Il presente contributo analizza la recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 30051 del 21 novembre 2024 che ha legittimato, nell’ambito dell’ordinamento tributario italiano, l’esercizio dell’autotutela sostitutiva in malam partem.
1. La pronuncia delle Sezioni Unite
Con la sentenza n. 30051 del 21 novembre 2024 (“Sentenza”) è stato legittimato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite l’esercizio dell’autotutela sostitutiva in malam partem.
La necessità di un intervento nomofilattico era innegabile, stante la coesistenza, sin dall’introduzione dell’istituto nell’ordinamento tributario italiano[1], di orientamenti giurisprudenziali contrapposti su molteplici questioni interpretative[2], non tutte inequivocabilmente risolte per effetto dell’introduzione, ad opera del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 (“D.lgs. n. 219/2023”), degli articoli 10-quater e 10-quinquies nel corpo della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (“Statuto”).
Tra queste vi è l’individuazione dei limiti (se presenti) entro cui l’esercizio di tale potere è consentito.
La fattispecie origina dall’impugnazione di un avviso di accertamento, in materia di Irpef, Iva e contributi previdenziali, che era stato emesso in sostituzione di un precedente avviso di accertamento fondato sulle risultanze di accessi bancari e che era stato, a sua volta, oggetto di impugnazione. In specie, nelle more del contenzioso avverso il primo avviso di accertamento, l’Agenzia delle entrate sottoponeva a nuova valutazione le risultanze istruttorie sulla cui base era stato emesso il primo atto impositivo e decideva di annullarlo, sostituendolo con un nuovo atto impositivo, a mezzo del quale veniva assoggettato a tassazione un imponibile maggiore. Entrambi i gradi di merito confermavano l’operato dell’Amministrazione finanziaria. La sentenza di secondo grado veniva quindi impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale era chiamata a pronunciarsi, inter alia, sulla violazione dell’art. 43, comma 4 (ora comma 3), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (“D.P.R. n. 600/1973”), nel testo vigente ratione temporis, e dell’art. 57, comma 4, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (“D.P.R. n. 633/1972”), anche in relazione all’art. 10 dello Statuto, per essere stata effettuata una integrazione dell’avviso di accertamento in assenza di nuovi ulteriori elementi.
La Sezione Tributaria della Corte di cassazione rimetteva gli atti al Primo Presidente[3] per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. In specie, dando evidenza della sussistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia, i giudici remittenti chiedevano di sottoporre a valutazione nomofilattica le seguenti questioni:
- se l’esercizio del potere di autotutela tributaria presupponga l’esistenza di soli vizi formali[4] e sia, di conseguenza, finalizzato alla tutela dell’interesse individuale del contribuente nei cui confronti non potrebbe essere adottato un provvedimento di annullamento in malam partem, ovvero se tale esercizio possa estrinsecarsi anche nell’emendamento di vizi di carattere sostanziale e sia, di conseguenza, finalizzato alla tutela dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi con gli unici limiti della decadenza dei termini accertativi e del giudicato[5];
- se l’autotutela tributaria in malam partem presupponga, al pari dell’accertamento integrativo, la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi quanto meno limitatamente al maggior imponibile accertato.
