L’art. 34 ter, comma 1, prevede “la regolarizzazione degli interventi eseguiti in parziale difformità rispetto a titoli edilizi rilasciati prima della data di entrata in vigore della Legge “Bucalossi” (30/1/1977) e che non configurano tolleranze costruttive (salvo che l’amministrazione “accerti l’interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione delle opere”, come previsto dal comma 3)”.
La Legge Bucalossi è presa a parametro temporale di riferimento perché è solo con tale legge che sono state disciplinate e graduate le variazioni (essenziali e non essenziali) rispetto ai titoli edilizi, con un differente regime giuridico. Prima della Legge Bucalossi, le varianti non erano disciplinate, e quindi erano tutte abusive.
Viene fatto notare che questa norma “sembra in un certo senso essere improntata allo stesso intento regolarizzatorio che aveva mosso il legislatore della Regione Veneto con due disposizioni normative intervenute a breve distanza di tempo l’una dall’altra (L.R. n. 50/2019, artt. 1 e 2, e L.R. n. 19/2021, art. 7), con le quali aveva cercato di sanare le variazioni non essenziali relative a titoli rilasciati ante Bucalossi, nel primo caso prevedendone il recupero con una forma di sanatoria straordinaria tramite SCIA, e nel secondo semplificandone la dimostrazione dello stato legittimo attraverso il mero ricorso al certificato di abitabilità o di agibilità. Tuttavia, entrambe le norme regionali sono state poi dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte Costituzionale (rispettivamente, con le sentenze n. 77/2021 e n. 217/2022): nel primo caso, è stato ritenuto che la regolarizzazione dell’abuso introdotta dalla norma regionale integrasse un’ipotesi di sanatoria straordinaria con un ambito di applicazione più ampio rispetto a quello stabilito dalle norme statali di principio (artt. 36 e 37 DPR 380), in quanto mancante del requisito della “doppia conformità”; nel secondo, per contrasto con il comma 1-bis dell’art. 9 bis DPR 380 (sulla prova dello stato legittimo, da fornire soltanto attraverso il ricorso ai titoli abilitativi ivi indicati), parimenti avente, secondo la Corte, natura di norma interposta, in quanto espressione di un principio fondamentale della materia edilizia, rientrante nella legislazione concorrente del territorio, “che richiede una disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale””.
Con l’art. 34-ter, adesso il legislatore statale prevede tout court la regolarizzazione di un’opera risalente nel tempo, dichiaratamente abusiva. Si tratta di un abuso sostanziale, in quanto non coperto dal titolo edilizio all’epoca della sua realizzazione. Si potrebbe quindi configurare l’introduzione di una forma (surrettizia) di condono (ancorata al dato temporale del 30 gennaio 1977), con tutti i problemi che ne scaturiscono, in termini di dubbi di costituzionalità.
Altra questione posta dalla norma in esame, riguarda la dimostrazione della data di realizzazione delle varianti.
Ai sensi del comma 2, “nei casi in cui sia impossibile accertare l’epoca di realizzazione della variante mediante la documentazione …., il tecnico incaricato attesta la data di realizzazione con propria dichiarazione e sotto la propria responsabilità. In caso di dichiarazione falsa o mendace si applicano le sanzioni penali, …”.
Secondo Pasanisi “Si tratta tuttavia di norma che desta forti perplessità, perché addossa sul (povero) tecnico di turno un onere probatorio che non si riesce a capire su quali basi oggettive possa essere assolto, perchè non si può fondare sull’esame degli atti (che per definizione mancano). È facile prevedere uno sviluppo del contenzioso su queste dichiarazioni, con risvolti anche penalistici (la cui eventualità probabilmente indurrà le parti a trovare tecnici benevolmente disposti ad affrontare tali rischi)”.
Analoga previsione è contenuta nel comma 3 dell’art. 36 bis per la prova della data dell’abuso oggetto del procedimento dell’accertamento di conformità ivi contemplato (che desta al riguardo analoghe perplessità).
Il Presidente del TAR si sofferma, inoltre, sui contenuti dell’art. 34-bis, comma 1-bis, che introdurrebbero un seconda forma di condono edilizio, disciplinante le tolleranze costruttive realizzate entro il 24 maggio 2024.
“Qui la norma stabilisce che, per gli interventi realizzati entro la suddetta data, le tolleranze costruttive (per quanto riguarda l’altezza, la cubatura, la superficie coperta) sono riparametrate in misura inversamente proporzionale alla superficie utile: minore è la superficie dell’unità immobiliare, maggiore è lo scostamento consentito (fino ad arrivare al 6% di tolleranza per superfici inferiori ai 60 mq.)”.
“La tolleranza, in tal caso, superando il limite ordinario del 2% stabilito dal comma 1, potrebbe configurare una forma surrettizia di condono per l’eccedenza, la cui realizzazione è ancorata al dato temporale del 24 maggio 2024 (data che non ha alcuna logica giuridica evidente, in quanto si tratta semplicemente della data in cui lo schema di decreto legge è stato portato all’esame del Consiglio dei Ministri)”.
“Quasi tutte le altre norme del D.L. “Salva Casa” – conferma il Presidente del TAR Veneto – comportano notevoli problemi interpretativi ed applicativi, come ampiamente dimostrato dalle relazioni odierne”.
