Trailer di “Le occasioni dell’amore”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Presentato in concorso all’80ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, con la sua premiere tenutasi l’8 settembre 2023, Le Occasioni dell’Amore (Hors-Saison, letteralmente “Fuori stagione”) è una commedia romantica francese diretta da Stéphane Brizé. Conosciuto per film come La legge del mercato, En guerre e Un autre monde, Brizé ha scritto la sceneggiatura a quattro mani con la giornalista e sceneggiatrice Marie Drucker.
Il film vede protagonisti due volti di spicco del panorama cinematografico internazionale: l’attore francese Guillaume Canet (Il gioco delle coppie, La Belle Époque) e l’attrice italiana Alba Rohrwacher (Il papà di Giovanna, La solitudine dei numeri primi, Perfetti sconosciuti). Rohrwacher è particolarmente nota al pubblico italiano per il suo coinvolgimento nella serie di successo L’amica geniale, tratta dai romanzi di Elena Ferrante, dove ha diretto alcuni episodi e interpretato il ruolo della protagonista Lenù nella quarta e ultima stagione.
La pellicola è stata distribuita nei cinema francesi il 20 marzo 2024, mentre l’uscita italiana è avvenuta il 23 dicembre dello stesso anno grazie alla collaborazione tra I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection. In vista del debutto ufficiale, il film è stato al centro di un tour di anteprime che ha coinvolto il regista Stéphane Brizé e la protagonista Alba Rohrwacher. Il tour è iniziato il 21 dicembre a Bologna presso il Pop Up Cinema Jolly, proseguendo il 22 dicembre all’Anteo Palazzo del Cinema di Milano e concludendosi il 23 dicembre al Cinema Barberini di Roma.
Trama di “Le occasioni dell’amore”
Mathieu e Alice, un tempo uniti da un amore intenso e travolgente, si sono separati bruscamente, lasciando dietro di sé una scia di incomprensioni e rimpianti. Quindici anni dopo, le loro vite hanno preso direzioni diverse: Mathieu è ora un attore celebre, ma ancora in cerca di sollievo dalle sue insicurezze, mentre Alice, insegnante di pianoforte, avverte il bisogno di ritrovare una nuova energia e un senso di rinascita personale.
Il destino li fa incontrare nuovamente, per caso, in un hotel di lusso situato in una località balneare quasi deserta, fuori stagione, dove lei vive e in cui lui è andato a trascorrere una settimana di cure di benessere. Questa reunion inattesa diventa un’opportunità unica per confrontarsi con il passato, ripercorrere i momenti di dolore e gioia che li hanno segnati e trasformare vecchie incomprensioni in una rinnovata complicità. Insieme, si ritrovano a esplorare con delicatezza gli errori di un tempo e le malinconie del presente, scoprendo forse una nuova possibilità di riscatto emotivo.
Recensione di “Le occasioni dell’amore”
Con Hors-Saison, Stéphane Brizé realizza un’opera intimista e delicata, in cui non sono i dialoghi o le azioni a guidare la narrazione, ma piuttosto i respiri, i silenzi, gli sguardi e le espressioni dei protagonisti. Guillaume Canet e Alba Rohrwacher offrono performance straordinarie, capaci di trasmettere con le sole espressioni facciali il ricco mondo interiore dei loro personaggi: anime spezzate, smarrite tra sogni infranti e vite che sembrano essersi cristallizzate in un’inerzia soffocante. Entrambi vivono intrappolati in strutture familiari e professionali che, anziché fungere da rifugio o ancora di salvezza, si rivelano prigioni che soffocano la loro autenticità e creatività.
La regia di Brizé riesce a tradurre questa malinconia anche attraverso l’ambientazione e il linguaggio visivo. La fotografia e la scenografia diventano una proiezione dello stato emotivo dei personaggi. Il mare in tempesta, la spiaggia desolata, il vento incessante e l’assenza di luce solare creano un’atmosfera cupa e sospesa, amplificando il senso di smarrimento e insoddisfazione. Anche l’hotel, con i suoi interni dalle tonalità bianche e blu opaco, minimalisti e quasi asettici, riflette il blocco emotivo e l’inquietudine di Mathieu. L’ambiente diventa così una metafora visiva del suo stato d’animo: un uomo che si sente intrappolato, incapace di agire e di prendere decisioni che potrebbero portare a una trasformazione radicale, ma necessaria, nella sua vita.
