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Economia circolare: in Italia ancora poco diffusa #finsubito prestito immediato


Economia circolare in Italia: una pratica ancora poco diffusa tra le aziende

Quanto applicano e investono le aziende sull’economia circolare in Italia? Secondo il Circular Economy Report 2024, di Energy & Strategy, ancora poco. Un’azienda su tre non ci crede: il 36% delle imprese campione dell’indagine (oltre 550 le realtà coinvolte) si dichiara “scettico” sull’adozione di circular economy, tanto da segnalare di non avere intenzione di adottare pratiche anche nel futuro. Le Pmi sono le più restie: ben il 39% di esse non ha adottato alcuna pratica circolare e non intende nemmeno farlo in futuro. È un segnale di rilevante importanza, dato che le piccole e medie imprese costituiscono oltre il 75% del tessuto imprenditoriale nazionale.

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Seppure il 42% del campione ne abbia già adottata una e un 22% del campione abbia intenzione di farlo in futuro, se si guarda agli investimenti fatti, c’è ancora scetticismo sull’argomento. Cresce, ma solo del 5% rispetto al 2023, la taglia media degli investimenti.

Ciò che si nota è la differenza di vedute tra grandi e piccole imprese e del divario tra Nord e Sud Italia: c’è una maggiore adesione alle pratiche circolari delle grandi realtà, così come si concentrano al Nord, soprattutto in Lombardia (il 31% delle aziende circolari ha sede nella regione), le imprese più vocate alle pratiche di riciclo & C.

I vantaggi dell’economia circolare per l’Italia

Perché occorre sviluppare maggiormente l’economia circolare in Italia? Perché è un approccio che fornisce vantaggi ad ampio raggio. Al 2024, infatti, il livello di sviluppo delle pratiche circolari raggiunto corrisponde a una riduzione di emissioni stimata di circa 2,3 MtCO2eq annui al 2030. Inoltre, nell’ultimo anno l’economia circolare ha fatto risparmiare alle imprese italiane 800 milioni di euro in più rispetto al 2023 (quando l’aumento era stato di 1,2 miliardi), portando il risparmio totale a 16,4 miliardi l’anno.

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In entrambi i casi si potrebbe e dovrebbe fare di più. In termini di emissioni evitate, quanto finora raggiunto rappresenta solo il 14% delle 16,8 MtCO2eq che potrebbero essere risparmiate se il pieno potenziale di circular economy venisse realizzato nel nostro Paese.

Anche in termini di risparmi, quanto raggiunto è ben lontano dai 119 miliardi “teorici” a cui dovremmo aspirare: “stiamo sfruttando solo il 14% del potenziale” evidenzia il Circular Economy Report 2024.

Grandi imprese e Pmi: le differenze di vedute sull’economia circolare in Italia

Torniamo alla differenza di vedute tra grandi e medio-piccole imprese in tema di economia circolare in Italia. Lo ha rilevato Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S e responsabile della ricerca, nel corso della presentazione del report. Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S e responsabile della ricerca sull'economia circolareDavide Chiaroni, vicedirettore di E&S e responsabile della ricerca sull'economia circolare

«Nell’ultimo triennio la quota di grandi imprese che hanno adottato pratiche di circular economy è cresciuta, anche in maniera significativa (+21% nel confronto dal 2022 a oggi) così come è cresciuta (seppure solo del 5%, sempre dal 2022 a oggi), la quota di piccole imprese “scettiche”. Quindi, si è acuita la forbice», per effetto anche dell’attenzione che il sistema normativo e il sistema finanziario pone a questo mondo.

A proposito delle pratiche più diffuse, l’Italia si conferma essere il Paese più avanzato in Europa in tema di riciclo. In effetti, tra le pratiche più diffuse nelle aziende, nel 60% dei casi è il riciclo a essere il servizio più diffuso. 

Tra le pratiche di economia circolare più diffuse, seguono al riciclo, il progettare senza scarti (43%) e il design orientato a una facile riparazione (48%).
 Tra le pratiche meno applicate si trovano invece la riparazione (8%), la “servitizzazione” (il passaggio dalla vendita di un prodotto alla fornitura di servizi, 22%) e la riconsegna dei prodotti (28%).

«C’è una buona quota di diffusione, fra il 30 e il 40% del campione, di pratiche di design, che testimonia la volontà di riprogettare i propri prodotti e servizi per renderli più coerenti con il tema dell’economia circolare – ha fatto notare Chiaroni –. Sono, invece, adottate da un numero minore di imprese le pratiche del riuso, di rilavorazione, di riparazione, pratiche fondamentali dell’adozione complessiva dell’economia circolare. Evidentemente, richiedono un ecosistema e una ridistribuzione delle attività che ancora oggi si fa un po’ fatica a mettere in atto all’interno del nostro Paese».

Altro punto debole, rilevato nel report, riguarda il ritardo nel misurare le pratiche di economia circolare. Se si guarda all’adozione di strumenti o metodologie di misura del livello di circolarità, come appare nel grafico che misura le risposte del 2024 e il confronto con quelle del 2023.

