Ieri, come da tradizione, l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti ha presieduto il solenne Pontificale di Natale nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara, dopo la santa messa della notte di Natale presieduta nella Basilica della Madonna dei sette dolori a Pescara colli. Un Natale impreziosito dall’avvio del Giubileo della speranza, decretato da Papa Francesco con l’apertura della prima porta santa della Basilica di San Pietro e oggi con l’apertura della seconda porta santa nel carcere romano di Rebibbia, del cui messaggio era intrisa anche l’omelia del presule iniziata con la citazione delle letture del giorno: «“Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace. Una voce, le tue sentinelle alzano la voce. Insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore in Sion” – esordisce l’arcivescovo Valentinetti -. Qual è quest’annuncio profetato da Isaia? Sicuramente la venuta di Gesù nel mondo, ma sappiamo che questa venuta è accaduta più di duemila anni fa. E da allora l’annuncio di questa presenza, di questo verbo fatto carne, continua a risonare nella Chiesa, continua a risonare nella vita dell’umanità. E particolarmente quest’anno, quest’annuncio si deve trasformare in un grande anelito di speranza. Ieri (la sera della Vigilia di Natale, per chi legge) Papa Francesco ha aperto la Porta Santa in San Pietro, inaugurando il cosiddetto Giubileo della speranza».
A questo proposito, l’arcivescovo di Pescara-Penne si è chiesto se ci sia effettivamente bisogno di speranza: «Senza dubbio sì – osserva -. In questo tempo abbiamo bisogno della speranza, della speranza umana e soprattutto della speranza cristiana. Un tempo difficile. Papa Francesco continua a dire che è un cambiamento d’epoca. Lo stiamo ripetendo anche noi molte volte. Ma sicuramente è un tempo difficile che vede nazioni contro nazioni, popoli contro popoli, che vede sfaldarsi alcuni capisaldi della vita umana e della vita cristiana. E più che mai ci rendiamo conto di come, specialmente in Italia, l’immagine della società non corrisponde più, come pensavamo essere una volta, all’immagine del cristianesimo, all’immagine del cattolicesimo, della fede. Ci disperiamo? Ci battiamo il petto ricercando le colpe? Vogliamo forse abbandonare il campo, pensando che non c’è più niente da fare? No. Questo Natale, ancora una volta, ci dice che dobbiamo sperare perché il Signore, è sempre Isaia che lo dice, ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni e tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio. Certo, contempliamo un bambino piccolo, povero, umile, in una grotta a Betlemme, obbediente ad un potente dell’epoca che gli aveva ordinato un censimento e Lui impotente, semplice, nascosto ai margini della società, nasce e comincia ad essere la Parola fatta carne. Quella Parola senza la quale niente è stato fatto di tutto ciò che esiste, viene a farci la grande spiegazione di chi è Dio, di chi è il Padre. Dio si ritira, Dio diventa quasi nulla, perché si è fatto uomo e da quel momento in poi chi vede l’uomo vede Dio. Chi vede la creatura umana, qualunque creatura umana, la più abbandonata, la più oppressa, la più insignificante, vede Dio».
Da qui l’esortazione di monsignor Tommaso Valentinetti: «Allora in questo tempo, se siamo cristiani – invita il presule -, se vogliamo essere cristiani, non possiamo non essere uomini e donne di speranza. Una speranza che è da ricomunicare alle nostre famiglie, molte volte divise, squassate. Una speranza da ricomunicare a tutti coloro che sono in fatica. Vengo dal carcere di San Donato, dove ci sono più di 400 detenuti che anelano ad avere una speranza diversa. Forse hanno sbagliato nella vita, sicuramente, ma devono riabilitarsi, non devono pagare le pene fino all’infinito, sennò che società siamo che non riesce a riabilitare? E poi comunicare speranza a chi fugge dalla fame, dalla guerra, dall’odio, dalla violenza. Sì, ancora una volta la dimensione di una immigrazione non selvaggia, perché è possibile farla ben congeniata, è possibile farla strutturata. Ne abbiamo bisogno oltretutto. E poi una speranza per la “madre terra”, così violentata, ancora una volta, ancora e sempre violentata, che si sta ribellando. Ma anche lei ha bisogno di speranza e noi siamo coloro che devono essere i comunicatori di speranza. E una speranza per chi ha perso la fede, una speranza per chi è peccatore, sapendo che Dio – Papa Francesco l’ha ripetuto ieri sera (la Vigilia di Natale) – perdona tutto, perdona sempre, è sempre pronto ad allargare il suo grembo d’amore. Molte volte, e in diversi modi, Dio ha parlato per mezzo dei profeti. Oggi parla a noi per mezzo del Figlio e queste sono le sue Parole. Che per la nostra fede e il nostro recuperare la speranza, tutta la terra possa vedere la salvezza del nostro Dio. Amen».
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