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La crisi dell’automotive preoccupa ma niente boom di cassa integrazione – #finsubito prestito personale immediato – Richiedi informazioni


Bergamo. La crisi negli stabilimenti tedeschi dell’automotive preoccupa e non poco anche le aziende bergamasche. Lunedì 2 dicembre i dipendenti delle fabbriche Volkswagen in Germania hanno dato il via ad uno sciopero ad oltranza, convocato dopo i tagli salariali e le migliaia di licenziamenti che la casa di Wolfsburg avrebbe in programma come parte del piano di riduzione dei costi per rispondere al calo dei risultati finanziari.

In Bergamasca l’automotive è una filiera fondamentale per l’economia territoriale: la provincia orobica è seconda in Lombardia come numero di dipendenti (più di 4.900) e terza per numero di aziende. “La sofferenza è avvertita anche dalle nostre imprese”, ammette Agostino Piccinali, presidente del Gruppo Meccatronici di Confindustria Bergamo e chief financial officer di Scame.

Come riporta IlSole24Ore, l’export italiano verso la Germania ha perso 3,2 miliardi di euro di vendite nei primi nove mesi del 2024. La maggioranza delle industrie orobiche della filiera sono realtà specializzate nella componentistica o nell’elaborazione conto terzi e accusano la crisi del comparto auto lavorando già da anni per i costruttori tedeschi. Non sorprende dunque che in Bergamasca le esportazioni verso Berlino si siano fermate a 894 milioni di euro registrando un -2,9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: i committenti tedeschi (ma anche Stellantis, che deve ora fronteggiare le dimissioni del Ceo Tavares) hanno rivisto o cancellato ordini che erano già arrivati negli stabilimenti nostrani.

“L’industria meccatronica bergamasca è variegata – spiega Piccinali -. Il 40% delle aziende associate a Confindustria si trovano in questo settore e la loro diversità ci consente di ammortizzare la crisi. L’automotive è certamente in grande difficoltà, ma anche gli ordinativi dei produttori di macchine utensili sono in discesa da tempo”.

Se la filiera sta attraversando uno dei momenti più complicati della sua storia non è certamente da imputare all’impatto sul mercato delle auto elettriche. L’Ue nel 2021 ha stabilito come dal 2035 sarà vietata la vendita di auto con motore endotermico, un diktat di fronte al quale l’automotive europeo “non si è mosso con la giusta velocità, calcando la mano sui prezzi delle auto in vendita piuttosto che sullo sviluppo di veicoli elettrici a prezzi accessibili”.

L’Europa si è fatta battere dalle industrie cinesi che arrivano sul mercato con prezzi più bassi nell’elettrico e hanno di conseguenza ridotto le importazioni dalla Germania, creando una sovrapproduzione negli stabilimenti tedeschi. A questo si aggiunge un trend ‘demografico’ con i giovani, specialmente quelli che risiedono in città, che tendono a non acquistare più l’auto sfruttando un’altra tipologia di mobilità. “L’evoluzione dell’auto ha i suoi ritmi – continua Piccinali -. Nel processo di decarbonizzazione l’auto elettrica pur non essendo l’unica soluzione avrà un  ruolo centrale. Pare che si sia perso di vista l’obiettivo iniziale, la transizione ecologica”.

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In Bergamasca non ci sono ad oggi evidenze di una riduzione nel numero di addetti al comparto auto, mentre il rallentamento ha causato una diminuzione della domanda delle aziende di profili professionali: “Si è creata una maggiore circolazione di figure altamente specializzate che tendono a cercare un’altra collocazione”.

Accertata invece la crescita delle richieste di cassa integrazione nelle imprese della filiera, un incremento progressivo registrato fin dall’inizio dell’anno. “Fino a settembre si trattava di una logica precauzionale: vista la scarsità di portafogli e ordini le aziende avevano iniziato ad aumentare la richiesta di ammortizzatori sociali per farsi trovare pronte per ogni evenienza – spiega Luca Nieri, segretario generale Fim Cisl Bergamo -. Negli ultimi mesi la cassa è diventata lo strumento per rispondere ai cali produttivi”.

A causa del progressivo peggioramento in tutto il settore manifatturiero, nel settore della meccanica si registra un raddoppio dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Per spiegare il dato bisogna tenere conto delle specificità delle aziende bergamasche, orientate all’esportazione: la recessione in Germania – che rappresentava un cliente ‘pesante’ – e il peggioramento dell’automotive europeo hanno determinato forte preoccupazione tra i vertici bergamaschi del settore.

“Molte imprese si trovano in una ‘secca’ dalla quale fanno fatica a ripartire – sottolinea il numero uno della Fim provinciale -. Se i numeri della cassa integrazione, strumento penalizzante, non sono esplosi è anche grazie all’utilizzo che le imprese hanno fatto delle ferie e dei permessi. In termini occupazionali sono i lavoratori in somministrazione che hanno già iniziato a pagare questo preoccupante quadro”.

Rispetto ai timori della prima ora, in Bergamasca la cassa integrazione è tuttavia cresciuta meno di quanto si poteva immaginare, seppur le medie siano superiori rispetto allo scorso anno; anche l’effettivo utilizzo delle ore rimane inferiore rispetto all’ammontare complessivo concesso (intorno al 30/40%, ndr). “Il termometro della cassa non è attualmente pari al sentiment della produzione – spiega Orazio Amboni, dell’Ufficio Studi della Cgil -. Certo, le ricadute sui versanti occupazionali nel settore meccanico avvengono con lentezza, anche grazie ad una forza consolidata dei sindacati e dei lavoratori”.

Il quadro completo sarà disponibile solamente alla fine dell’anno con la pubblicazione dei rapporti semestrali ma secondo gli ultimi dati disponibili forniti da Fiom Cgil (risalenti a settembre 2024, ndr) l’aumento delle richieste di cassa integrazione ordinaria riguardava tutti i settori, con la meccanica in testa con 507.436 ore. Nella cassa straordinaria il settore si posizionava al secondo posto con 195.316 ore, dietro a editoria e carta stampata.

E se il 2024 seppur con difficoltà sembra essere stato superato dalla filiera, le prospettive del 2025 non sembrano lasciare intravedere un miglioramento: un buon numero di aziende bergamasche ha già optato per concedere una pausa natalizia più lunga ai dipendenti, iniziando le ferie con qualche giorno di anticipo o posticipando il rientro al lavoro, un segnale di come si debba agire in fretta se si vuole invertire il trend negativo e risollevare la catena produttiva.

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