Il disegno di legge di bilancio 2025 modifica gli ambiti su cui si concentrano le agevolazioni a favore del Mezzogiorno. Fa presagire un cambio di rotta sugli incentivi agli investimenti nella Zes unica. I tasselli che mancano per un riordino efficace.
Via Decontribuzione Sud arrivano due nuove misure
Il disegno di legge di bilancio 2025 prevede la decadenza degli sgravi di “Decontribuzione Sud”, come avevamo già anticipato. Gli oneri per la finanza pubblica diminuiranno di conseguenza di 16 miliardi di euro. Il Ddl opera anche una significativa revisione delle agevolazioni per il Mezzogiorno, riassegnando ad altre due misure circa 11 miliardi delle risorse liberatesi.
La prima è il credito di imposta per gli investimenti nella Zes unica, che viene rifinanziato per il solo 2025 entro il limite di spesa di 1,6 miliardi: a differenza di Decontribuzione Sud, si tratta di un provvedimento strutturalmente coerente con la disciplina europea in materia di aiuti di stato.
La seconda consiste in un nuovo fondo, con una dotazione di oltre 9 miliardi sino al 2029, per la riduzione dei divari occupazionali e il sostegno alle attività imprenditoriali nelle regioni meridionali.
L’impostazione seguita dalla bozza di legge di bilancio conduce a due considerazioni. Innanzitutto, il disegno di legge si limita alla mera proroga annuale del credito d’imposta Zes, che ha da sempre rappresentato una delle colonne portanti del modello italiano di Zona economica speciale. Le disponibilità sino al 2029, dovute dalla cessazione di Decontribuzione Sud, avrebbero consentito un rifinanziamento pluriennale in grado di ovviare ad alcuni dei suoi attuali limiti legati all’assenza di continuità temporale, che impedisce un’efficace programmazione e realizzazione degli investimenti da parte delle imprese.
Al contrario, si è deciso di concentrare gran parte delle risorse liberate su un nuovo fondo, la cui norma istitutiva, sebbene vaga in ordine alle future modalità operative, prevede che sia utilizzato per agevolare l’acquisto di beni strumentali, ovvero il medesimo obiettivo perseguito dal credito d’imposta Zes.
In sintesi, con la legge di bilancio si rinuncia a dare continuità nel tempo a uno strumento già esistente, per introdurre una nuova misura che ha un identico scopo, ma che, dovendo trovare attuazione attraverso un decreto del presidente del Consiglio, non potrà prevedere incentivi fiscali.
Una scelta su cui possono avere inciso sia le criticità che hanno caratterizzato la fase attuativa del credito d’imposta Zes nel suo primo anno di vita, sia il nuovo indirizzo di policy della Zes unica, teso a rafforzare il presidio nazionale delle politiche industriali per il Mezzogiorno.
Questo indirizzo si persegue meglio attraverso strumenti di natura valutativa e negoziale, con cui selezionare, in coerenza con le priorità settoriali fissate dall’istituendo Piano strategico Zes, le imprese da agevolare attraverso un pacchetto integrato di sussidi e semplificazioni burocratiche.
Serve un unico centro decisionale
La strategia è in linea di principio condivisibile, ma i modesti risultati ottenuti in passato suggeriscono qualche riflessione.
Innanzitutto, andrebbe comunque preservato, e reso strutturale, un credito d’imposta orizzontale, benché in una modalità differente da quella attuale.
In particolare, sarebbe auspicabile un ritorno alle origini della misura, quando il credito era commisurato al valore degli investimenti netti, cioè eccedente gli ammortamenti dedotti nel periodo d’imposta, e non come adesso a quello di tutti gli investimenti effettuati.
La tabella 1 illustra la dimensione finanziaria di questa prima forma agevolativa, in vigore dal 1° gennaio 2016 al 28 febbraio 2017, rispetto a quella che ha caratterizzato, negli anni successivi, l’attuale versione del credito di imposta.
I costi contenuti della versione originaria, circa un quinto rispetto all’attuale, consentirebbero il (fondamentale) ripristino del carattere automatico del credito. Inoltre, si concentrerebbero i benefici a favore di quelle imprese che effettivamente contribuiscono ad aumentare lo stock di capitale privato del Mezzogiorno, indipendentemente dalla loro dimensione, settore di appartenenza o possibilità di accedere a strumenti di natura negoziale.
La seconda riflessione concerne l’effettiva realizzabilità di un approccio integrato alla localizzazione di investimenti strategici nel Mezzogiorno, che faccia capo al ministero per il Sud e la coesione.
Sarà complesso realizzarlo sino a quando i contratti di sviluppo, il principale strumento di natura negoziale per l’incentivazione al Sud di investimenti di medio-grandi dimensioni, rientreranno tra le competenze del ministero delle Imprese e del made in Italy, rimanendo così avulsi dal più generale quadro delle politiche per il Mezzogiorno, malgrado siano cospicuamente finanziati dai fondi per la coesione.
Si tratta di uno snodo cruciale per attuare concretamente le riforme degli ultimi due anni finalizzate a una centralizzazione degli strumenti e della governance della coesione, ma anche per rilanciare la Zes unica, che nel corso del suo primo anno ha mostrato non poche criticità e ritardi attuativi, come rilevato dalla Corte dei conti.
Uno snodo che può essere risolto solo attraverso la sistematizzazione delle misure agevolative di natura negoziale all’interno di un unico centro decisionale che sia responsabile del complesso delle politiche, anche infrastrutturali, per la coesione.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.
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