I Giudici di legittimità si sono espressi in senso favorevole all’Amministrazione con riferimento ad entrambi i quesiti. Per le Sezioni Unite, infatti, il potere di autotutela (i) può essere esercitato, sia per la correzione di vizi formali, che per la correzione di vizi sostanziali e (ii) può essere esercitato anche in malam partem, senza che sia necessaria la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
Se la conclusione è quantomeno inaspettata, l’apparato motivazionale sulla cui base la stessa è fondata si pone per molti aspetti in contrasto con i principi generali dell’ordinamento tributario, così come da ultimo tratteggiati dal novellato Statuto dei diritti del contribuente. Queste, in sintesi, le argomentazioni addotte dalla Corte di Cassazione a supporto della decisione:
- la natura doverosa dell’imposizione fiscale fa sì che, “in sede di riesame per l’autotutela, siano suscettibili di considerazione, per valutarne la coerenza rispetto all’obbligo di legge, tutti gli elementi formali e strutturali che avevano dato origine all’atto impositivo di primo grado” e, in ogni caso, il potere di autotutela tributaria “trae fondamento, al pari della potestà impositiva, dai principi costituzionali di cui agli artt. 2, 23, 53 e 97 Cost. in vista del perseguimento dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi legalmente accertati”;
- dalla disciplina positiva, sia previgente che successiva al D.Lgs. n. 219 del 2023, “non emerge alcuna delimitazione di ordine generale alla tipologia di vizi rilevabili”; al contrario, sia il previgente art. 2, del D.M. n. 37/1997, sia l’attuale art. 10-quater dello Statuto annoverano, accanto ai vizi formali, quali l’errore di calcolo, vizi sostanziali quali l’errore sul presupposto dell’imposta;
- l’esercizio dell’autotutela in malam partem non contrasta con il divieto di bis in idem così come da ultimo sancito dall’art. 9-bis dello Statuto[6], in quanto tale disposizione è prioritariamente destinata a garantire il divieto di doppia imposizione; inoltre, posto che l’esercizio del potere di autotutela si sostanzia in un riesame “di secondo grado” dell’atto impositivo precedentemente adottato, non vi è una reiterazione dell’“azione accertativa”, che resta invariata, anche in relazione agli elementi di fatto e ai presupposti esistenti al momento dell’adozione del primo atto;
- le disposizioni di cui all’art. 9-bis dello Statuto devono essere in ogni caso coordinate con il disposto dell’art. 7, comma 1-bis dello Statuto, a mente del quale “I fatti e i mezzi di prova a fondamento dell’atto non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l’adozione di un ulteriore atto, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze”, con la conseguenza che anche i vizi sostanziali sono valutabili ai fini della sostituzione dell’atto;
- il potere di esercitare l’autotutela sia in bonam partem che inmalam partem trova bilanciamento nel diritto del contribuente di emendare le dichiarazioni fiscali anche a proprio favore;
- il requisito della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi non si applica all’autotutela in malam partem, trattandosi di istituto che diverge “strutturalmente e funzionalmente” dall’accertamento integrativo; invero, “il tratto qualificante dell’autotutela sostitutiva è costituita dalla valutazione di un atto illegittimo, che viene posto nel nulla e sostituito sulla base dei medesimi elementi già considerati”, laddove “il tratto qualificante dell’accertamento integrativo è la sopravvenienza di nuovi non conosciuti elementi rispetto all’originario accertamento, che permettono l’adozione di un nuovo atto accertativo che si affianca e si aggiunge a quello primitivo”;
- l’esercizio dell’autotutela in malam partem non è idoneo a integrare una violazione del principio del legittimo affidamento posto che il legittimo affidamento del contribuente non può essere ancorato alla mera esistenza di un atto viziato, pena la compressione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2 e 53 della Cost.
2. Considerazioni critiche a margine della Sentenza
Pur plaudendo alla profondità e complessità dell’articolazione argomentativa, le motivazioni della Sentenza fanno emergere non poche criticità.
In via preliminare si ritiene poco convincente il richiamo ai principi costituzionali effettuato dalle Sezioni Unite.
Invero, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente chiarito che invocare la violazione dell’art. 53 Cost. non è di per sé sufficiente a integrare la sussistenza di un interesse generale all’annullamento dell’atto, in quanto il principio di capacità contributiva è espressione di un interesse astratto al ripristino della legalità, laddove la doglianza contro il diniego di autotutela deve essere fondata su un interesse concreto e specifico[7].
Inoltre, non si può omettere di considerare che i principi di cui agli articoli 2, 23 e 53 della Costituzione, se letti unitariamente al disposto degli articoli 24 e 97 condurrebbero a conclusioni opposte a quelle cui sono giunte le Sezioni Unite nella Sentenza. Invero, il diritto di difesa e il principio di buon andamento, economicità e imparzialità della Pubblica Amministrazione trovano la loro naturale estrinsecazione nel principio di unicità e globalità dell’azione accertativa, preordinato a limitare gli oneri di difesa gravanti sul contribuente e a garantire l’emanazione di provvedimenti accertativi supportati da adeguate evidenze istruttorie[8].
Parimenti non condivisibile appare l’assunto secondo cui dalla disciplina positiva, sia previgente che successiva alla riforma di cui al D.Lgs. n. 219/2023, non emergerebbero limitazioni di ordine generale alla tipologia di vizi rilevabili. In tema pare, invece, maggiormente condivisibile la posizione della dottrina[9] secondo la quale il richiamo testuale al potere di “annullamento e di revoca o di rinuncia all’imposizione”, contenuto, sia nell’art. 1, del DM 37/1997, sia nell’art. 2-quater del D.L. n. 564/1994, sia, da ultimo, nell’art. 10-quater dello Statuto, implichi la volontà legislativa di ancorare l’esercizio di tale potere a una forma di “rinuncia all’imposizione” e non di riedizione del potere accertativo.
