Processo in appello bis per dieci imputati e condanna definitiva a un anno e 8 mesi per l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, per i reati di omissione di atti d’ufficio e falso ideologico in atto pubblico, e per l’allora titolare del resort Bruno Di Tommaso. Questa la decisione presa ieri pomeriggio dalla Corte di Cassazione sulla tragedia dell’hotel Rigopiano travolto e distrutto da una valanga il 18 gennaio 2017. Morirono 29 persone. “Hanno ascoltato il nostro dolore – hanno commentato i familiari delle vittime fuori dall’aula –. Ma speriamo che questa tragedia abbia insegnato qualcosa alle istituzioni, perché quelle persone potevano essere salvate”.
I giudici hanno respinto la richiesta della procura generale di riesaminare la sentenza per il prefetto, per il quale dunque restano escluse definitivamente le accuse di depistaggio e omicidio colposo plurimo. Accolta invece l’istanza di un nuovo processo – davanti alla corte d’appello di Perugia – per sei dirigenti del servizio di protezione civile della Regione Abruzzo Carlo Giovani, Carlo Visca, Pierluigi Caputi, Emidio Primavera, Sabatino Belmaggio e Vincenzo Antenucci, assolti nei primi due gradi di giudizio, per le accuse di disastro colposo e lesioni plurime colpose. Appello bis anche per l’ex sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, per il tecnico del Comune all’epoca dei fatti, Enrico Colangeli, e per i due funzionari della Provincia di Pescara Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio. Per questi quattro, già condannati in appello all’Aquila, la Cassazione ha disposto di riesaminare le loro eventuali responsabilità anche per le accuse di omicidio e lesioni colpose plurime. Ma per queste ipotesi, la prescrizione non è lontana.
Soddisfatto l’avvocato Giandomenico Caiazza, difensore del prefetto Provolo: “La sentenza cancella l’infamia a suo carico, ritenuto da molti come il principale colpevole di questa tragedia”.
Nel mirino l’autorizzazione concessa dal Comune all’hotel per i lavori, la mancata adozione del piano valanghe e il fatto di non aver preso le tre iniziative necessarie in quella emergenza, e cioè chiudere la strada, sgomberarla dalla neve ed evacuare l’hotel.
“Per la prima volta siamo usciti con le lacrime di gioia – ha commentato dopo la sentenza Paola Ferretti, mamma del 31enne Emanuele Bonifazi di Pioraco (Macerata), che lavorava come receptionist a Rigopiano –. Finalmente la verità sta venendo fuori. Il sorriso di Emanuele non si è spento, lo hanno spento, ecco perché lotteremo fino alla fine per dargli la giustizia che merita”. “La Corte ha confermato otto condanne, tra cui quella del prefetto, ma soprattutto è significativo il fatto che abbia chiesto un processo d’appello bis per sei dirigenti della Regione che erano stati assolti” ha aggiunto Giampaolo Matrone, pasticciere di Monterotondo (Roma) che era stato tra gli 11 superstiti, ma che sotto alla valanga del Gran Sasso perse la moglie Valentina Cicioni. “Puntavamo molto alla Regione perché per noi è una parte importante del processo. Adesso fiduciosi andiamo a Perugia, pronti a combattere ancora” ha dichiarato Gianluca Tanda, presidente del Comitato vittime e fratello del 25enne Marco, di Castelraimondo (Macerata), che era in cavanza al resort –. Per l’ex prefetto di Pescara manca il depistaggio. La Cassazione ha però confermato la condanna per omissione di atti d’ufficio e per falso ideologico in atto pubblico. Provolo ha detto quindi delle bugie e pertanto rimane per noi il bugiardo. Torniamo a casa consapevoli del fatto che dobbiamo ancora lottare per la giustizia e del rischio prescrizione che incombe quasi sicuramente”.
Per gli eventuali risarcimenti, dovrà pronunciarsi la corte d’appello di Perugia, la cui sentenza comunque potrebbe di nuovo essere impugnata in Cassazione.
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