Indagini della Procura di Bologna e dei carabinieri sul gruppo «Da’wa Italia», formato da tutti under 30: il ruolo centrale di una ragazza pachistana che viveva a Bologna e che faceva proselitismo. Un marocchino residente a Milano arruolato per combattere: «Usavano solo materiale online»
Cinque giovani di origine straniera residenti in Italia, tutti con meno di 30 anni e un minorenne, sono stati arrestati in quanto ritenuti responsabili di aver costituito o fatto parte di un’associazione terroristica a sostegno di Al Qaeda e dell’Isis.
I Carabinieri del Ros che stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Bologna su richiesta della Procura della Repubblica di Bologna, Dipartimento Antiterrorismo. L’indagine è stata condotta dalla Procura bolognese con il coordinamento della Procura nazionale antimafia.
Secondo quanto ricostruito i cinque giovani, di origine straniera e residenti a Bologna, Milano, Monfalcone e Perugia, sarebbero a vario titolo responsabili di avere costituito o avrebbero fatto parte di un’associazione terroristica dedita alla promozione, al consolidamento ed al rafforzamento delle formazioni terroristiche globali Al Qaeda e Stato Islamico.
Il gruppo «Da’wa» («Chiamata») che operava in Italia
Quattro dei cinque giovani stranieri indagati e raggiunti da misura cautelare, dopo l’inchiesta della procura di Bologna con il Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri, sono accusati di avere costituito un’associazione terroristica d’ispirazione salafita-jihadista declinata in chiave takfirista, denominata «Da’wa Italia» finalizzata alla promozione, al consolidamento e al rafforzamento delle formazioni terroristiche ‘«Al Qaeda» «e «Stato Islamico».
In particolare, attraverso la propaganda di contenuti jihadisti e al reclutamento di nuovi adepti alla causa, si sono dimostrati pronti a raggiungere i territori controllati dalle milizie jihadiste in Africa e Siria, circostanza che si sarebbe già concretizzata per uno dei sodali, il quale avrebbe abbandonato il territorio nazionale per recarsi nel corno d’Africa prima dell’emissione del provvedimento cautelare eseguito.
Per quanto riguarda il quinto giovane, fratello della principale indagata del gruppo e minorenne, si ipotizza nei suoi confronti l’avvio di un processo di radicalizzazione proprio sotto l’egida della sorella, e a suo carico l’autorità giudiziaria contesta l’ipotesi dell’addestramento finalizzato a un possibile arruolamento nell’ambito di organizzazioni terroristiche jihadiste.
Tutti agivano su scala nazionale utilizzando internet. L’inchiesta è partita nel settembre 2023, partendo dall’azione di monitoraggio sui circuiti radicali di matrice jihadista, con particolare attenzione alla diffusione di contenuti di propaganda attraverso la Rete.
La ragazza che faceva proselitismo: chi c’era nel gruppo
Le indagini si sono concentrate prima sul ruolo ricoperto da una giovane pachistana cresciuta e residente a Bologna, la quale, evidenziando particolare attivismo ed emergendo per l’incessante opera di proselitismo, è stata sin da subito in grado di coinvolgere un’altra giovane di origine algerina di 18 anni cresciuta e residente a Spoleto, insieme alla quale avrebbe formato un gruppo a sé stante dedito alla propaganda e denominato appunto «Da’wa», che in arabo significa «chiamata», intesa nella sua accezione di invocazione ad abbracciare la ”giusta” versione dell’Islam.
Il «miliziano» milanese nel Corno d’Africa
Gli ulteriori approfondimenti hanno permesso di identificare altri partecipi al sodalizio e in particolare acquisire gravi indizi di reità nei riguardi di un giovane marocchino cresciuto a Milano che si ritiene essersi unito alle milizie jihadiste operanti in Corno d’Africa e di un altro di origine turca, da molti anni residente tra le province di Gorizia e Udine dove risultava ben inserito nel tessuto socio-economico della zona. Gli interrogatori di garanzia di due dei cinque arrestati sono fissati per il 27 dicembre. Tra i due che compariranno davanti al gip Andrea Salvatore Romito ci sarà la giovane di origine pachistana residente a Bologna, ritenuta a capo dell’associazione. La ragazza è difesa dall’avvocato Simone Romano.
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