Tra queste spicca la nuova “sanatoria semplificata” di cui all’art. 36-bis. “Il comma 4 della norma in esame – rileva Pasanisi – nel prevedere l’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica anche quando siano stati creati incrementi plano-volumetrici, si pone in evidente distonia con l’art. 167 D. Lgs. n. 42/2004, che prevede tale possibilità di sanatoria soltanto per le opere eseguite in area vincolata che NON abbiano comportato la creazione di nuove superfici o nuovi volumi o aumento di quelli legittimamente assentiti”.
“La distonia riguarda anche la diversa configurazione del silenzio dell’autorità competente. L’art. 167, infatti, prescrive che l’autorità competente debba pronunciarsi entro il termine perentorio di 180 giorni (previo parere vincolante della Sovrintendenza da esprimersi entro il termine perentorio di 90 GIORNI), ma non contempla alcuna fattispecie di Silenzio Assenso (né di Sil. Rigetto)”.
Tra le ulteriori difficoltà interpretative della norma, vengono evidenziati due profili:
- il primo, concernente la differenza tra disciplina urbanistica e disciplina edilizia;
- il secondo, riguardante il rapporto tra le variazioni essenziali su immobili sottoposti a vincolo (disciplinate dall’art. 32, comma 3) e l’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica di cui al comma 4 dell’art. 36 bis.
“Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre rilevare che fino ad ora, con la vigenza del solo art. 36 (che prevedeva la doppia conformità contestuale, sia alla disciplina urbanistica che a quella edilizia), non si era mai posta una reale necessità di capire con precisione a che cosa si riferisse l’una e a che cosa l’altra. Ma adesso che, con il nuovo art. 36 bis, i due concetti formano oggetto di una differente valutazione sul piano temporale, bisogna evidentemente delimitarne con esattezza i contenuti applicativi”.
In mancanza di qualificazioni definitorie da parte del legislatore del 2024, dobbiamo probabilmente fare riferimento a quanto desumibile dal sistema. In tal senso potrebbero venire d’aiuto la legge urbanistica n. 1150/1942 che prevede, all’art. 4 che “La disciplina urbanistica si attua a mezzo dei piani regolatori e delle norme sull’attività costruttiva edilizia” e in base alla quale la disciplina urbanistica comprende sia la normativa di PRG sia la normativa sulle costruzioni edilizie.
La conformità urbanistica sembra ricomprendere una doppia valutazione, sia sulle norme di PRG che sulle norme dei regolamenti edilizi comunali.
La conformità edilizia attiene, invece, come ci dice il comma 3 dell’art. 36 bis, “alle norme tecniche vigenti al momento della realizzazione dell’intervento”. “Quali sono però queste norme tecniche?” chiede il Presidente Pasanisi.
“In mancanza di una espressa definizione da parte della norma, dobbiamo probabilmente interrogarci sulla sua ratio, che appare essere quella di verificare la realizzazione “a regola d’arte” dell’immobile da sanare: l’importante, nella logica del 36 bis, è che il manufatto, all’epoca della sua realizzazione, pur se sostanzialmente abusivo, sia stato fatto bene, di modo tale che ne sia assicurata la stabilità e la sicurezza. Poi adesso, se consentito dalle norme urbanistiche vigenti, può essere sanato”.
Altre problematiche rilevate dal Presidente Pasanisi riguardano:
- l’art. 23 ter: con il D.L. Salva Casa, i Mutamenti di destinazione d’uso vengono ammessi praticamente in maniera indiscriminata, perché sono eliminati gli standard e i parcheggi, che sono presidio di ordinata regolamentazione delle attività umane sul territorio urbano. La considerazione dell’interesse generale della collettività, in relazione a tali profili, si mostra molto bassa, a tutto vantaggio dell’interesse dei privati proprietari. Inoltre, la normativa regionale deve sottostare a quella statale: il legislatore statale da regolatore della pianificazione diventa pianificatore. In un contesto storico caratterizzato dall’emancipazione delle autonomie, lo Stato entra a gamba tesa sulle prerogative delle Regioni e dei Comuni.
- l’art. 24: nelle more della definizione dei requisiti igienico sanitari ai fini del certificato di agibilità (che risalgono al D.M. Sanità del 5/7/1975, non più modificato), sono state diminuite le altezze e le superfici degli appartamenti. Potremmo dire che invece di ridurre il consumo di suolo, lo Stato riduce gli appartamenti.
- l’art. 34 ter: si introduce una forma surrettizia di condono per le varianti ante Bucalossi.
- l’art. 36 bis: non sono chiari gli ambiti della conformità urbanistica e della conformità edilizia; è dubbia l’applicabilità del 36 bis per le variazioni essenziali su immobili vincolati; nel disciplinare aspetti urbanistico-edilizi, si incide fortemente sulla materia paesaggistica e si sterilizza il 167 D.Lgs. n. 42/2004, con la previsione della possibilità di accertamento di compatibilità paesaggistica ex post anche per incrementi plano-volumetrici.
Non solo aspetti negativi. Tra quelli positivi viene evidenziato l’alleggerimento del regime probatorio dello stato legittimo degli immobili.
In sintesi, la discussione si è concentrata sull’analisi critica del Decreto “Salva Casa”, evidenziando sia i suoi obiettivi e aspetti positivi, sia le numerose criticità e problematiche interpretative oltre che:
- la necessità di un quadro legislativo unitario e organico per affrontare le sfide future.
- l’assenza di un disegno unitario.
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