Un vertice delle grandi occasioni sulla manovra ha visto ieri la partecipazione della presidente del Consiglio Meloni, i vice Tajani, Salvini, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, il viceministro Maurizio Leo e il junior partner Maurizio Lupi. Sono stati confermati i tagli agli enti locali previsti dalla legge di bilancio (8 miliardi complessivi fino al 2037) e ai ministeri (7.7 miliardi di euro nei prossimi tre anni). In compenso gli enti locali sono stati risparmiati per un anno dal blocco delle assunzioni che aveva sconfortato ancora di più i sindaci. Lo stesso è accaduto per il personale Ata a scuola e per i ricercatori universitari. E anche per le forze dell’ordine. Nel loro caso il blocco delle assunzioni aveva provocato la protesta delle destre, senz’altro più ascoltata di quella dei sindaci o degli universitari. La ministra Bernini è riuscita a farsi ascoltare almeno su un punto. L’austerità resta per tutti: bisogna tagliare 12 miliardi di euro. Questa situazione durerà sette anni. Come le piaghe d’Egitto.
È STATO CONFERMATO il flop del condono chiamato «concordato preventivo biennale». Non porterà le risorse aggiuntive auspicate per fare un regalo di natale al «ceto medio»: il taglio di due punti dell’Irpef dal 35% al 33%. I 2,5 miliardi complessivi ritenuti necessari per l’iniziativa elettorale non sono stati trovati. Si resta con l’1,3, o poco più, fino a ora raccolto. Per il resto bisognerà aspettare l’anno prossimo, quando saranno disponibili i dati definitivi sull’andamento dei conti pubblici.
DUE POPULISMI FISCALI si scontrano nel governo. Visto che quello di Leo ( Fratelli d’Italia) non ha funzionato, a gennaio i leghisti rilanceranno con un condono tombale sulle cartelle fiscali. Sempre si sceglie la via più regressiva. Per esempio, se la Lega chiedeva un aumento da 30mila a 50mila euro del tetto del reddito da dipendente sotto il quale si può accedere alla flat tax, da oggi si dovrà accontentare di un incremento a 35mila euro.
DELLE RICHIESTE dei sindacati come Cgil e Uil, o di quelli di base, che hanno fatto uno sciopero generale il 29 novembre, non c’è nemmeno l’ombra. In compenso la Confindustria è stata ascoltata. Il vertice ha deciso di accontentarla con l’Ires «premiale». Si tratta di uno sconto fiscale alle imprese che investono una parte dei loro profitti in azienda e assumono, con un taglio dell’Ires del 4%, che farebbe scendere l’imposta dal 24% a 20%. Le risorse necessarie, pari a 400 milioni di euro, saranno reperite dal contributo preso dalle banche e dalle assicurazioni. Non solo alle banche è stato chiesto un anticipo che sarà restituito in seguito, ma una parte di ciò che hanno versato andrà alle imprese. Fosse andato alla Sanità, sarebbe stata una goccia nel mare. Ma almeno avrebbe rappresentato un simbolo. La decisione ha solo un non troppo vago sapore di classe. Non c’erano dubbi sull’ispirazione politica di questo governo.
ALTRO CAPITOLO: LA SANITÀ. Il 20 novembre c’è stato un grande sciopero con alte adesioni. È stato chiesto un vero finanziamento reale, non nominale. In più aumenti, condizioni di lavoro dignitose. Il vertice tra i maggiorenti del governo ieri ha partorito una flat tax al 5% sugli straordinari degli infermieri. In più ci sarà un compenso da 500 euro agli specializzandi: veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici, psicologi, e così via. Briciole. Ma si sa: la coperta è corta sempre per gli stessi.
IL CONSIGLIO DEI MINISTRI ieri ha approvato il «Milleproproghe» con le richieste della maggioranza che non hanno trovato spazio nel decreto fiscale o nella manovra. Nel provvedimento, approvato in anticipo rispetto al solito, c’è la proroga dello scudo erariale per gli amministratori. lo slittamento di 3 mesi fino al 31 marzo 2025 dell’obbligo per le imprese di stipulare una polizza contro i danni derivanti da calamità naturali come terremoti, alluvioni e frane e il condono delle multe da 100 euro per i «no-vax» che potranno chiedere un rimborso.
L’ULTIMO VERTICE di coalizione sulla manovra sì era tenuto lo scorso 24 novembre a casa della premier, alla vigilia di una settimana tesa per la maggioranza, con lo scontro in Senato sul decreto fiscale e il governo battuto sul canone Rai. Dopo settimane agitate che hanno prodotto tempeste in un bicchiere d’acqua ieri Salvini ha tenuto a sottolineare che al governo «non hanno nemmeno il tempo di litigare». Proprio lui che aveva definito «intimidatorie» le lettere mandate da Leo per convincere ad aderire al condono-flop. Il vertice di ieri ha siglato «una pace armata fino alla prossima sparata del solito ‘paraculetto’ e al prossimo braccio di ferro» ha osservato Marco Grimaldi (Avs). La morale è sempre quella: l’ora delle grandi decisioni produce dettagli in cronaca, le montagne partoriscono topolini. Eppure, nella maggioranza, ieri c’era chi parlava di «grande soddisfazione» e di un «clima di collaborazione». Domani chissà.
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