Con la sentenza «paesi sicuri» che la Cassazione ha pubblicato giovedì il governo ha cambiato strategia. Invece di attaccare la decisione, come in quelle relative all’Albania, l’ha rivendicata attraverso una sua interpretazione che ne stravolge il significato. «Ci dà ragione», è stato l’ordine di scuderia partito nella stessa giornata e rilanciato dalla maggioranza. La premier Giorgia Meloni ha fatto sua questa posizione domenica, sottolineando dalla Lapponia che per gli ermellini «è diritto dei governi stabilire quali siano i Paesi sicuri».
IERI IL LEITMOTIV è risuonato nel comunicato conclusivo del vertice a Palazzo Chigi, con la premier c’erano i sottosegretari Mantovano e Fazzolari e i ministri Tajani, Crosetto, Piantedosi e Foti (non invitato Salvini). Il breve testo ribadisce l’intenzione di andare avanti sulle «soluzioni innovative al fenomeno migratorio», centri albanesi in primis, insieme ai partner Ue «anche alla luce della recente sentenza della Corte di Cassazione che ha indicato le competenze relative all’individuazione dei Paesi di origine sicura a livello nazionale». E già qui viene il dubbio se la massima Corte abbia affermato che questa qualificazione spetti all’esecutivo, invece che alla magistratura, o che riguardi il piano nazionale, al posto di quello europeo.
IL FATTO è che non ha stabilito né l’uno né l’altro. O meglio, nella lunga e complessa sentenza ha detto entrambe le cose ma non era quello il punto. Che spetti ai governi stilare la lista «paesi sicuri» non lo contestano né giudici, né giuristi. Il cuore della decisione è un altro e risponde al quesito avanzato lo scorso luglio dal tribunale di Roma nell’ambito di un ricorso contro il diniego dell’asilo a un cittadino tunisino. L’oggetto del rinvio era se ed eventualmente come l’autorità giudiziaria deve verificare che l’esecutivo abbia classificato legittimamente un Paese come sicuro. Ovvero se quella scelta rispetta le norme e le informazioni delle fonti qualificate (paesi membri, commissione nazionale asilo, agenzia europea per l’asilo, Unhcr).
IL TEMA del «se» era stato chiarito nel frattempo dalla Corte di giustizia Ue che il 4 ottobre ha stabilito che sì, le toghe devono verificare. Il punto vero era dunque il «come»: la Cassazione ha affermato che il giudice ordinario «nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione». Se non la ritiene legittima può disapplicare il decreto paesi sicuri «allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale». La sentenza si riferisce al decreto interministeriale in vigore prima che i paesi sicuri fossero inseriti in una legge. Nel primo caso si trattava di atto amministrativo, disapplicabile quando contrasta con le norme primarie. Ora il giudice potrebbe disapplicare la legge nazionale per far valere quella Ue.
I CONSULENTI GIURIDICI del governo si sono subito messi al lavoro per cercare appigli utili a limitare comunque il potere di controllo delle toghe. Uno è che questo sarebbe possibile solo quando il richiedente asilo mette in dubbio la generale situazione di sicurezza del paese di origine (non relativa alla sua condizione specifica, che è caso diverso). L’altro è quella specifica sul contrasto tra scelta governativa e legge che deve essere «manifesto».
LA SENTENZA, COMUNQUE, riguarda indirettamente i trattenimenti in Albania. Questi erano stati al centro della seconda parte dell’udienza del 4 dicembre che ha accorpato il rinvio del tribunale di Roma e i ricorsi del Viminale contro le prime liberazioni dei migranti dal centro di Gjader. Di queste cause non si conosce ancora l’esito, ma dovrebbe arrivare nei prossimi giorni. È significativo che il governo non abbia atteso, partendo in quarta con toni trionfalistici. Sicuramente pesano gli equilibri interni alla maggioranza, con Meloni che vuole sbarrare la strada a un Salvini ringalluzzito dalla recente assoluzione.
LE DICHIARAZIONI, però, potrebbero anche puntare a mettere sotto pressione la Corte d’appello della capitale che dall’11 gennaio diventerà competente, al posto della sezione specializzata in immigrazione del tribunale civile, sui centri d’oltre Adriatico. Se i trasferimenti dovessero davvero riprendere, anticipando anche la Corte Ue che in primavera chiarirà molte cose, e se anche i giudici di secondo grado non convalidassero i trattenimenti l’esecutivo avrebbe nuovi argomenti per ripartire all’attacco delle toghe. Del resto, «la Cassazione ci ha dato ragione».
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