In questo film, le ambientazioni non sono solo luoghi interni o esterni in cui si svolgono le scene, ma anche espressione della psiche dei personaggi. Non ero mai riuscito a farlo prima. L’immenso e asettico grand hotel è una metafora del mondo perfetto del personaggio di Guillaume, nel quale non si sente più felice. E la cittadina di mare assonnata è una parentesi in un ciclo. Nelle sue strade sono successe tante cose, presto ne succederanno altre, ma questa è la bassa stagione. Niente. Un luogo tranquillo con spazio per l’introspezione. Tanto che potrebbe anche imporla
Cit. Stéphane Brizé
Mathieu è il ritratto di un uomo paralizzato dalla paura di rischiare. Vive in un equilibrio precario, consapevole che la sua esistenza, così com’è, non gli offre né felicità né soddisfazione, ma al tempo stesso spaventato dall’idea di mettersi in gioco e affrontare le incertezze del cambiamento. Questa condizione lo spinge a cercare un senso nel vivere, ma la sua riluttanza a compiere scelte coraggiose lo condanna a un’esistenza incompiuta, in cui il desiderio di libertà e autenticità rimane costantemente fuori portata.
Anche il personaggio di Alice, inizialmente presentata come una donna apparentemente soddisfatta della propria vita, si rivela nel corso della pellicola fragile e insicura di fronte a Mathieu. Sotto la maschera di falsa felicità e apparente realizzazione, Alice nasconde una profonda tristezza e un senso di insoddisfazione che la avvicinano in modo speculare al suo ex amante. Come Mathieu, anche lei si trova intrappolata in una vita che non rispecchia più i suoi desideri: bloccata in un matrimonio privo di passione e amore autentico, lontano dall’intensità e dalla complicità che caratterizzavano il legame con Mathieu.
Nonostante il sentimento profondo e reciproco che ancora li unisce, né Alice né Mathieu riescono a superare la paura di abbandonarsi completamente l’uno all’altra. Entrambi sono prigionieri di schemi emotivi che li portano a preferire una vita di comode sicurezze piuttosto che affrontare i rischi di un cambiamento radicale. Alice, così come Mathieu, ha rinunciato a inseguire i propri sogni, scegliendo una stabilità che, seppur rassicurante, soffoca la sua autenticità e la sua capacità di brillare.
La parabola di Alice è speculare a quella di Mathieu: entrambi rappresentano due facce della stessa medaglia, uniti dalla depressione e dalla paura di lasciarsi andare. Se da un lato Mathieu cerca conforto nella sua carriera artistica, pur sentendosi sempre più svuotato, Alice si rifugia nella sua vita familiare e professionale, incapace di osare per recuperare la propria libertà interiore. Questa dualità, fatta di desiderio e paura, di amore e incertezza, è il cuore emotivo della pellicola, che esplora con delicatezza l’incapacità di lasciarsi andare verso una felicità piena e autentica.
Questi elementi interiori non emergono principalmente dai dialoghi, sebbene ben scritti, ma attraverso un lavoro di regia attentamente calibrato. Stéphane Brizé adotta uno sguardo distaccato, quasi esterno, che si mantiene lontano dall’intimità più profonda dei due protagonisti. La macchina da presa predilige spesso inquadrature a due e campi medi, evitando mezzi primi piani o primi piani che avrebbero potuto rivelare dettagliatamente le espressioni dei volti. Solo in rari e significativi momenti il regista sceglie di avvicinarsi maggiormente ai personaggi, rompendo questa distanza con parsimonia.
