20 anni fa lo tsunami che nel 2004 devastò i Paesi affacciati sull’Oceano Indiano

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Credits: DigitalGlobe.

Sono trascorsi 20 anni dal 26 dicembre 2004, quando nell’Oceano Indiano al largo della costa nord-occidentale di Sumatra, si verificò un violentissimo terremoto di magnitudo 9.1. Fu il terzo terremoto più forte degli ultimi 60 anni, seguito da uno tsunami distruttivo, con onde alte fino a 30 metri. Questi eventi devastarono la parte settentrionale dell’arcipelago indonesiano, ma anche territori distanti migliaia di chilometri, causando in totale circa 230.000 vittime, 22.000 dispersi e danni per decine di miliardi di dollari. Lo tsunami si propagò per tutto l’Oceano Indiano, arrivando anche in Somalia. Vediamo che cosa accadde esattamente e quali furono le conseguenze.

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Scossa di magnitudo 9.1 con epicentro nell’Oceano Indiano: cosa accadde nel 2004

Il terremoto di Sumatra (o di Sumatra – Andamane) si è verificato alle 7:58 (ora locale) nell’Oceano Indiano: l’ipocentro è stato individuato a 30 km di profondità, mentre l’epicentro a pochi chilometri dalla costa occidentale dell’isola di Sumatra. Il sisma, di magnitudo 9.1, è durato 8 minuti. Per capire come mai abbia potuto verificarsi un terremoto di tale entità, dobbiamo conoscere il contesto geologico dell’area. Esso, infatti, è avvenuto in corrispondenza del margine, detto convergente, lungo il quale la placca indiana scorre sotto quella di Sunda. Qui le placche sono sottoposte a enormi sforzi compressivi, a causa dei quali le rocce accumulano grandi quantità di energia, che talvolta rilasciano all’improvviso sotto forma di onde sismiche. Nel caso del terremoto del 2004, la liberazione di energia è avvenuta con la rottura di una faglia lunga ben 1200 km.

Schema tettonico dell’area di Sumatra. La linea rossa indica il margine tra le due placche, le linee azzurre rappresentano le faglie. Credit: Eric Geist, Geophysicist, USGS Pacific Coastal and Marine Science Center

Onde alte oltre 30 metri raggiungono le coste dell’Indonesia in 20 minuti: lo tsunami

Un terremoto che, come in questo caso, ha ipocentro al di sotto del fondale oceanico, può dislocare quest’ultimo creando un “gradino”. La conseguenza è che la colonna d’acqua sovrastante viene sollevata dando origine a un’onda di tsunami. Il 26 dicembre 2004 è accaduto proprio questo: sul fondale si è creato un dislivello con un’altezza massima di circa 20 metri, che ha innescato onde di maremoto che in mare aperto hanno raggiunto una velocità di circa 700 km/h. Le onde si sono dirette in parte verso le coste più vicine, quelle indonesiane (tsunami locale) e in parte verso il largo in tutto l’Oceano Indiano (tsunami lontano).

Le diverse direzioni delle onde di tsunami (tsunami locale e tsunami lontano).

Man mano che procedono verso le coste, le onde rallentano e crescono in altezza: nel 2004 si sono abbattute sulle coste dell’Indonesia settentrionale appena 20 minuti dopo il terremoto, raggiungendo un’altezza anche di 30 m. La zona più colpita è stata quella della provincia indonesiana di Banda Aceh, dove le acque sono penetrate nell’entroterra per più di 4 km. Le onde che si sono dirette al largo, invece, hanno raggiunto 2 ore dopo il terremoto Sri Lanka, India e Thailandia (qui il mare si è ritirato prima per circa 20 minuti, scoprendo alcune centinaia di metri di spiaggia, per poi inondare le coste con onde alte fino a 18 m). Dopo 3 ore e mezza sono state colpite anche le Maldive, dopo 6 ore le Seychelles e dopo circa 8 ore perfino le coste della Somalia, a più di 5000 km di distanza dall’epicentro.

Simulazione dello tsunami nell’Oceano Indiano. Credits: USGS.

230.000 vittime, la tragedia 20 anni fa

Il terremoto, di per sé, ha causato molti danni e vittime, ma le conseguenze più gravi sono da attribuire allo tsunami. Le vittime, in totale, furono circa 230.000 (di cui un terzo bambini), mentre i dispersi 22.000. In Indonesia i morti furono circa 174.000, nello Sri Lanka 41.000, in India 10.7000, in Thailandia 5300, in Somalia 300.

Un numero così alto di vittime si spiega anche con il fatto che mancava un sistema di allerta tsunami per l’Oceano Indiano, che avrebbe potuto avvisare le popolazioni del suo arrivo. In questo caso, però, anche se il sistema fosse stato attivo, l’allarme non avrebbe potuto essere diramato in tempo per avvertire gli abitanti di Sumatra, dove le onde sono arrivate troppo velocemente (circa 20 minuti dopo il terremoto). Nelle altre località più lontane, invece, l’allerta avrebbe potuto salvare molte vite.

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Per i danni causati da questi eventi, pari ad alcune decine di miliardi di dollari, i Paesi membri dell’ONU hanno stanziato circa 2,6 miliardi di dollari. Le numerose donazioni pubbliche e private, nel tempo, hanno contribuito alla rinascita delle città più colpite, come Banda Aceh.

La tragedia del 2004, se non altro, ha incentivato in tutto il mondo lo sviluppo di sistemi di monitoraggio dei terremoti che avvengono in mare e di allerta per il rischio tsunami. Anche in Italia, a seguito di questo evento, è stato istituito il Centro Allerta Tsunami dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).

Gli effetti dello tsunami in Indonesia nel 2004. Credits: United States Navy.





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