Con la delibera del Consiglio n. 539 del 20 novembre 2024, l’Anac ha approvato l’atto di segnalazione al Governo e al Parlamento n. 3, che si basa sui – e dà conto dei – risultati dell’indagine conoscitiva sul tema del dissesto idrogeologico, avviata dall’Autorità lo scorso anno.
L’analisi di dettaglio ha permesso di valutare lo stato dell’arte delle maggiori opere di difesa del suolo, regione per regione, con lo scopo di supportare la facilitazione degli interventi a cura dei commissari straordinari per il dissesto, identificati dal 2015 in poi nei presidenti di Regione, affiancando gli enti nella risoluzione delle procedure complesse e per un’accelerazione dei lavori.
Un quadro caratterizzato da difficoltà
Ne è emerso un quadro caratterizzato da difficoltà in vari ambiti, a partire dall’essenziale azione di monitoraggio, con numerose e differenti banche dati da alimentare che però non sono interoperabili, cosicché si rende necessario inserire le medesime informazioni varie volte in sistemi differenti, che tengono traccia sostanzialmente dei flussi finanziari ma non riescono a controllare la concreta esecuzione delle opere.
I commissari straordinari, è poi evidenziato, sono spesso chiamati a curare anche attività di manutenzione ordinaria, in mancanza di una concreta discriminante tra interventi di ripristino di danni causati da precedenti emergenze e interventi di effettiva prevenzione. Spesso i lavori effettuati sono di importo modesto e circoscritti ad aree limitate in singoli Comuni. Vi sono difficoltà nel possibile esercizio dei poteri concessi in deroga, spesso a causa di carenze di personale nell’organizzazione regionale, col risultato che la struttura commissariale rischia di limitarsi a svolgere un’attività meramente burocratica di validazione delle richieste dei territori e assegnazione dei finanziamenti, anziché quella di strategico coordinamento progettuale. Sono infatti stati riscontrati possibili fenomeni di frazionamento della progettazione che, oltre a non essere in accordo con il Codice degli appalti, rischiano di compromettere l’efficacia di opere necessarie a contrastare eventi calamitosi che possono essere frutto di un dissesto su ampia scala, che andrebbe affrontato in modo unitario.
Spesso la progettazione e realizzazione degli interventi è estremamente frammentata e posta alla cura di piccoli Comuni non dotati di adeguate competenze tecniche e gestionali, mentre il Codice degli appalti prevede specifici obblighi di qualificazione delle stazioni appaltanti. Molti commissari hanno quindi lamentato ritardi nella realizzazione delle opere a causa di queste carenze, e anche per la frequente necessità di effettuare varianti in corso d’opera, comunque riconducibili a mancanze progettuali. Vi è poi il problema della lentezza nel rilascio di pareri e nulla osta, connesso a quello del gravoso carico di lavoro che pesa sulle Autorità di bacino nel processo di autorizzazione delle opere.
I suggerimenti dell’Autorità nazionale anticorruzione
Alla luce di questa ricognizione, nell’atto di segnalazione l’Anac avanza quindi alcune proposte operative. Un primo suggerimento è quello di espungere dalle procedure di valutazione degli interventi, finalizzate all’erogazione dei finanziamenti, le piccole manutenzioni ordinarie, spesso di modestissimo importo. Il documento sottolinea l’importanza assoluta per la corretta gestione del territorio di questi interventi, che però dovrebbero essere curati dagli enti locali. La mancata pulizia dell’alveo e delle sponde dei torrenti, ad esempio, può causare esondazioni anche per piogge non eccezionali, così come dalla mancata cura dei pendii prospicenti gli abitati possono ingigantirsi i danni di frane pur superficiali. Si tratta però di interventi che, spiega l’atto, potrebbero essere ben garantiti con normali procedure di affidamento, in modo più celere ed efficiente, da parte delle amministrazioni locali: le strutture commissariali devono seguire un procedimento di richiesta, valutazione e convalida che è indispensabile per interventi di una certa entità, ma che rischia invece di determinare un appesantimento per manutenzioni ordinarie che non richiedono complesse progettazioni.
