Quando il piccolo Andriy arriva nei pressi della mongolfiera illuminata e dell’albero di Natale installati nel centro di Odessa va in estasi. Sembra non gli bastino gli occhi per guardare tutte quelle luci e resta immobile finché non vede altri bambini entrare nella mongolfiera con la nonna o la mamma. Sua nonna parlotta brevemente con l’uomo che gestisce l’attrazione, per poche grivnia Andriy e la mamma entrano, si siedono nella cabina luminosa e restano finché l’uomo non gli scatta una foto-ricordo. Anche quest’anno nello scatto natalizio che Svetlana, la mamma di Andriy, appenderà su qualche parete della casa alla periferia orientale di Odessa, manca il papà Yuri.
«PER FORTUNA non sono l’unica, ho mia madre e poi alcune delle mie vicine sono sole da tanto, come me…» racconta Svetlana. «Yuri è nel Donetsk ora, prima l’avevano mandato nel Kursk e lì ero preoccupatissima, ma ora è con dei vecchi compagni, alcuni sono anche di queste parti, abbiamo fatto una videochiamata l’altra sera». Andriy si ferma davanti a uno dei chioschetti addobbati che vendono dolciumi e giocattoli. La nonna lo prende in consegna e dopo un po’ il bimbo riappare con una pistola giocattolo, felice e concentrato per capire a fondo il meccanismo per sparare le freccette di gomma.
Yuri era un riservista, aveva fatto parte dei reparti inviati nell’est a pattugliare la cosiddetta zona «Ato» (acronimo inglese di «zona operazioni anti-terrorismo»), come definivano i media e il governo ucraini le linee di demarcazione con le repubbliche separatiste del Donbass dopo il 2014. È originario di Mykolayiv e faceva l’operaio in un cantiere navale, «ma non gli piaceva molto e non guadagnava bene», racconta Svetlana, «così dopo che ci siamo conosciuti si è arruolato nell’esercito, era il 2016, chi immaginava quello che sarebbe successo poi».
Nel 2020 è nato Andriy e Yuri si è congedato. «Dopo l’invasione russa però non c’è stato verso di fermarlo e, a dire la verità, neanche ho insistito tanto» continua Svetlana, «sentivamo che era giusto così, anche se ero molto preoccupata, sia per noi sia per lui (indica il bambino) non volevo che crescesse…». La donna si commuove ma l’intervento energico della nonna ristabilisce la calma. «A Natale del 2022 gli avevano detto che non poteva prendere una licenza perché era di stanza a Kherson, dopo la controffensiva, e bisognava pattugliare la città, ma ci siamo riusciti a vedere ogni tanto a Myoklayiv, che è a metà strada». Nel 2023, invece, la licenza gliel’avevano accordata, ma due giorni prima della partenza gli è stata revocata per qualche «missione urgente». Quest’anno niente, «neanche a parlarne».
«So che altre ragazze nella mia condizione cercano di convincere i mariti a tornare e magari si arrabbiano anche se loro non riescono; io a volte provo una rabbia incredibile, altre sono tristissima, altre penso che non finirà mai o mi sembra che abbiamo sempre vissuto così, da tutta la vita… non so più che pensare. Comunque cerco di non dirgli niente». Le famiglie del suo palazzo festeggiano il Natale secondo il calendario ortodosso, come hanno sempre fatto, nonostante il cambio voluto da Zelensky l’anno scorso per avvicinarsi all’Occidente.
E quindi, come l’anno scorso, «il 7 gennaio mattina ci vediamo con altre donne del palazzo, viene anche mia madre e altre signore e facciamo un piccolo pranzo: ognuno porta qualche piatto tipico, ascoltiamo un po’ di musica e beviamo un po’ di vodka». Stavolta si interrompe per ridere e coinvolge anche la madre che ci tiene a specificare che anche quella è «tradizione».
SECONDO SVETLANA nel suo palazzo sono cinque le famiglie nella sua stessa condizione, ma due di queste il 7 gennaio andranno al cimitero a portare fiori. Le chiediamo se nel suo quartiere ci sono tanti uomini in età da leva che non sono andati a combattere. «Ma certo!», risponde scattando come una molla. E cosa pensa quando li vede? «Che devo pensare, lo sanno tutti come hanno fatto a restare a casa: alcuni si sono comprati i “certificati di invalidità”, altri avevano amici nei posti giusti, altri ancora sono solo nascosti. Qualcuno dice che andrebbero denunciati alla polizia, ma io non voglio farlo, non mi sembra giusto neanche quello, ma a volte, quando li vedo vorrei prenderli a schiaffi fortissimo». «Però non faccio neanche questo» aggiunge dopo un po’ scoppiando a ridere di nuovo.
La necessità di mobilitare forze fresche è il principale problema dello Stato maggiore ucraino, soprattutto ora che manca meno di un mese all’insediamento di Donald Trump. Il quale è tornato a parlare di un incontro con Vladimir Putin poco dopo il suo insediamento alla Casa bianca. Dall’evento Turning Point Usa a Phoenix, in Arizona, il tycoon ha ribadito di voler porre fine «rapidamente» alla guerra in Ucraina e ha dichiarato che anche Putin è d’accordo a un incontro. Il Cremlino, per ora, si limita a dire che non c’è alcun appuntamento già fissato.
Dopo aver salutato Svetlana e la madre, torniamo di fronte alla mongolfiera illuminata e proviamo a fare una piccola statistica: su 15 scatti che osserviamo solo in due figurano anche i papà. Non è un’indagine scientifica, ma fa pensare a tutte quelle fotografie che un giorno saranno il ricordo di questi giorni tristi. E alla tenacia di queste madri che nonostante tutto sistemano i vestitini dei bimbi, li fanno guardare verso l’obiettivo e sorridono a loro volta, e nonostante tutto, per lasciare ai figli un «bel ricordo».
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