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I costi ambientali da inattuata transizione ecologica #finsubito richiedi prestito immediato


La crisi ambientale segna il nostro tempo e genera conseguenze sulle nostre esistenze, sulle nostre scelte private e sulla vita pubblica. Dovere nostro e della Politica è quello di ridurre, per quanto possibile che si realizzino i più cupi tra gli scenari sviluppati in questi anni.

In nessun altro ambito è richiesto un ciclopico sforzo di cooperazione, dalla cui riuscita dipende il benessere, e forse anche la stessa sopravvivenza, delle società umane. Tutti percepiscono chiaramente che il clima è cambiato e, che la situazione peggiora di anno in anno.

Stiamo vivendo estati con temperature crescenti, riduzione della neve, problemi con lo sciare, alluvioni, siccità. Quello che resta stabile è la poca fiducia nella scienza, frutto anche dei conflitti di interesse degli scienziati. Per promuovere la cultura della prevenzione servirebbe più scienza, ma è crescente il clima di sfiducia, che si manifesta per esempio nel disinvestimento nella ricerca e nel negazionismo climatico. Attualmente lo scontro crescente è sulle soluzioni: l’eolico deturpa, insufficiente autonomia delle auto elettriche, le pompe di calore possono permettersele solo i ricchi. Negazione dell’emergenza.

IL negazionismo non è una prerogativa della destra anche a sinistra esiste la contestazione climatica e per tutelare i posti di lavoro, anche rispetto ai costi del cambiamento climatico.

Le tesi degli scienziati negazionisti non climatologi non trovano riscontro nella letteratura scientifica soggetta, a revisione paritaria: riscontriamo invece un consenso   superiore al 99% sul cambiamento climatico causato dall’uomo.

Titolo della ricerca pubblicata“ Consenso superiore al 99% sul cambiamento climatico causato dall’uomo nella letteratura scientifica sottoposta a revisione paritaria”.

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Nel tempo della crisi fiscale degli Stati diventa fondamentale la critica alla transizione ecologica, che avrebbe costi estremamente elevati, dell’ordine di migliaia di miliardi di dollari annui a livello globale. Sarebbe da dibattere e diffondere il Rapporto McKinsey (https://www.mckinsey.com/capabilities/sustainability/our-insights/the-net-zero-transition-what-it-would-cost-what-it-could-bring) che, quantifica il costo della spesa oggi per la transizione in 6 miliardi di dollari ma ne servirebberoper conseguire la neutralità climatica nel 2050.

Secondo l’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili ammontano, a 5000 miliardi di dollari l’anno i costi per la sola transizione energetica, mentre l’ultimo dato sugli investimenti in fonti rinnovabili è pari a 1300 miliardi di dollari (IRENA).

La questione di cui si parla poco o non se ne parla affatto è quella dei costi, in una prospettiva in cui si resta nell’uso dei fossili e la transizione ecologica non viene fatta. Un riscontro di una tale irresponsabile ipotesi lo abbiamo ed è lo studio fatto in Germania, a Potsdam all’Istituto sulle conseguenze dei cambiamenti climatici e pubblicato su Nature (https://www.nature.com/articles/s41586-024-07219-0).

La ricerca quantifica in sei volte   i danni economici del cambiamento climatico rispetto agli investimenti necessari, a ridurre le emissioni e mantenere la temperatura del pianeta al di sotto dei 2°C di rispetto all’era preindustriale.

La ricerca quantifica in 38 mila miliardi di dollari annui di perdita di PIL globale nel 2049 a causa della anidride carbonica già immessa in atmosfera e quella, che verrà prodotta da qui a metà secolo. Viene analizzato anche lo scenario di“ libere emissioni“ che comporterebbero una perdita di PIL globale a fine secolo del 60% (https://apnews.com/article/climate-change-damage-economy-income-costly-3e21addee3fe328f38b771645e237ff9).

Lo studio degli scienziati di Potsdam utilizza due parametri : 1) 1600 regioni del pianeta; 2) dati economici e climatici dal 1983 fino l 2023. Un dato che conferma quanto già sapevamo è che gli effetti dei cambiamenti climatici colpiranno in particolare i paesi poveri e meno responsabili delle emissioni di gas serra.

In tutta sincerità noi la battaglia per saldo zero gas serra al 2050 la stiamo perdendo, infatti se nel 1990 le emissioni globali avevano raggiunto quota 100, oggi sono a 162, nonostante i solenni impegni assunti dai governi nell’Accordo di Parigi. Anziché ridursi, la distanza,  pare ampliarsi sempre più. 

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Sulla questione della transizione energetica istituzioni internazionali come l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), l’Unione Europea confermano gli obiettivi climatici nonostante l’esito elettorale abbia fatto emergere una diffusa opposizione alle politiche climatiche dell’elettorato europeo, forte anche di quanto raccomandato, nel Rapporto Draghi sulla competitività ritenuta effetto dell’accelerazione della politica climatica e nel contempo causa dell’aumento dei costi energetici per industrie e famiglie in Europa.

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E’ ragionevole ritenere che negativamente incidono sulla necessaria implementazione delle politiche climatiche istituzioni finanziarie come BlackRock passate dalla esaltazione della finanza verde vista come svolta epocale al perseguimento di un non meglio definito“ pragmatismo energetico”. La stessa JP Morgan chiede“ realismo“ (https://www.ft.com/content/352b38a7-f298-4b54-adc2-f4cc1b17444b) sul passaggio dalle fossili alle rinnovabili, in quanto “può richiedere diverse generazioni per conseguire gli obiettivi net zero”.

Noi invece siamo convinti e d’accordo con IPCC e i il 99% dei climatologi che bisogna comprendere che è necessario, innanzitutto riconoscere la crisi climatica come questione strategica e centrale dello sviluppo sociale ed economico dei prossimi anni. In Italia cambiare le priorità della politica nazionale e la narrazione.

Sperimentazione e ricerca per esempio per superare i contrasti, le sindromi nimby scatenate contro l’eolico optando per quello di alta quota e offshore.

Sperimentazione per dimostrare fattibilità ed efficienza, contrastando gli interessi consolidati del settore. L’eolico va utilizzato come ogni fonte rinnovabile, ma bisogna puntare all’eolico offshore che tra l’altro ha 2800-3100 ore di funzionamento.

Un impianto di 1000 Kw on shore produce 800.000 Kwh, in meno rispetto all’on shore. IL Parco eolico on shore nel canale di Sicilia, da 250 MW ne è riscontro oggettivo.

Esiste poi il filone dell’eolico di alta quota, fortemente ostacolato da problemi burocratici. IL vento di alta quota è un enorme giacimento di energia. A 2ooo metri la velocità del vento è di 10 metri al secondo e la densità energetica di 600 watt, a metro quadrato mentre a 100 metri di altezza sono rispettivamente 4,6 metri al secondo e 58 watt a metro quadrato. La potenza varia con il cubo della velocità quindi al raddoppio di questa, la potenza cresce di 8 volte.

Esiste in Italia il progetto“ Kite Wind Generation”.

 

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