Prima i governi hanno detto sì all’auto elettrica imposta dall’Unione europea, poi non la aiutano. Il caso più recente è la Francia: meno incentivi. Peggio ancora Italia e Germania: zero incentivi. Parigi ridurrà drasticamente i sussidi per l’acquisto di elettriche nei prossimi giorni, con una nuova scala che va da 2.000 a 4.000 euro in base al reddito, in calo rispetto alla precedente fascia di 4.000-7.000 euro.
Non ci sono soldi
La mossa fa parte di sforzi più ampi per frenare la spesa pubblica e tappare un enorme buco nel bilancio dello Stato. Si aggiunge ai grattacapi delle case automobilistiche, che stanno già lottando con una domanda lenta di full electric. “Il governo rimane fermamente impegnato nell’elettrificazione dei veicoli leggeri, ma il contesto di bilancio è estremamente limitato”, ha detto il funzionario governativo ai giornalisti. L’esecutivo punta inoltre a un totale di aiuti pubblici per l’elettrificazione dei veicoli di circa 1 miliardo di euro nel 2025, in calo rispetto a poco più di 1,5 miliardi di euro di quest’anno. Circa il 70% del nuovo importo andrà ai bonus di acquisto, mentre il resto sosterrà i veicoli commerciali e finanzierà il cosiddetto piano di leasing sociale per le famiglie a basso reddito.
Fra isteria e bipolarismo politico anti auto elettrica
Bisogna che l’Ue e i governi di decidano. Se si vuole proteggere elettriche, decarbonizzazione, allora occorre investire. Come previsto dal Regolamento Ue 2019/631 del 17 aprile 2019, sostituito da quello del 2023. Si parla di misure per incentivare un maggiore tasso di rinnovo del parco veicoli, al fine di sostituire quanto prima i veicoli più vecchi. Per mantenere la competitività a livello mondiale e l’accesso ai mercati, l’Ue necessita di un quadro normativo, che contempli uno speciale incentivo nel settore dei veicoli a 0 e a basse emissioni. Un apposito meccanismo di incentivazione dovrebbe essere introdotto per facilitare la transizione verso una mobilità a emissioni zero. Urge una specifica misura transitoria per consentire l’accesso a veicoli a zero e a basse emissioni ai consumatori degli Stati membri i cui mercati sono caratterizzati da una bassa penetrazione di tali veicoli. Bisognava tenere conto delle ripercussioni economiche e sociali per salvaguardare l’occupazione e preservare la competitività dell’industria. Occorreva garantire la sicurezza della catena di approvvigionamento delle materie prime critiche. Fra isteria e bipolarismo politico, le full electric vengono dimenticate. Non è così che si guarda al futuro.
E la transizione?
La transizione verso una mobilità a zero emissioni – dice – dovrebbe essere equa e socialmente accettabile. E tenere conto degli effetti sociali lungo tutta la catena di valore del settore automobilistico. Nonché affrontare in modo proattivo le conseguenze sull’occupazione. Sono da elaborare programmi mirati a livello di Ue, nazionale e regionale per la riconversione, la riqualificazione e lo sviluppo delle competenze dei lavoratori nonché iniziative di formazione e di ricerca di un lavoro nelle comunità e nelle regioni colpite. Quindi: ieri sì all’elettrico con aiuti; oggi fine della storia.
Stazioni di ricarica
Si dovrebbe – continua il Regolamento – mantenere la leadership tecnologica dell’Ue con investimenti pubblici e privati nella ricerca e innovazione. Obiettivi teorici: la realizzazione di infrastrutture di ricarica; l’integrazione nei sistemi dell’energia; l’approvvigionamento sostenibile di materiali e la produzione sostenibile. Più il riutilizzo e il riciclaggio di batterie.
Problema Cina
Per cui, prima Ue e governi hanno voluto l’auto elettrica, in competizione con la Cina. Poi però fanno poco per competere. I dazi anti cinesi non sono armi nel libero mercato, ma segno di paura. E – alla fine – contro le elettriche, contro i consumatori.
Ma alla fine cosa vuole la Francia?
A quanto pare, adesso Parigi (dopo aver parlato per anni di incentivi dei singoli governi) vuole un unico piano bonus auto in tutta Europa, calibrato per ogni nazione europea ma uguale nelle regole. Per sostenere le prodotte nel Vecchio Continente contro quelle fatte in Cina. È questa la proposta di Marc Ferracci, ministro dell’Industria del governo francese Barnier: “Come Europa, abbiamo un problema con la domanda di auto, acuita dalla scarsa competitività e dalle pratiche commerciali sleali dei cinesi. Il principio fondante dev’essere quello di incentivare le auto europee, sia per quel che riguarda gli incentivi sia per quel che riguarda gli investimenti Ue”.
Lo schema messo nell’angolino
Gli incentivi in Francia sono condizionati all’ottenimento di un “certificato verde”: analizza anche la quantità di energia utilizzata per produrre la vettura, la provenienza, le emissioni connesse al trasporto dal luogo di produzione alla nazione dove viene venduta. Uno schema che rende le elettriche occidentali le uniche meritevoli di incentivo. Le elettriche prodotte in Cina sono penalizzate considerando le emissioni legate al trasporto via mare e all’utilizzo di energia da fonti non rinnovabili. Pareva una rivoluzione, questo schema, con un sacco di soldi dello Stato per il futuro. E invece c’è già la retromarcia.
La replica
Pechino risponde per le rime: massima lealtà; sleali sono gli europei con gli aiuti a certi settori sui cui il Dragone metterà dazi. Eppoi, attenti a come il Regno di Mezzo valuta il maxi piano europeo dei bonus: allora anche questo è un sussidio eccessivo?
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