Le lacrime e gli abbracci allo Tsunami Memorial Park di Ban Nam Khem, in Thailandia – Ansa
«Tutta la Terra sta tremando» dissero gli esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia la mattina del 26 dicembre 2004, quando al largo di Sumatra avvenne terremoto di magnitudo 9,1, il più violento di questo secolo dopo quello di magnitudo 9,5, che colpì il Cile nel 1960, e quello di magnitudo 9,2 avvenuto nel 1962 in Alaska. Quel giorno in pochi minuti la crosta terrestre si aprì di alcuni metri fra la placca Indiana e quella di Burma e si generò una faglia lunga 1.200 chilometri, come dalla punta più estrema della Sicilia al Brennero. Seguì uno tsunami devastante, con un muro d’acqua alto fino a 30 metri che nell’arco di 15 minuti raggiunse l’India, lo Sri Lanka e l’Africa. Le vittime furono circa 230mila.
Le cerimonie
A distanza di 20 anni l’Asia oggi farà memoria di quell’apocalisse. In tutta la regione si terranno cerimonie religiose e veglie sulle spiagge, dove hanno perso la vita molti turisti, anche stranieri, venuti per festeggiare il Natale al sole. In un albergo della provincia di Phang Nga, in Thailandia, è stata allestita una mostra sullo tsunami e sarà proiettato un documentario, mentre funzionari del governo e delle Nazioni Unite parleranno della preparazione al disastro. Nella provincia di Aceh si osserverà un minuto di silenzio prima della visita alla fossa comune dove giacciono quasi 50.000 corpi e della preghiera nella grande moschea della capitale, Banda Aceh. Nello Sri Lanka, dove hanno perso la vita oltre 35.000 persone, i parenti delle vittime e dei sopravvissuti saliranno sul treno Ocean Queen Express in direzione Peraliya (90 km a sud di Colombo), dove i vagoni sono stati travolti provocando circa 1.000 morti.
Un gruppo di donne in preghiera sulla spiaggia di Chennai, in India – Reuters
Come è a cambiato il sistema di allerta
Secondo gli esperti, la mancanza di un sistema di allarme adeguatamente coordinato nel 2004 ha peggiorato le conseguenze del disastro. Da allora, circa 1.400 stazioni in tutto il mondo hanno ridotto i tempi di allerta dopo la formazione di uno tsunami a pochi minuti: quel dramma per l’intera regione dell’Oceano Indiano è stato una spinta alla cooperazione scientifica internazionale, che di fronte alla tragedia è stata fortemente potenziata.
Il capo del Programma Tsunami dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco), Bernardo Aliaga, ha spiegato che il mondo dispone di migliori sistemi di allarme e di una maggiore cooperazione internazionale, anche se c’è ancora del lavoro da fare per preparare le comunità in aree più remote. «Dopo il 2004 c’è stata un’ondata di solidarietà con i Paesi colpiti e quell’ondata di solidarietà includeva molta cooperazione scientifica e tecnica e diplomazia scientifica» ha detto in videoconferenza Aliaga, scienziato cileno entrato a far parte dell’Unesco nel 2001. Dal 2004 a oggi, il numero di boe DART (Deep-ocean Assessment and Reporting of Tsunami) che rilevano gli tsunami è aumentato da quattro a circa 40 in tutto il mondo, mentre attualmente ci sono circa 150 centri con sismografi in tutto il pianeta. Vent’anni fa c’erano solo due centri regionali di allarme tsunami nell’Oceano Pacifico, mentre ora ce ne sono anche nell’Oceano Indiano, nel Nord Atlantico, nel Mediterraneo e nei Caraibi; i tempi di risposta sono scesi da 50 minuti a 5-7.
I mazzi di fiori lasciati sulle dune di sabbia – Ansa
Un centinaio di comunità in 34 Paesi, tra cui Spagna, Costa Rica, Ecuador, Indonesia e India, sono riconosciute dall’Unesco per la loro preparazione al rischio tsunami, anche se ci sono ancora centinaia o migliaia di villaggi e popolazioni vulnerabili e remote che non si sono formate. Nei Caraibi, ad esempio, ci sono 25 comunità preparate, ma l’obiettivo è arrivare a 300 entro il 2030. Aliaga ha avvertito che la preparazione è vitale, poiché è certo che si verificheranno più tsunami in luoghi soggetti a questi disastri naturali, dall’Oceano Indiano al Mediterraneo, ma non si sa quando.