Per Anac, poi, è necessario un coordinamento, in capo al commissario, sulla progettazione di tutti gli interventi proposti dagli enti territoriali, fermo restando il potere di avvalersi dell’ausilio di organismi competenti, esplicitando anche che l’utilizzo dei poteri in deroga va considerato una facoltà al ricorrere di certi presupposti, e non un obbligo. Serve rafforzare le Autorità di bacino, eventualmente sollevandole dal compito di valutare opere di piccola entità.
Sul piano del monitoraggio, un’utile semplificazione sarebbe quella di mantenere soltanto la banca dati Rendis (Repertorio Nazionale degli Interventi per la Difesa del Suolo) di Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) – preposta all’acquisizione delle informazioni sui dissesti e con le risorse impiegate nel campo della difesa del suolo regione per regione – e la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (Bdncp) di Anac, rendendole interoperabili e popolandole in modo da evitare ripetizioni: la prima per tutto quanto richiesto fino alla gara, la seconda dalla gara in poi.
Il report tecnico
L’atto è accompagnato da un report tecnico in cui sono approfonditi i risultati dell’indagine, svolta utilizzando proprio le informazioni contenute in Rendis, quelle della banca dati di Anac (Bdncp), sugli affidamenti effettuati nelle regioni di competenza dal 2010 in poi, quelle fornite direttamente dai commissari e quelle della relazione annuale 2023 del Ministro dell’ambiente che si riferiscono sostanzialmente agli accordi di programma sottoscritti con le Regioni. Il report evidenzia, grazie all’analisi statistica operata sui dati Rendis, che dal 1999 al 2023 alle Regioni sono stati erogati, a vario titolo, finanziamenti per 17,409 miliardi di euro, per un totale di 25.240 interventi. Ma non è noto, specifica il report, quanti di questi siano specificatamente classificabili come interventi atti effettivamente a prevenire ed eliminare le cause di dissesto del territorio, ricorrendo anche casi di semplice manutenzione.
Il report tecnico distingue le ipotesi in cui il commissario (o il soggetto attuatore da questo nominato) opera come stazione appaltante (Basilicata, Calabria, Liguria, Sicilia, Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Puglia, Abruzzo, Lazio e Molise), da quelli in cui il commissario opera per lo più in regime di avvalimento (Campania, Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Sardegna, Umbria, Veneto, Valle d’Aosta, oltre alle Provincie autonome di Trento e Bolzano). In questa seconda fattispecie, le situazioni regionali appaiono molto variegate e fortemente condizionate dall’organizzazione e dalla capacità operativa delle strutture.
Per la prima fattispecie, invece, con specifico riferimento agli appalti di lavori, la Bdncp riporta un numero totale di 1.477 procedure per un valore a base d’asta complessivo pari a 1.764.516.989,79 euro. Dal punto di vista dell’entità dei finanziamenti, la maggior parte risultano essere stati impegnati in appalti aventi classe di importo compresa nella fascia tra uno e cinque milioni di euro, anche se una parte rilevante degli appalti si colloca nella fascia inferiore. Nel dettaglio, infatti, dal punto di vista del numero delle procedure in relazione agli importi, ben 1.075 sono di importo inferiore al milione di euro. Di queste, 474 sono afferenti a lavori di scarsa entità, di importo inferiore ai 150mila euro. Sopra il milione di euro, invece, si trovano soltanto 402 procedure e, di queste, solo 37 sono relative ad appalti sopra soglia. La procedura aperta risulta utilizzata nel 31,3% dei casi, mentre la procedura negoziata senza bando e quella di affidamento diretto sono state utilizzate rispettivamente nel 27,9% e 21,9% dei casi. Quasi la metà degli affidamenti (49,8%), perciò, avviene con procedure “semplificate” in ragione dell’importo degli appalti prevalentemente sotto soglia.
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