CASTAGNETO CARDUCCI – “Il vino si può fare anche con l’uva”. Un detto popolare che, secondo quanto emerge dall’ultima inchiesta di Report, in Toscana non è preso molto sul serio. Messo sul piatto da portata che gran parte del vino imbottigliato con denominazione locale arrivi da altre regioni, è logico e doveroso porsi qualche domanda.
A rimetterci è come sempre il consumatore. Concedersi il piacere, per non dire il lusso, di una bottiglia di Chianti Classico può nascondere spiacevoli inconvenienti. Come l’aggiunta di migliorativi per mascherare le caratteristiche organolettiche del prodotto e renderle più conformi ai canoni dei disciplinari di produzione.
Ma in fondo “i toscani sanno vendere”, questo è il commento più in voga dopo la puntata di ieri della trasmissione di Rai 3. Che sia del vino annacquato o che sia prodotto con uve provenienti da fuori regione non importa, la nomea arriva prima del vino stesso.
Forse è difficile così a caldo stabilire il reale confine tra cosa è lecito e cosa no. Si tende sempre a mettere in dubbio indagini di questo tipo per mancanza di testimonianze e prove concrete. Quel che è certo è che qualcosa è andato storto nel sistema e che ora a temere sono anche i produttori che da sempre si prefiggono obiettivi di trasparenza e reale qualità del prodotto.
Come in tutto, si devono avere due pesi e due misure. I grandi nomi della viticoltura toscana che non riescono ad affrontare la grande domanda e si sentono costretti a ricorrere a queste drastiche misure, non devono essere messi sullo stesso piano dei piccoli produttori.
A tal proposito Francesco Anichini del Vallone di Cecione di Panzano in Chianti (Firenze), produttore anche di Chianti Classico, dice a Virtù Quotidiane: “L’inchiesta di Report sui vini rossi toscani mi pare un po’ generica e per certi versi un po’ ovvia. Il lavoro di un grande commerciante di vini non può essere equiparato a quello di un piccolo produttore che magari lavora solo con le proprie uve attenendosi ad un concetto produttivo profondo che non mira solo al guadagno ma che vuole mantenere fedeltà ad uno stile produttivo ed espressivo”.
“Io non ho esperienze dirette con commercianti di vini e quindi non sono in grado di confermare o meno quanto riportato nell’inchiesta” aggiunge, “dal canto mio credo che se le cose sono fatte nel rispetto dei regolamenti e del disciplinare di produzione tutto va bene altrimenti ovviamente si fa incontro non solo a sanzioni, ma ad un modo di concepire vino che non mi appartiene”.
“Io credo che per continuare a far crescere questo mondo ci sia bisogno di dare credibilità e certe inchieste forse non vanno in questa direzione creando disorientamento nel consumatore meno attento che dovrebbe comunque porsi delle domande”.
Che sia stata una mera trovata di marketing da parte di Report per incalzare lo share del periodo natalizio o meno, non è ancora possibile dirlo senza concreti fatti da parte delle autorità. Fatto sta che si deve dare il merito al programma – in questo come in altri casi – di rendere noti non agli addetti ai lavori, ma al grande pubblico generalista, fatti di cui altrimenti non si sarebbe mai saputo nulla.
Instillare quel dubbio, piccolo o grande che sia, che può far crollare certezze e fiducia, ma che di certo pone tutti sullo stesso piano di conoscenza.
Illecito o no, si è perso quel passaggio di totale trasparenza che andrebbe riconosciuto a chi crede nel settore tanto quanto a chi vuole solo concedersi una bottiglia di buon vino. Si parla di Toscana, ma cosa impedisce all’ormai canzonato consumatore di credere che ciò non avvenga in altri territori o addirittura in altri settori?
Viene ora da domandarsi cosa accadrà alle vendite di questi celebri vini toscani, soprattutto in un periodo delicato come questo. Alla fine poco importa, i regali di Natale ormai sono già stati fatti.
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