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Abitabilità in deroga esclusa col Condono senza rispettare DM 5 luglio 1975 • Carlo Pagliai ingegnere urbanista #finsubito prestito immediato


Deroga altezza minima locali abitabili ottenibile a certe condizioni

Anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 105/2024 “Salva Casa” non ci sono vie d’uscita per certi immobili condonati con rilascio della concessione in sanatoria, ma privi dei requisiti di abitabilità. Sembra un controsenso ma è così, secondo quanto stabilito da tempo con sentenza n. 256/1996 della Corte Costituzionale, ovvero che la domanda di Condono edilizio non garantisce automaticamente la regolarizzazione dell’immobile.

Anche il regime straordinario del Condono L. 47/85, L. 724/94 e L. 326/03 è sottoposto all’obbligo di dotazione di Agibilità/Abitabilità, in base alle tipologie di opere effettuate; tale obbligo ha origini dal comma 20 articolo 35 L. 47/85 che introduce una previsione speciale di Abitabilità o Agibilità, rilasciabile asseritamente anche in deroga; quel “anche” significa che il rilascio automatica può avvenire pure senza deroga:

A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni.

L’art. 35 c. 20 della L. 47/85, ovvero il primo condono edilizio, non contiene una deroga indiscriminata e totale verso qualsiasi norma igienico-sanitaria e verso le procedimenti che autorizzano l’Abitabilità o Agibilità; al contrario, il rilascio della Certificazione di Abitabilità in deroga è circoscritta ad una serie di condizioni e limiti. La giurisprudenza è costantemente orientata a considerare tale deroga limitatamente valida soltanto nei confronti delle norme regolamentari (di secondo grado o locali), ma non anche verso le fonti normative di livello primario. Si tratta di un principio instaurato dalla sentenza di Corte Costituzionale n. 256 del 18 luglio 1996, ribadito da numerose sentenze del Consiglio di Stato (tra le tante, Cons. di Stato n. 9752/2023, 4774/2020, n. 3715/2017).

La suddetta sentenza costituzionale n. 256/1996 ha espressamente riconosciuto ai Comuni la permanenza di tutti gli obblighi «inerenti alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie per l’abitabilità degli edifici, con l’unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari». Ebbene sì: possono formarsi situazioni assurde di immobili condonati sotto il profilo urbanistico edilizio, ma inagibili o inabitabili perché in nessuna ipotesi potrebbero ottenere Agibilità e Abitabilità. Un vero controsenso.

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Senza i requisiti di Abitabilità, niente deroga e niente condono

Prendiamo a riferimento la fattispecie trattata nella sentenza di Consiglio di Stato n. 9752/2023, riguardante il diniego dell’istanza di condono edilizio ex L. 23/12/1994, n. 724, per sanare un soppalco abusivo, di circa 30 mq, con un’altezza netta di mt 1,95, realizzato all’interno di un appartamento. Il diniego espresso dal Comune avverso l’istanza di condono è stato ritenuto correttamente motivato dalla presenza di «due soppalchi realizzati aventi altezza ognuno di mt 1,95 ed adibiti a “ripostiglio” non permettono ai vani sottostanti dell’appartamento di avere un’altezza utile di mt. 2,70 ed al bagno di mt. 2,40, causandone inabitabilità così come disposto dal D.M. 05/0/1975. Tali norme, che attengono alla tutela della salute, non sono derogabili ai fini dell’abitabilità».

La norma del D.M. 5/7/1975, che fissa «l’altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione … in mt. 2,70 riducibili a m. 2,40 per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli» (art. 1), si limita a dare attuazione al precetto primario inderogabile contenuto nell’art. 218 del R.D. 27/7/1934, n. 1265, peraltro esplicitamente richiamato nel preambolo del citato D.M., per cui l’inosservanza della detta disposizione regolamentare, viola, contemporaneamente, anche l’art. 218 del R.D. 1265/1934, con la conseguenza di impedire il rilascio del condono edilizio.

La violazione della normativa contenuta nel citato D.M. 5/7/1975 impedisce il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, richiesta con istanza di condono. Infatti, l’art. 35 della L. 47/1985 dispone, al comma 20, che: «A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni».

Riguardo all’interpretazione della trascritta norma, il Consiglio di Stato, con propria sentenza ha già affermato che: «il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato, conseguente al condono edilizio, ai sensi del citato art. 35 comma 20 l. n. 47 del 1985, può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti condizioni di salubrità richieste invece da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale (Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 2004 n. 2140; 13 aprile 1999 n. 414).
Tale orientamento risulta, peraltro, del tutto coerente con quello espresso dalla Corte Costituzionale, che, con sentenza 18 luglio 1996 n. 256, ha affermato che la deroga introdotta dall’art. 35, comma 20, “non riguarda i requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel rilascio del certificato di abitabilità… a seguito di concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al momento del rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui all’art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui all’art. 4 del D.p.r. 425/94), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva normativa tecnica…. Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie per l’abitabilità degli edifici, con l’unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari”.
Orbene, alla luce della giurisprudenza riportata e della lettura costituzionalmente orientata della norma, resa dalla Corte Costituzionale, appare evidente che non è possibile ritenere che l’art. 35, comma 20, l. n. 47/1985 contenga una deroga generale ed indiscriminata alle norme che presidiano i requisiti di abitabilità degli edifici, e ciò proprio perché – come chiarito sempre dalla Corte Costituzionale con la sentenza citata (e già prima con sentenza n. 427/1995) – la detta legge intende contemperare valori tutti costituzionalmente garantiti, quali, tra gli altri, da un lato il diritto alla salute e dall’altro il diritto all’abitazione e al lavoro.
Una interpretazione che validi una deroga “generale” alla normativa a tutela della salute, con particolare riguardo al luogo di abitazione, si porrebbe, dunque, in contrasto non solo con l’art. 32 Cost., ma anche con quelle stesse esigenze di contemperamento tra diversi valori costituzionali, proprie della legge n. 47/1995.
Pertanto, mentre possono essere derogate norme regolamentari, non possono esserlo norme di legge, in quanto rispetto ad esse la deroga non è evocata nell’art. 35, comma 20».

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