La regia, nella sua staticità iniziale, pone l’accento sullo stato d’animo di Mathieu, presentandolo nel contesto dell’ambiente circostante e nella quotidianità del luogo, sebbene quest’ultima avrebbe potuto essere approfondita maggiormente, soprattutto per quanto riguarda il percorso di cura intrapreso dal protagonista. Nel corso della narrazione, tuttavia, il linguaggio visivo si evolve: alla staticità iniziale si aggiungono leggere panoramiche e movimenti di macchina su carrello, quasi impercettibili, che introducono un progressivo avvicinamento ai personaggi.
Questo approccio, sempre discreto, è utilizzato con particolare efficacia nelle scene che vedono Mathieu e Alice insieme. Qui la macchina da presa si avvicina quel tanto che basta per trasmettere un senso di delicatezza e armonia, riflettendo la connessione emotiva e la rarefatta felicità che i due protagonisti riescono a trovare solo nei loro momenti condivisi. L’uso oculato di questi espedienti non solo arricchisce la narrazione, ma sottolinea con sensibilità la complessità delle emozioni in gioco, restituendo una dimensione di autenticità che avvolge ogni interazione tra i personaggi.
Questo non è un film di lotta. Ho sentito il bisogno di abbassare la macchina da presa dalla spalla del direttore della fotografia – a differenza dei quattro film precedenti – e di posizionarla su un treppiede. Senza dubbio per trasmettere quel senso di stasi provato dai personaggi. Da un lato, per il personaggio di Guillaume, si trattava di tradurre l’idea di essere schiacciato, di metterlo al centro di geografie interne ed esterne troppo grandi per lui. Le inquadrature suggeriscono anche un cambiamento nel suo dolore e nei suoi dubbi, rendendoli al contempo tragici e derisori. Come i personaggi di Sempé che sembrano persi in un mondo troppo grande per loro. Per il personaggio di Alba il discorso è diverso, abbiamo dovuto lavorare sul suo isolamento, come se fosse sola con il suo segreto in mezzo agli altri. Sola anche nei momenti di festa, come la festa di compleanno della figlia o quando lei e il marito invitano gente a cena. E quando Alba e Guillaume si incontrano, non c’è quasi mai un’inquadratura senza loro due insieme. È come una solitudine finalmente spezzata e da lì il bisogno di stare insieme. La difficoltà è stata quella di costruire ed espandere una storia con due personaggi che non stanno litigando, che sono un po’ affannati per gli anni appena trascorsi e che non stanno cercando di sedursi. Due persone che non hanno cercato di trovarsi, che sono felici di rivedersi quando se ne presenta l’occasione e che non nutrono odio reciproco. Non c’è una che vuole il giallo e l’altro che vuole il blu. I fili si fanno più tesi, facendo emergere gradualmente le cose non dette ma senza mostrare tutto, a volte riprendendo da dietro, rivelando il dolore sotterraneo e le bugie che raccontiamo a noi stessi e agli altri. Senza mai essere esplicativo. La narrazione è tesa anche perché lo spettatore sa cose sul dolore di entrambi senza che loro se lo mostrino a vicenda. Un film di evocazioni più che di spiegazioni. Allo stesso tempo, tutto deve essere sempre chiaro tra i personaggi, lasciando spazi vuoti in cui l’immaginazione dello spettatore possa proiettarsi. Anche la texture dell’immagine evoca uno spazio-tempo che non è quello di un presente oggettivo ma nemmeno quello di un passato superato.
Cit. Stéphane Brizé
In conclusione
“Le Occasioni dell’Amore” si distingue come un’opera che esplora la fragilità umana e il bisogno di riconciliazione con se stessi e con gli altri. Grazie alla regia intimista di Stéphane Brizé e alle straordinarie interpretazioni di Guillaume Canet e Alba Rohrwacher, il film regala uno spaccato autentico e struggente della vita e delle sue contraddizioni, sebbene alcuni elementi narrativi avrebbero potuto essere approfonditi maggiormente.
Note positive
- Interpretazioni di Guillaume Canet e Alba Rohrwacher di grande intensità.
- Regia che enfatizza stati d’animo attraverso scenografia e fotografia.
- Atmosfera malinconica e riflessiva ben costruita.
Note negative
- Dialoghi meno incisivi rispetto all’estetica visiva.
- Ritmo lento che potrebbe non coinvolgere tutti gli spettatori.
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