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«Se si considera l’aspetto positivo, è raddoppiato il numero di imprese che adotta o intende adottare i sistemi di misura – dal 7% si passa al 12% –, sommando l’adozione effettiva e l’intenzione a farlo. Tuttavia, è evidente la componente predominante (88%) di non adozione. Quindi c’è ancora molta difficoltà nel misurare l’economia circolare».

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Barriere e fattori trainanti

Quali sono le principali barriere e i fattori trainanti verso l’adozione dell’economia circolare? Da una parte, emerge l’incertezza e l’incoerenza nella normativa come uno dei fattori principali che oggi rendono difficile l’adozione dell’economia circolare.

Invece, come driver all’adozione dell’economia circolare si rilevano la consapevolezza del top management e la presenza di incentivi.
Il primo fattore trainante è particolarmente importante, come ha avuto modo di sottolineare il responsabile della ricerca:

«l’adozione di pratiche di economia circolare richiede tempi lunghi. Quindi, dal momento in cui si comincia ad adottare una pratica a quello in cui si ottengono dei risultati tangibili nel business, trascorre del tempo. Quindi se non si ha un supporto chiaro e stabile da parte del management, diventa una soluzione difficile da implementare».

Investimenti circolari: si cresce poco

Dalla visione si passa agli investimenti. Quelli medi, nel 2024, crescono lievemente (+5%, a 160mila euro), rispetto all’anno precedente.

È ancora predominante la taglia più piccola (fino a 50mila euro) degli investimenti, ed è prevalente come tempo di rientro atteso, il periodo inferiore ai 12 mesi (41%).

Se invece si misura complessivamente quanto è stato investito nell’anno che sta giungendo al termine con i benefici ottenuti come sistema paese dall’adozione di pratiche di economia circolare nel 2024, si tratta di 800 milioni di euro in più rispetto al 2023.

Nell’anno in corso, infatti, l’adozione dell’economia circolare in Italia ha comportato risparmi aggiuntivi per 0,8 miliardi di euro, portando a oltre 16,4 miliardi di euro/anno il contributo della circular economy all’economia nazionale.

Ci sono due elementi, però da considerare: l’anno scorso, lo stesso grafico riportava un incremento, in termini di risparmi aggiuntivi, pari a 1,2 miliardi di euro. È un segnale di rallentamento, che ben esprime il crescente scetticismo, citato prima, delle Pmi.

Inoltre, questi 16,4 miliardi rappresentano solo il 14% dei 104 miliardi di potenziale di risparmio associato all’economia circolare che abbiamo calcolato.

Il ruolo delle normative

Un aspetto positivo, sempre riferendosi a quanto emerge dal report di Energy & Strategy, è caratterizzato dalla crescente percezione delle aziende dei benefici portati dall’adozione di soluzioni di economia circolare. «Un aspetto che va segnalato nel 2024 è la comparsa importante dell’allineamento alla compliance a normative ambientali. Che cosa è successo tra il 2023 e il 2024? È cresciuta la sensibilità sulla potenzialità dell’economia circolare quale elemento chiave per essere conformi alla normativa», ha fatto notare ancora Chiaroni.

Nel 2024 sono maturate una serie di normative e standard internazionali che rappresentano una spinta decisiva verso la piena integrazione dei principi di sostenibilità nelle attività economiche. Sebbene il panorama italiano evidenzi alcune carenze strutturali, il rafforzamento della rendicontazione e l’allineamento alle pratiche internazionali potranno contribuire a colmare queste lacune, spingendo il mercato verso un futuro più circolare, responsabile e competitivo.

Un esempio: la Direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) ha introdotto, su mandato della Commissione Europea, standard unici per la rendicontazione di sostenibilità, gli European Sustainability Reporting Standard (ESRS). Parallelamente, la tassonomia dell’UE, un sistema di classificazione per identificare attività economiche sostenibili, si è integrata con i nuovi criteri tecnici di valutazione entrati in vigore a gennaio 2024, che includono esplicitamente la transizione verso un’economia circolare.

«Ci sono ampi margini di miglioramento per l’adozione dell’economia circolare, che cominciano ad avere primi effetti, guardando proprio alla componente normativa, che ci fanno ben sperare», ha concluso Chiaroni.

Diverse normative nel 2024 hanno già dato ulteriore stimolo all’adozione dell’economia circolare, come quelle sull’ecodesign, sul diritto alla riparazione e sulla responsabilità estesa del produttore, che stanno ridefinendo le filiere produttive e promuovendo pratiche sostenibili lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti. Come mette in luce Energy & Strategy, non va neppure dimenticata “la regolamentazione delle materie prime critiche: iniziative come il Critical Raw Materials Act dell’UE e il Decreto Materie Prime Critiche italiano (del giugno 2024) cercano di rafforzare la trasparenza e la sostenibilità delle filiere, favorendo l’autonomia europea nell’approvvigionamento e nell’utilizzo di materiali strategici».

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