«Lo schiaffo della Glencore ai lavoratori non può restare impunito. Dalla forza della risposta che arriverà dalle istituzioni si misurerà la loro coerenza rispetto agli impegni presi». Così il segretario della Cgil Sardegna, Fausto Durante, commenta la decisione della multinazionale anglo-svizzera, proprietaria della Portvesme srl, di chiudere, a partire da dopodomani, la linea di produzione dello zinco dello stabilimento di Portoscuso, nel Sulcis.
«GLENCORE – aggiunge Durante – certifica la fine della fabbrica. E lo fa senza nemmeno aspettare, come concordato poche settimane fa al tavolo di trattativa presso il ministero delle Imprese e del made in Italy, gli esiti della visita dei funzionari e dei tecnici dello stesso ministero in corso proprio in questi giorni a Portoscuso, programmata con lo scopo di capire come rilanciare lo stabilimento. In spregio a una regione intera in cui ha fatto profitti per decenni, Glencore pensa di potersene andare lasciando solo macerie e senza pagare pegno. In violazione degli accordi presi con i lavoratori e con il governo, l’atto compiuto da Glencore rivela una totale assenza di responsabilità sociale. È un atto inaccettabile».
I DIPENDENTI della Portovesme srl sono 1.200: 500 diretti, il resto indotto. Il blocco della linea di produzione del piombo significa cassa integrazione per i primi e perdita del lavoro senza alcun ammortizzatore per i secondi. Glencore vorrebbe andare via dalla Sardegna perché, sostengono i suoi manager, il costo dell’energia che si paga nell’isola, a causa di un sistema di produzione e di distribuzione giudicato penalizzante rispetto al resto d’Italia, sarebbe troppo alto e renderebbe l’attività a Portoscuso scarsamente remunerativa. Per risolvere la vertenza la Rsu della Portovesme e i sindacati, insieme con La regione Sardegna, sono riusciti a ottenere un tavolo di trattativa al ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit) di Adolfo Urso.
1.200 dipendenti: i 500 diretti avranno la cig, per l’indotto niente ammortizzatori
NELLE SETTIMANE SCORSE si era raggiunto un accordo in virtù del quale, da una parte, Urso si impegnava a trovare un acquirente per lo stabilimento che Glencore vuole dismettere e, dall’altra, il trust anglo-svizzero garantiva che la linea zinco (l’unica rimasta aperta dopo la chiusura del ciclo del piombo già più di un anno fa) sarebbe rimasta attiva sino a che non fosse stato trovato un nuovo gruppo industriale cui vendere gli impianti. Due giorni fa, come un fulmine a ciel sereno, Glencore ha comunicato che anche la linea dello zinco sarebbe stata chiusa.
ACCORDO con i sindacati stracciato. Ma anche accordo con Urso stracciato. E infatti il ministro, almeno apparentemente, non pare averla presa bene. «La decisione di Glencore – scrive il Mimit in una nota – è inaccettabile, provocatoria e scorretta. Inaccettabile nel merito, perché contraddice clamorosamente quanto concordato al tavolo di trattativa. Scorretta e provocatoria nel metodo, perché avviene proprio mentre una delegazione tecnica del ministero sta visitando il sito industriale sardo per valutarne le potenzialità, come concordato con i sindacati e con Glencore. Ne trarremo immediate conseguenze».
NESSUNO SA, al momento, quali saranno le «immediate conseguenze» che Urso annuncia. Certo è che il ministro qualcosa dovrà fare. Forte è la pressione sia da parte dei sindacati sia da parte delle istituzioni sarde, regione e sindaci dei comuni del Sulcis in prima fila. «La decisione di Glencore – dice la presidente Todde – è un fatto gravissimo, che mette in luce una totale mancanza di rispetto verso il governo, verso la regione e soprattutto verso i lavoratori. Reagiremo con fermezza». Ieri i sindaci hanno partecipato a un presidio davanti ai cancelli della Portovesme srl: «Chiediamo – dicono – un incontro con Todde e con i sindacati. Serve un fronte comune tra operai e istituzioni».
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