Il punto che genera maggiori perplessità nella Sentenza è, tuttavia, l’affermazione secondo cui l’esercizio dell’autotutela in malam partem non contrasta con il divieto di bis in idem, così come sancito dall’art. 9-bis dello Statuto. Tale assunto, infatti, sembra disconoscere proprio la ratio sottesa al suddetto principio. Invero, come chiarito dalla Relazione Illustrativa al D.lgs. n. 219/2023, la norma è espressamente preordinata a dare attuazione al più ampio principio del ne bis vexari, in virtù della quale per ogni possibile violazione il contribuente ha diritto ad essere gravato da una sola procedura e, conseguentemente, a doversi difendere una sola volta in ossequio al principio di “unicità dell’azione accertativa”. L’unicità dell’azione accertativa, infatti, deve intendersi non solo come unicità nel procedimento di verifica, ma anche come esaurimento del potere accertativo nel primo atto emanato (salvo la ricorrenza di elementi che giustifichino normativamente non già la sostituzione dell’atto, ma la sua integrazione attraverso l’accertamento integrativo).
Tale lettura, d’altronde, è confermata dalla stessa Amministrazione finanziaria, la quale nella Circolare n. 21/E del 7 novembre 2024, al par. 3.3. ha chiarito che “in base alla richiamata disposizione, l’amministrazione finanziaria ha sempre la possibilità, entro i termini di decadenza dell’attività di accertamento, di emendare i vizi formali e procedurali dell’atto d’imposizione adottato, mentre può modificare e/o integrare, a proprio favore, la pretesa impositiva originariamente esercitata solo al ricorrere delle condizioni previste da specifiche disposizioni, ad esempio […] nell’ipotesi di accertamento parziale […] e di accertamento integrativo […] in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia”.
Alla luce di tali chiare indicazioni normative e di prassi appare dunque difficile sostenere che l’art.9-bis dello Statuto non rappresenti elemento ostativo all’esercizio dell’autotutela in malam partem. Del resto, in caso contrario, risulterebbero delegittimata anche la disposizione preordinata a concentrare in un momento unitario la prova degli elementi posti a fondamento della pretesa impositiva, di cui l’art. 7, comma 1-bis dello Statuto rappresenta massima espressione[10]. Sarebbe infatti sufficiente per l’Amministrazione finanziaria emanare un nuovo atto sostitutivo del primo attraverso l’autotutela in malam partem per integrare la propria motivazione ed il proprio corredo probatorio in spregio del divieto in oggetto. Per di più, posto che l’impugnazione dell’atto originario non preclude l’annullabilità in autotutela dello stesso, l’Amministrazione finanziaria potrebbe di fatto utilizzare il secondo atto per integrare la motivazione e il supporto probatorio alla luce delle difese spese dal contribuente in fase conteziosa, così sacrificando anche il diritto ad un contraddittorio effettivo e il più generale diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione.
Quanto sopra esposto rende quasi pleonastico sottolineare come non possa essere condivisa nemmeno l’affermazione delle Sezioni Unite secondo cui l’esercizio dell’autotutela in malam partem non sarebbe idoneo a integrare una violazione del principio del legittimo affidamento, non potendo quest’ultimo essere ancorato alla mera esistenza di un atto viziato. L’assunto, a ben guardare, pare difficilmente coniugabile con la tutela dell’affidamento accordata al contribuente in relazione a fattispecie in cui l’Amministrazione finanziaria rimane di fatto silente, come avviene in caso di silenzio amministrativo conseguente alla presentazione delle istanze di interpello. Se, infatti, in simili fattispecie, l’interpretazione fornita dal contribuente è suscettibile di generare un legittimo affidamento in capo al contribuente (e ciò anche in presenza di un successivo ripensamento dell’Amministrazione finanziaria), non si comprende come tale affidamento possa difettare in presenza di un atto impositivo emesso dall’autorità amministrativa a valle di una compiuta istruttoria.
