Un’occasione mancata o un dialogo che potrebbe svilupparsi in futuro? Per un giudizio più approfondito sulla Conferenza delle Parti numero 29 di Baku, conclusasi lo scorso 22 novembre, ci sarà da attendere. L’unica certezza è che il pianeta abbia bisogno di risposte, così come gli Stati più piccoli e meno forti economicamente di aiuto di fronte alle evoluzioni del clima. Una situazione ben evidente durante la riunione degli Stati e delle istituzioni delle Nazioni Unite in Azerbaigian.
Quadro
“La Cop ha presentato risultati poco consistenti e poco condivisi – spiega Silvia D’Andrea, dottoranda in Studi Internazionali all’Università degli Studi di Cagliari – Alcuni direbbero deludenti praticamente su tutti i fronti. Ci sono state numerose dichiarazioni, impegni e iniziative su vari dossier, ma il tema protagonista di questa Cop è stato sicuramente quello della finanza climatica, con la definizione di un nuovo obiettivo finanziario globale per sostenere i Paesi in via di sviluppo nell’adozione di politiche volte all’adattamento e alla mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. Mentre su altri temi, come la riduzione delle emissioni, l’abbandono dei combustibili fossili o anche il fondo perdite e danni c’è stato invece uno stallo. Altre questioni sono state invece direttamente rimandate alla Cop30, in vista della quale è stata stabilita una road map”.
Il nodo della finanza
La finanza climatica però ha disatteso le attese, soprattutto dei Paesi più esposti ai pericoli del cambiamento climatico. “La questione principale, che infatti vede questi paesi più vulnerabili come protagonisti, ruota attorno all’entità degli obiettivi finanziari – chiarisce D’Andrea – La Cop 29 ne ha fissato due 300 miliardi di dollari anni dai paesi sviluppati, per i quali si incoraggia anche il contributo volontario, e 1.300 miliardi di dollari da tutte le parti contraenti da destinare ai Paesi in via di sviluppo entro il 2035. Il coinvolgimento di alcuni Paesi in via di sviluppo come contributori segna un cambiamento storico. Tuttavia, il problema principale è che l’accordo non esprime chiarezza sulla forma dI erogazione, se si tratterà di sovvenzioni a fondo perduto o di prestiti. La cifra, inoltre, è sì più alta ma lontana da quella richiesta dagli esperti dell’Onu che parlavano di almeno uno sforzo da 390 miliardi. E questo ha portato i rappresentanti degli stati insulari e dei Paesi meno sviluppati economicamente a lasciare la sala degli accordi durante una sessione sul nuovo obiettivo collettivo quantificato, dichiarando che non si sono sentiti ascoltati”.
Il fantasma di Trump
La Cop tornerà il prossimo anno, quando però al governo degli Stati Uniti ci sarà Donald Trump. “La Cop29 ha visto il fantasma di Trump, ma anche l’assenza di numerosi leader mondiali – precisa D’Andrea – Il nuovo inviato speciale per il clima statunitense che ha sostituito John Kerry, John Podesta, ha rassicurato la comunità internazionale sull’impegno degli Stati Uniti durante i negoziati. Tuttavia, il ritorno di Trump non promette un futuro roseo per la lotta al cambiamento climatico da parte del Paese. Già durante la campagna elettorale, Trump aveva dichiarato di voler riportare gli Stati Uniti nuovamente fuori dall’accordo di Parigi. D’altra parte, però – conclude con un pizzico di ottimismo la dottoranda – in futuro ci si potrebbe anche aspettare un maggior impegno da parte di altri attori su questo fronte, a partire dall’Unione Europea, che è sempre stato l’attore più ambizioso, ma anche dal Regno Unito e dalla Cina, soprattutto, che è sempre più percepita come attore cruciale per la lotta al cambiamento climatico sullo scenario internazionale”.
Riascolta l’intera intervista passando da questo link: https://www.radiokalaritana.it/podcast/kalaritana-interviste/
Matteo Cardia
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