierato, ho ragione di sperare che la presidente del consiglio, Giorgia Meloni, sappia valutare bene i rischi della questione. Uno scontro all’arma bianca sui principii costituzionali rischia di essere controproducente in particolare per chi lo suscita. I problemi dell’Italia non sono quelli riguardanti il ruolo del presidente della Repubblica e il ruolo del presidente del consiglio, che comunque si può dotare di maggiori poteri ma senza inficiare il rapporto di equilibrio con il Capo dello Stato». 
 

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