3. Conclusioni
La Sentenza, pur avendo l’indubitabile pregio di mettere a sistema un coacervo interpretativo particolarmente stratificato, sembra difficilmente compatibile con l’attuale quadro normativo, così come novellato ad opera del D.lgs. n. 219/2023. Invero, l’attribuzione di siffatto (illimitato) potere dell’Amministrazione finanziaria se poteva avere qualche chance di recepimento in un sistema connotato da una importante incertezza normativa e giurisprudenziale, non può trovare alcun supporto nel novellato ordinamento tributario che colloca l’autotutela tra i principi cardine a tutela del contribuente[11]. Non resta quindi che auspicare un futuro révirement delle stesse Sezioni Unite che superino l’interpretazione resa con la Sentenza circoscrivendola al precedente assetto normativo.
[1] L’istituto dell’autotutela è stato introdotto nel diritto tributario ad opera dell’art. 68, del D.P.R. n. 27 marzo 1992, n. 287 (poi abrogato) ed è stato successivamente disciplinato dall’art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, convertito con L. 30 novembre 1994, n. 656, nonché dal regolamento approvato con D.M. 11 febbraio 1997, n. 37 (“D.M. n. 37/1997”). Tali disposizioni sono state successivamente abrogate dal D.Lgs. n. 219/2023, in attuazione dei principi sanciti dall’art. 4, comma 1, lett. h), della Legge Delega 9 agosto 2023, n. 111 e, in loro vece, sono stati introdotti nel corpo dello Statuto gli articoli 10-quater e 10-quinquies recanti la disciplina, rispettivamente, dell’autotutela “obbligatoria” e “facoltativa”.
[2] Si pensi a come le querelles relative all’impugnabilità del diniego di autotutela e, in caso affermativo, all’oggetto del sindacato giurisdizionale abbiano attraversato i decenni per trovare soluzione (si auspica definitiva) solo con l’introduzione degli articoli 10-quater e 10-quinquies dello Statuto.
[3] Cass., ordinanza 1° dicembre 2023, n. 33665.
[4] Nel senso che l’esercizio di tale potere non è limitato alla sola rettifica dei vizi di forma in quanto l’Amministrazione ha il potere di sostituire un precedente atto impositivo illegittimo con innovazioni che possono investirne tutti gli elementi strutturali, ivi compreso l’apparato motivazionale, cfr. Cass., sent. 23 febbraio 2010, n. 4272 e, più di recente, Cass., ord. 6 luglio 2020, n. 13807.
[5] Tra i precedenti che sostengono la tesi secondo cui l’esercizio dell’autotutela corrisponde ad un preciso potere-dovere dell’Amministrazione finanziaria, la quale, in virtù del c.d. “principio di perennità” dell’azione accertativa, è tenuta a sostituire l’atto viziato con un nuovo atto, ancorché di contenuto identico, ma privo dei vizi originari dello stesso, cfr., ex multis, Cass., ord. 6 luglio 2020, n. 13807; Cass., sent. 2 febbraio 2022, nn. 3267 e 3268; Cass., sent. 11 settembre 2024, n. 24387.
[6] Come noto, l’art. 9-bis, dello Statuto prevede che “[s]alvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l’emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l’amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta”.
[7] Cfr. ex multis Cass., ord. 20 febbraio 2019, n. 4937; Cass. sent. 11 ottobre 2024, n. 26505.
[8] Sul punto, cfr. amplius Assonime, circolare 30 settembre 2024, n. 18, par. 9.
[9] Cfr. Antonini – Piantavigna, Alle SS.UU. le questioni problematiche sull’autotutela sostitutiva, in Corr. Trib. 2024, 252.
[10] Sul punto, cfr. anche Cass., sent. 11 gennaio 2024, n. 1126, ove viene ricordato come “le ragioni poste a fondamento dell’atto impositivo non possono essere mutate nella successiva sede contenziosa provocata dall’ impugnativa del contribuente, e ciò a presidio del diritto di difesa di quest’ultimo, giacché una tale modifica o estensione della motivazione violerebbero l’art. 7, comma 1, della l. 27 luglio 2000, n. 212”.
[11] Cfr. Relazione Illustrativa al D.lgs. n. 219/2023, ove si legge che l’istituto va valorizzato non solo in quanto consente di “ripristinare un rapporto di correttezza tra il fisco e i contribuenti” ma anche “per gli effetti deflattivi che produrrebbe sul contenzioso. Ad oggi, infatti, accade spesso che a fronte di un atto palesemente illegittimo il contribuente ne richieda l’annullamento in autotutela all’Amministrazione ma, in caso di inerzia (o ritardo) della stessa, si veda costretto a proporre ricorso giurisdizionale nel termine di legge”.
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