«Circolarità non significa riciclo e basta. Una corretta gestione dei rifiuti è buona parte del lavoro. Ma fare la differenziata non significa essere bravi nell’economia circolare». A parlare è Mario Grosso, docente di “Solid Waste management and Treatment” e “Mitigazione dei cambiamenti climatici” del Politecnico di Milano, e delegato della Rettrice Donatella Sciuto che, con la seconda edizione dell’evento Change, format creato l’anno passato in collaborazione con Pianeta 2030 per presentare il Piano Strategico di Sostenibilità dell’Ateneo, ha rinnovato l’impegno per ambiente e società.
Dal 2021 l’Italia ha iniziato a eliminare la plastica monouso da fossile. Il Politecnico di Milano sperimenta modi innovativi per fare la differenziata e lavora a un’analisi costi-benefici multidisciplinare che consideri i fattori etici e sociali
«Il primo passo per produrre meno rifiuti è utilizzare meno imballaggi», prosegue Grosso. «In Europa e in Italia abbiamo stabilito molte regole per diminuire l’uso di plastica,tanto che lo slogan “plastic free” è tra i più diffusi. Ma il problema è più complesso di quanto sembri. Ricordiamo ad esempio che in un’analisi dell’impatto ambientale complessivo di una bottiglia di plastica, dalla produzione al trasporto fino all’uso finale, rispetto al vetro questa è migliore perché pesa venti volte meno e produce emissioni da trasporto in quantità molto ridotta. Dovremmo, piuttosto, riformularlo contro il concetto di monouso, a prescindere dal materiale».
Problema monouso
Con la Direttiva Ue “Sup” (Single use plastic, plastica monouso) del 2019 e il decreto-legge entrato in vigore il 14 gennaio 2022, è stato progressivamente vietato il monouso di plastiche fossili. Ma tra le file dei supermercati continuano a trovarsi forchette e bicchieri “usa e getta”. Solo, in bioplastica. Ma anche queste richiedono un materiale di partenza ed energia per lavorarle. E non è detto che l’impatto sia inferiore, va verificato caso per caso. Per fare chiarezza il Politecnico di Milano ha creato un network interno, il “Polimi Lca Network”, in cui sono riunite tutte le competenze necessarie a una valutazione di Life Cycle Assessment – l’approccio che considera le componenti, le emissioni e le variabili di ogni fase di vita di un prodotto, dal concepimento allo smaltimento – per supportare le scelte dell’Ateneo dall’energia alla mobilità, dai servizi di ristorazione a quelli di pulizia.
Dove buttare i sacchetti
«Gli equivoci sono molti», continua Grosso, «a partire dal fatto che si richiede che le bioplastiche vengano conferite con l’organico. Ma i sacchetti per comprare frutta e verdura, per esempio, realizzati con plastiche compostabili e biodegradabili, negli impianti di trattamento dell’umido vengono spesso tolti meccanicamente perché comportano una serie di problemi e non si degradano». La Direttiva Europea 2018/851 indica di buttare insieme rifiuti organici e imballaggi biodegradabili e compostabili, ma il testo è interpretabile. «La direttiva usa il verbo “may”, sovrapponibile al nostro “può”», spiega Grosso. «E Paesi diversi la applicano in maniera diversa: alcuni impongono il conferimento delle bioplastiche insieme all’organico (Italia e Spagna) e altri(Germania e Paesi Bassi)lo vietano. Ma anche buttarle insieme alla plastica è da evitare perché non sono ancora riciclabili».
Il ruolo della comunità
Il Politecnico di Milano, in alcune aree dei suoi campus, ha installato un sistema intelligente per aiutare a fare la raccolta differenziata: si tratta di un impianto elettronico connesso ai cestini, con un tablet che sulla base della tipologia di rifiuto spiega come buttarlo e come funziona il suo smaltimento. Nel campus Bovisa c’è un’area con piccoli orti connessi a una compostiera che coinvolge anche la comunità esterna: «Ma perché questi sistemi funzionino occorrono persone in grado di gestirli», commenta Grosso. «Qui abbiamo creato un modello virtuoso perché i cittadini del quartiere gli dedicano del tempo. A Chamonix, in Francia, nei parchi ci sono semplici compostiere con tre contenitori: uno per conferire gli scarti di cucina, uno con del materiale legnoso da miscelare e uno con compost pronto ritirabile gratuitamente. Sembra funzionare, mi ispirerò. Ma lì fa meno caldo che a Milano».
Come comportarci?
In ogni caso, prima di pensare a come riciclare bisogna produrre meno rifiuto. «Viste le criticità dei sacchetti in bioplastica», aggiunge Grosso, «possiamo passare a buste in carta rinforzata, più resistenti e più facilmente smaltibili. Ciò su cui dobbiamo lavorare, però, sono le abitudini comportamentali, la consuetudine». Al bistrot del polo di Lecco del Polimi partirà una sperimentazione legata alla riduzione delle stoviglie monouso e all’implementazione di sistemi di lavaggio. «In altri campus, però, potrebbe essere difficile installarli perché c’è meno spazio», commenta Grosso. «La realtà è tanto complessa che non basta attenersi a poche regole generali, come nell’ambito dei sacchetti per frutta e verdura che probabilmente creano meno problemi nel contenitore dell’indifferenziato.
Quando cambia il paradigma
Anche la loro produzione sconta il fatto che si tratta di processi nuovi, da ottimizzare, mentre quelli delle plastiche da fonti fossili
hanno decenni di esperienza e volumi tali che i costi si abbattono. In generale i prodotti “bio” (materiali, ma anche combustibili) si giustificano maggiormente se generati da flussi di rifiuti, di scarti; ma il paradigma economico che cerchiamo di favorire vorrebbe ridurli, questi scarti. Si crea un cortocircuito, con il rischio che si importino rifiuti da altri Paesi lontani, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di impatti ambientali. Il primo tassello dell’economia circolare rimane la sobrietà, la moderazione. Sempre».
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