Il 26 dicembre 2004 Pamela Vona, mamma di tre bimbi piccoli, viveva nello Sri Lanka. L’onda la travolse mentre aveva in braccio il figlio di due anni. Il marito era in barca con gli altri due bambini.
«Sotto certi aspetti posso dire di essere nata, anzi rinata, proprio quel giorno». Pamela Vona, che oggi ha 58 anni e svolge l’attività di ipnologa, il 26 dicembre 2004 era con la sua famiglia a Unawatuna, costa sud dello Sri Lanka. Su quel che vide, sulla sua incredibile esperienza di sopravvissuta, ha scritto un libro, «L’onda», edito da De Agostini, più volte ristampato (aggiornato in seguito con un nuovo titolo: «Fino all’ultimo respiro») e poi tradotto anche in India. Fu anche lei testimone dello tsunami, la tragedia che provocò circa 230 mila morti sulle coste di tutto il Sudest asiatico, uno dei peggiori disastri naturali della storia moderna. Tra le vittime di quell’ecatombe, anche 54 italiani.
Quando, alle nove e un quarto, la colossale onda travolse tutto, due dei tre figli di Pamela, Gianmaria e Niccolò, di sei e quattro anni, erano in barca con il padre, imprenditore giramondo nel settore turistico. Lei era in un bungalow, con in braccio Alexis, due anni. Erano rimasti nel resort che avevano proprio su quella spiaggia azzerata dal maremoto. Si salvarono tutti in circostanze rocambolesche. «Un miracolo, anzi un doppio miracolo» ricorda adesso Pamela, parlando al telefono con il Corriere dalla sua abitazione in Spagna, a Javea, vicino ad Alicante.
Vent’anni dopo, di quel dramma «resta tutto. Il ricordo fa più male perché c’è una consapevolezza che sfuggiva in quei momenti. Rimane il senso di colpa di essere sopravvissuti. La tragedia è stata così grande che tutti i giorni ti chiedi: perché siamo tutti vivi? Sarà per questo che oggi mi occupo degli altri». Quel che capitò a questa famiglia è al limite dell’incredibile. Pamela si salvò in un modo mentre Luca, all’epoca suo marito, in un altro. Scene da film catastrofico, in entrambi in casi.
Antefatto: da tempo la famiglia si divideva tra Roma, dove abitavano allora, e lo Sri Lanka, dove Luca e Pamela portavano avanti l’attività dei due resort di lusso, il Full Moon e il Tartaruga. Quella mattina, lui uscì in motoscafo per un gita con dei turisti, «io rimasi nel bungalow con il bimbo più piccolo. Ho il ricordo netto di quella montagna d’acqua che vidi arrivare a una velocità che mi pareva mostruosa…».
Lo tsunami travolse tutto sradicando pure la piccola costruzione che cominciò a girare su se stessa, riempiendosi progressivamente d’acqua ma galleggiando, come fosse una barca. «Pur sotto choc, agii con razionalità: e riuscii con un braccio a tenere Alexis avvinghiato a me. Fummo sballottati in quel modo per un paio di chilometri, oggi mi sembrano ore ma forse saranno stati minuti». A un tratto il bungalow si «sbriciolò, esplose proprio quando si era riempito d’acqua, un altro miracolo. Io continuai a nuotare, inabissandomi, poi riemergendo per respirare». Sopravvissero, «in ospedale avevo tagli gravi a una gamba, fui a un passo dall’amputazione, convinsi i medici dicendo no con la testa…».
Nel frattempo suo marito era sul motoscafo. Come un lupo di mare, «in una frazione di secondo decise di puntare dritto per dritto, dirigendosi verso il largo, il colossale muro d’acqua, nella speranza di scavalcarlo». La manovra riuscì, e lui vide altre imbarcazioni, quelle che invece virarono di 180 gradi nella vana speranza di sfuggire allo tsunami, sparire tra i gorghi dei flutti». Il seguito è una specie di ricomporsi di una serie di miracoli. Luca, Gianmaria e Nicolò, una volta rientrati a terra, s’imbatterono in scene da incubo. Centinaia di morti, distruzione.
Un po’ come nel film La vita è bella, quell’apocalisse venne trasformata in un gioco. «Girovagando qui e là, mio marito convinse i bimbi di essere protagonisti di una caccia al tesoro. “Dobbiamo cercare mamma e Alexis”. Quando tra le macerie vedevano corpi senza vita, Luca diceva che stavano dormendo…». Incredibile, il lieto fine: «Qualche giorno dopo ci ritrovammo. Luca si era girato tutti gli ospedali senza tracce di noi, figurarsi, non c’erano notizie su nessuno, c’era solo caos… Poi riuscii a chiamare mia madre, nel frattempo ci ospitò il nostro cuoco, anche lui rocambolescamente sopravvissuto. Ci rivedemmo tutti proprio a casa sua…».
Ma oggi? «Senza quell’incubo non avrei tirato fuori la mia passione, mi sono data quel coraggio per uscire allo scoperto… lo chiamo il mio salto di coscienza. Ho scritto un libro, ho una mia attività professionale che mi mette a continuo contatto con gli altri: sinceramente non avrei mai fatto ciò che sto facendo oggi. Tutto parte dallo tsunami, non avrei mai sentito quella spinta che mi costringeva a pormi queste domande: “E qui che ci sto a fare?…”, “perché noi siamo vivi e gli altri no?”. Giusto o ingiusto, ho pensato di aiutare il prossimo con quello che so fare, ho preso coraggio. Sono un’ipnologa, lavoro con l’anima, la curo».
«Oggi sento di avere una tenacia tutta mia che mi aiuta a non crollare: dopo che hai visto lo tsunami puoi dire di aver visto tutto e di saper resistere a tutto. Sono orgogliosa di miei figli, erano piccoli e oggi hanno 23 ,25 e 27 anni. Gianmaria ha un’attività in Grecia e Spagna sempre legata al mare, si occupa di patenti nautiche internazionali. Niccolò ha studiato finanza in Olanda, è al secondo master. Alexis vive in Spagna, fa il fotografo. Dello tsunami ne parliamo, non si dimentica, mi sembra tutto come se fosse esattamente ieri. Lo Sri Lanka? Ci sono tornata, ma per restare non più di 48 ore. Mi sono rimasti tanti contatti, però. Sono attiva negli aiuti».
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