La seconda sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 44726 del 05 dicembre 2024 ha ritenuto applicabile la misura del sequestro preventivo, tanto impeditivo che finalizzato alla confisca, dei crediti d’imposta fittizi maturati con il cosiddetto bonus facciate, ossia per interventi concretamente mai eseguiti di recupero o restauro della facciata degli edifici esistenti, ivi inclusi quelli di sola pulitura o tinteggiatura esterna della medesima, nonostante il decreto legge numero 11 del 16 febbraio 2023 (il c.d. blocca cessioni), all’articolo 2 ter (“Norme di interpretazione autentica in materia di condizioni per la detraibilità delle spese”), stabilisca che, per gli interventi diversi dal superbonus è possibile accedere alle detrazioni d’imposta differenti dalla fruizione diretta, ossia sconto in fattura e cessione del credito, anche senza stato d’avanzamento lavori.
Crediti fittizi per bonus facciate: la vicenda processuale
Il Tribunale di Venezia quale Giudice del riesame, con ordinanza del 10 aprile 2024, ha integralmente confermato il provvedimento del Giudice per le Indagini preliminari del locale Tribunale che aveva disposto il sequestro preventivo, sia impeditivo (per ben 6,2 milioni di euro) che finalizzato alla confisca (sino alla concorrenza di 1,9 milioni di euro), dei crediti fiscali maturati dagli indagati e da questi ultimi fraudolentemente ottenuti mediante false attestazioni.
Il G.I.P., e successivamente il Tribunale del Riesame del capoluogo lagunare, hanno dunque, rispettivamente, accolto e confermato la richiesta del Pubblico Ministero dell’applicazione della misura cautelare sui crediti fittizi, perché relativi a lavori non effettuati, ritenendo per questo sussistenti le fattispecie criminose della truffa aggravata ai danni dello Stato, finalizzata all’illegittima fruizione di incentivi pubblici, e dell’indebita compensazione fiscale operata dagli imputati.
Per la cassazione di tale ordinanza, hanno proposto ricorso i soggetti destinatari del provvedimento.
La decisione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha rigettato il gravame interposto dai ricorrenti, ritenuto inammissibile, contestualmente confermando la legittimità delle misure impugnate, condannandoli alle spese di lite ed al versamento alla Cassa Ammende di una somma ulteriore a titolo di sanzione pecuniaria, sulla base dell’interpretazione autentica dell’articolo 121, comma 1-bis, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (più noto come decreto rilancio), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, fornita dall’articolo all’articolo 2 ter del decreto legge numero 11 del 16 febbraio 2023.
Nello specifico, secondo il giudice di legittimità, la norma in commento si limita a chiarire che, per le ipotesi differenti dal superbonus, la liquidazione delle spese in base agli stati di avanzamento lavori costituisce una mera facoltà e non un obbligo.
Pertanto, è certamente possibile rilasciare l’attestazione della congruità dei costi, necessaria per effettuare lo sconto in fattura o la cessione del credito, anche in assenza di un SAL o di una dichiarazione di fine lavori, ma a condizione che l’intervento al quale le spese asseverate si riferiscono sia stato, concretamente, almeno iniziato.
Nessuna deroga in questo senso introdotta dal decreto blocca cessioni, il quale, dunque, con riferimento al caso specifico del bonus facciate, ha solo ampliato le facoltà di scelta per il beneficiario della detrazione, senza modificare in alcun modo la disciplina previgente.
Il beneficiario, infatti, a parte che alla fruizione diretta, potrà alternativamente procedere allo sconto in fattura, nella forma del contributo alla spesa da parte dell’impresa, o alla cessione del credito, senza necessità di procedere per singoli stati d’avanzamento lavori (diventati solo opzionali), come previsto obbligatoriamente per il superbonus, ma a condizione che si tratti di spese agevolate, e materialmente sostenute, in relazione a lavori effettivamente almeno iniziati.
La sussistenza del medesimo obbligo documentale
Nulla cambia, dunque, nella sostanza, quanto alla documentazione che deve comprovare la fondatezza del preteso diritto del beneficiario anche alla luce dello blocca cessioni, atteso che, anche successivamente a tale arresto normativo, non possono comunque essere erogati contributi o concesse detrazioni o crediti di imposta in relazione a lavori mai svolti.
In assenza di produzione, da parte dei ricorrenti, di qualsiasi elemento, sia pure indiziario, dal quale dedurre l’effettività degli interventi, qualificati come rientranti nella categoria di quelli riconducibili al bonus facciate, per i quali erano maturati i crediti fittizi sequestrati, correttamente il G.I.P. prima ed il Tribunale di Venezia, in sede di riesame, hanno applicato la misura preventiva del sequestro, in ogni caso giustificata dalla necessità di impedire che la libera disponibilità dei crediti potesse aggravare o protrarre le conseguenze dei reati ipotizzati, ovvero agevolare la commissione di reati ulteriori.
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