Vecchio di neanche un secolo, il fenomeno del turismo si è già trasformato in una emergenza globale. Siamo ancora in tempo per salvarci? Esistono differenze fra turismo e viaggio? Possiamo continuare a definirci dei viaggiatori? Rodolphe Christin ne parla nel suo Manuale dell’antiturismo.
Dalle origini pregne di entusiasmo e speranza alla preoccupante emergenza del nostro tempo. Non è passato neppure un secolo da quando il turismo, fenomeno in parte erede del Grand Tour praticato a partire dal Settecento dai rampolli dell’aristocrazia europea, è cominciato a divenire plurale, ad aprirsi, a espandersi, a rendersi possibile a una platea via via più ampia. Attorno alla metà del secolo scorso, negli anni di ripresa dal complicato dopoguerra, un pubblico sempre più numeroso iniziò ad avere accesso al mondo, alle sue bellezze e alle sue diversità, ma pian piano, l’opportunità diventò norma e la norma assuefazione e l’assuefazione deformò la facoltà democratica del viaggio per tutti, così i sapiens, riunitisi in masse consumistiche, cominciarono a spremere furiosamente tutta la terra scoperta, tutta quella che li ospitava.
Uscito in Francia nel 2017 con Les Éditions Écosociété e arrivato in Italia per l’editore Bordeaux con la traduzione di Luca Bondioli, Manuale dell’antiturismo è l’ultimo saggio firmato da Rodolphe Christin, sociologo e saggista francese, già apparso nelle librerie del nostro Paese con Turismo di massa e usura del mondo.
Naufragare sotto il peso del turismo
Poco o niente ha insegnato la pandemia partita nel tardo inverno del 2020, flagello che ci destò dal nostro lungo torpore e mostrò tutta la effimerità della natura umana, delle sue invenzioni e dei suoi nuovi bisogni, come il turismo, di cui emerse la piena vulnerabilità e quanto possano andare in crisi le economie che puntano tutto su questa risorsa, giovane e tuttora da esplorare. Specie le economie dei territori già fragili – Venezia e Santorini, per fare due esempi più conosciuti – con alle spalle anni di politiche pensate e create per il solo turista, per spingere il meccanismo, anche a scapito dei residenti.
Rodolphe Christin scrive: “Coloro che hanno puntato troppo sul turismo soffriranno poiché l’economia turistica compromette la loro autonomia”.
L’arcipelago greco, ad esempio, conta 227 isole abitate e non è una follia pensare che oggi o domani le orde turistiche non scoprano o, più probabilmente, non vengano indirizzate verso una meta alternativa alle celebri Mykonos o Santorini. Cosa ne sarà allora di queste due iconiche isole trasformate nel tempo in parchi dei divertimenti a uso e consumo del turismo?
Un appello alle amministrazioni
Queste sono domande che la società civile e, di più, i governi dovrebbero iniziare a porsi, ché le criticità del turismo stanno affiorando una dopo l’altra, anche agli occhi dei più ciechi, di chi sussegue a ripetere il pietoso ritornello che la sua regione, la sua città, la sua contrada potrebbe “vivere solo di turismo” e di chi muove accuse verso coloro che, già da tempi non sospetti, mostrando non comune lungimiranza, assumono posizioni critiche contro l’espansione turistica, tacciati di essere nemici dello sviluppo, della diffusione capillare del turismo e della sua sacra “democratizzazione”.
Praticato da pochi ma con un impatto globale
Sì, perché il turismo non è più pratica delle élite, dei soli in grado di percepire il bello e il senso profondo dell’avventura, di lasciarsi segnare dal viaggio, ma si è trasformato in diritto per tutti, indistintamente, con la somma euforia degli apostoli dell’edonismo, del consumismo e del conformismo.
Staccandosi per un istante dalla tendenza alla semplificazione, però – e questo lo precisa bene l’autore fin dalle prime pagine del volume –, il turismo di massa riguarda sempre pochi fortunati – viene presentata anche una cifra: il 3,5% della popolazione mondiale –, “una minoranza di distruttori”, le cui azioni privilegiate impattano sulla maggioranza e sull’intero globo terracqueo.
Il turismo distrugge il pianeta
Divenuto collettivo, il turismo si è rivelato una industria dannosa come ogni altra, capace di prosciugare risorse, produrre rifiuti, inquinare terre, acque, l’ambiente; in una parola: distruggere il mondo. Come succede nel Mediterraneo, macroregione culturale in cui si affacciano ben ventitré stati fra Europa, Asia e Africa e in cui è concentrato “un terzo del turismo mondiale”, con le sue coste erose e il suo ecosistema inquinato dall’incessante antropizzazione del paesaggio.
Ciononostante, tutti ambiscono ad affiliarsi alla minoranza devastatrice, ché “il turismo, spesso innalzato a diritto, a beneficio conquistato o da conquistare, è diventato un dovere per chi vuol vivere nella norma”.