«Allora non esisteva un sistema di allerta rapida nell’oceano Indiano» spiega Alessandro Amato, direttore del Centro Tsunami dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e coordinatore del Centro intergovernativo di allerta per l’Atlantico del Nord Est e il Mediterraneo varato dalla Intergovernmental Oceanographic Commission dell’Unesco. «Non c’era una consapevolezza del rischio. C’erano precedenti, ma non erano abbastanza da tenere alta l’attenzione». L’unica eccezione, aggiunge l’esperto, fu l’isola Simeulue, a nord-ovest di Sumatra, «dove dall’inizio del ‘900 una canzone tramandava di generazione in generazione la storia di uno tsunami e invitava a scappare via dalla costa in caso di terremoto». Ma la consapevolezza era poca anche a livello internazionale, tanto che nell’arco di 50 anni gli unici sistemi di allerta ad essere organizzati erano stati quelli del Pacifico, con il Pacific Tsunami Warning Center che ha il centro operativo alle Hawai, e quello del Giappone.
Le immagini di distruzione del 2004 – Ansa
Adesso, anche il nostro esperto lo conferma, molte cose sono cambiate: si è lavorato molto sulla tecnologia, «anche se sarebbero necessarie campagne di informazione, con sistemi capillare di veicolazione dei messaggi». Per esempio, molti Paesi hanno recepito o stanno recependo la direttiva europea che prevede sistemi di allerta anche per il rischio tsunami e in Italia, ha concluso l’esperto dell’Ingv, «ci sarebbe la possibilità di veicolare le allerta direttamente sui telefoni cellulare tramite il sistema It-Alert, operativo dall’inizio del 2024 e attualmente attivo per incidenti nucleari, incidenti importanti in stabilimenti industriali, collasso di una grande diga, attività vulcanica nelle aree di Campi Flegrei, Vesuvio e all’isola di Vulcano».
L’onda di solidarietà
Se lo tsunami è stato la più grande catastrofe di tutti i tempi, unica è stata anche la raccolta fondi che esso ha generato. Si calcola che siano stati raccolti un totale di 11 miliardi di euro donati soprattutto da privati ma anche da fondazioni, aziende, e stati. Tutte le Caritas nazionali dei Paesi colpiti, sin da subito, sono intervenute portando assistenza e soccorso in una fase iniziale caotica e molto carente di supporto da parte dei Governi, assolutamente impreparati di fronte ad un evento di tale enormità. In una seconda fase, immediatamente successiva, grazie al coordinamento di Caritas Internationalis e alla presenza di molti rappresentanti delle Caritas nazionali europee e del Nord-America, la Chiesa Cattolica – anche dove estremamente minoritaria – ha giocato, proprio attraverso le Caritas, un ruolo fondamentale e riconosciuto nel portare soccorso, speranza e nuova vita soprattutto ai più poveri e deboli.
Le preghiere per i propri cari in uno dei memoriali dello tsunami del 2004 – Ansa
Caritas Italiana ha partecipato allo sforzo collettivo con le risorse provenienti dalla più grande raccolta fondi della propria storia: quasi 37 milioni di euro che sono stati impiegati sin da subito nelle attività di prima emergenza, e poi distribuiti nell’arco di un decennio ad accompagnare processi di cambiamento e sviluppo. Padre Fredy Rante Taruk, direttore di Caritas Indonesia, spiega così l’impegno: «La risposta all’emergenza dello tsunami di Aceh non ha coinvolto solo il governo indonesiano, ma anche la comunità internazionale. Gli aiuti umanitari sono arrivati anche dalla famiglia Caritas di tutto il mondo, collaborando con le organizzazioni umanitarie della Chiesa cattolica in Indonesia e con il governo. Questa solidarietà internazionale è diventata una grande forza nel processo di recupero di Aceh. La famiglia Caritas, compresa la Caritas Italiana, ha svolto un ruolo importante nell’alleviare le sofferenze dei sopravvissuti, affinché potessero risollevarsi rapidamente dalla disperazione. In ricordo di questo momento significativo, Caritas Indonesia esprime la sua più profonda gratitudine a Caritas Italiana e agli altri membri della famiglia di Caritas Internationalis per la loro partecipazione all’assistenza ai sopravvissuti del terremoto e dello tsunami di Aceh. Che lo spirito di solidarietà e la compassione siano sempre i valori e i principi principali nell’aiutare chi è nel bisogno».
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