Una realtà irreale
Ecco, questo è un punto cruciale: vivere nella norma, assoggettare a un preciso canone le proprie abitudini e i propri luoghi, vissuti o amministrati che sia. Il turismo di massa deforma i costumi, le tradizioni e intere aree, li formatta, rendendoli tutti uguali e quindi inautentici, manipola senza vergogna la realtà, ne addomestica l’aspetto selvaggio, reale, per trasformarlo in pura immagine, nel proverbiale “paesaggio da cartolina”.
“Interi aspetti della realtà sono ormai costruiti o tenuti in vita per il beneficio principale di un turista che non farà altro che passare e spendere”, si legge in Manuale dell’antiturismo, un turista che magari – il che risulterebbe un’aggravante – è pure consapevole che quella vita autoctona, quello scenario siano stati manomessi, frutto di un artificio, simulati per il suo transito, per accoglierlo, ma a cui sta bene così, ché ormai si preferisce una irrealtà sicura e rassicurante anziché una realtà autentica e perciò incerta.
Turisti contro viaggiatori
Non perdendo di vista il carattere ambientalista dell’opera, Rodolphe Christin parla anche delle pieghe economiche e sociali di quello che abbiamo imparato a chiamare overtourism o iperturismo. Un turismo sempre più performante, consacrato al produttivismo, con buona pace dei promotori delle etichette “slow”, il turismo lento, presente, per l’appunto, solamente nelle ingiallite etichette.
Uno degli aspetti più critici della “turistificazione” del mondo riguarda la popolazione autoctona, locali costretti a lasciare la propria città, ritrovatisi privati dei loro ritmi, dei loro spazi, della loro quotidianità. Un risvolto prioritario, ora esploso ma per troppo tempo tenuto ai margini, se non già insabbiato dagli attori del profitto a ogni costo.
“Ma che cosa resta dei legami tra turismo e viaggio?” si domanda Christin. Quanto è divenuto ampio il divario fra turisti e viaggiatori? Oppure, a ben rifletterci, ha senso parlare ancora di divario, credere che questo esista?
La differenza fra turisti e viaggiatori risiederebbe proprio nella natura del progetto di viaggio: per il viaggiatore costituito da ricerca dell’altro, di stupore inaspettato, in cui il percorso è preferito alla destinazione finale; per il turista, invece, un progetto “tutto incluso”, confezionato dagli operatori turistici secondo i loro interessi, composto da rapporti commerciali, segnalazioni di attrazioni “imperdibili”, negozi di souvenir, locali “tipici” e tabelle di marcia allestite ad hoc, finalizzate al raggiungimento della destinazione ultima nel più comodo e breve modo possibile, privi d’intralci; itinerari ben rodati, certificati, incanalati, ipersicuri, senza l’ombra d’imprevisti – questi assolutamente inconcepibili per il sentimento codificato del turista –, infallibili.
È questo il senso del viaggio? Una parentesi di vita coordinata d’altri, standardizzata, quanto di più incompatibile con lo spirito d’avventura? Un giro sulla ruota panoramica, una messa in scena da fotografare e mostrare al collega rimasto in ufficio ad attenderci una volta conclusa la farsa, una volta ritornati all’insipida ordinarietà delle nostre esistenze?
“La ricerca di sensazioni straordinarie sembra non avere frontiere. Il divertimento egocentrico si nutre di tutto, condito per facilitarne la digestione con una scorza di narcisismo e di desiderio di distinzione.”
Il turismo così come è diventato negli ultimi decenni uccide ogni esotismo, qualunque alterità, ragione principale del desiderio di viaggiare di un tempo, banalizzando e compromettendo l’erranza e tutto il mistero che questa naturalmente ingloba. L’autentico viaggiatore ricerca l’altro, ma oggi “i suoi simili sono dappertutto e gli rinviano la sua immagine anche all’altro capo al mondo”.
“Il mondo non deve diventare un negozio organizzato per la soddisfazione di un consumatore generalizzato. Se l’arte del viaggio può essere l’intensificazione della vita e la scoperta del suo potenziale, l’epoca attuale non è propizia a tale esercizio, ridotta com’è al culto del divertimento più che alla cultura della diversità.”
Esiste ancora una distinzione fra turisti e viaggiatori?
Certo, è semplice condividere determinate riflessioni con chi ha gli strumenti critici e intellettuali per comprenderle. Il turismo però è un esercizio che nel mondo globalizzato si è diffuso così rapidamente da non suscitare più alcun stupore, è diventato prassi nel nostro tempo così inutilmente rapido, sostituendosi nei fatti al viaggio, alla sua antica e nobile concezione.
I contorni dei due emisferi, talmente diversi, si sono sciolti, conglobati sin tanto che potremmo affermare che oggi è praticamente impossibile, anche per i più incalliti avventurieri, opporsi “allo spirito dei tempi” e che è così complicato poterci definire ancora viaggiatori puri, perché, fra voli a basso costo, prenotazioni online di ogni merce e servizio, acquisti di profumi e gratta e vinci ad alta quota, consigli di viaggio, recensioni di ristoranti e alberghi, tasse di soggiorno, applicazioni e registrazioni varie e altre tappe pressoché obbligatorie dello spostarsi del Ventunesimo secolo, “ormai c’è a volte del viaggio nei nostri turismi e sempre del turismo nei nostri viaggi”.
Antonio Pagliuso
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