Roma, 28 nov. (Adnkronos Salute) – Importanti novità per il trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali che in Italia colpiscono circa 250 mila persone. Guselkumab, il primo anticorpo monoclonale completamente umano diretto selettivamente contro la subunità p19 dell’Il-23, continua a dimostrarsi una terapia efficace e sicura sia nella colite ulcerosa sia nella malattia di Crohn. Lo dimostrano i dati significativi diffusi in occasione del Congresso dell’Italian Group of Inflammatory Bowel Disease (Ig-Ibd), in corso a Riccione, da Johnson & Johnson. Il farmaco – informa una nota – è l’unico anticorpo monoclonale anti Il-23 a doppia azione, progettato per neutralizzare l’infiammazione alla fonte cellulare bloccando l’Il-23 e legandosi al CD64, un recettore presente sulle cellule che producono l’Il-23 stesso. Nel nostro Paese, il farmaco è attualmente disponibile per il trattamento della psoriasi a placche da moderata a severa in pazienti adulti candidabili a una terapia sistemica e dell’artrite psoriasica attiva in pazienti adulti che hanno avuto una risposta inadeguata o che hanno mostrato intolleranza a una precedente terapia con farmaci antireumatici modificanti la malattia. Guselkumab è inoltre in fase di valutazione da parte dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema) per il trattamento di pazienti adulti con colite ulcerosa e malattia di Crohn da moderata a grave.
I dati più recenti su guselkumab, presentati nel corso di un simposio al Congresso Ig-Ibd, sono relativi allo studio Quasar, nella colite ulcerosa, e agli studi di fase 3 Galaxi 2-3 e Graviti, nella malattia di Crohn. Nel complesso, il farmaco ha dimostrato che 1 paziente su 2 tra i naïve ai trattamenti biologici e 1 paziente su 3 tra i refrattari raggiunge la remissione endoscopica. Per quanto riguarda la malattia di Crohn, i risultati hanno indicato guselkumab come l’unico anti Il-23 ad essersi dimostrato superiore a ustekinumab in un trial registrativo, nel trattamento di pazienti con malattia di Crohn sia naïve (mai trattati, ndr) sia refrattari ai trattamenti biologici. Inoltre, suggeriscono che guselkumab potrebbe diventare il primo inibitore dell’Il-23 a poter essere somministrato in modalità sia endovenosa sia sottocutanea (Sc).
Nel dettaglio, Quasar è un programma di studi multicentrici di fase 2b/3 randomizzati, in doppio-cieco, controllati con placebo, a gruppi paralleli, disegnato per valutare l’efficacia e la sicurezza di guselkumab in pazienti adulti con colite ulcerosa attiva da moderata a severa con una risposta insoddisfacente o intolleranti alla terapia convenzionale (ad esempio, tiopurine o corticosteroidi), ad altri biologici e/o Jaki (cioè antagonisti di Tnf-alpha, vedolizumab o tofacitinib).
Secondo i risultati più recenti, presentati allo scorso Congresso della United European Gastroenterology (Ueg), il farmaco ha dimostrato maggiori tassi di remissione endoscopica rispetto al placebo alla 44esima settimana in pazienti con colite ulcerosa naïve ai trattamenti biologici. La remissione endoscopica è stata raggiunta nel 38,1% dei pazienti trattati con 100 mg Sc ogni 8 settimane (q8w) e nel 41,7% dei trattati con 200 mg Sc ogni 4 settimane (q4w), rispetto al 20,4%dei pazienti trattati con placebo. Allo stesso modo, la terapia a base di guselkumab è stata associata a tassi maggiori di remissione endoscopica anche nei pazienti refrattari alle terapie biologiche. È infatti stata raggiunta nel 31,2% dei pazienti trattati con 100 mg Sc q8w e nel 23,9% dei trattati con 200 mg SC q4w, rispetto all’8% del gruppo placebo.
“I dati dello studio Quasar – commenta Alessandro Armuzzi, professore ordinario di gastroenterologia, Humanitas University, Pieve Emanuele (Milano), responsabile Unità di Malattie infiammatorie croniche intestinali (Uo Ibd), Istituto Clinico Humanitas, Rozzano (Milano) – evidenziano l’efficacia di guselkumab nell’indurre e mantenere una remissione clinica duratura, raggiungendo al contempo endpoint chiave come la remissione endoscopica e il miglioramento isto-endoscopico della mucosa. Questi risultati rappresentano il tipo di progresso necessario nei nuovi trattamenti per questa malattia infiammatoria intestinale, suggerendo che guselkumab potrebbe essere una terapia promettente per pazienti con colite ulcerosa, offrendo sollievo da sintomi disabilitanti che compromettono la qualità della loro vita quotidiana”.
Nella malattia di Crohn, Galaxi 2 e 3 sono due studi di fase 3 indipendenti, dal disegno sperimentale identico, della durata di 48 settimane, con un periodo di estensione a lungo termine in corso, che hanno incluso pazienti con malattia di Crohn da moderata a severa che non avevano risposto o erano diventati intolleranti alla terapia convenzionale (immunomodulatori o corticosteroidi) o alla terapia biologica (antagonisti del Tnf o vedolizumab). I due regimi di dosaggio testati sono stati 100 mg Sc q8w e 200 mg Sc q4w. Da una pooled analysis, i cui dati più aggiornati sono stati presentati allo scorso congresso Ueg, è emerso che guselkumab ha dimostrato tassi di remissione endoscopica maggiori rispetto a ustekinumab alla settimana 48 nei pazienti con malattia di Crohn naïve ai trattamenti biologici. La remissione endoscopica è stata raggiunta nel 44% dei pazienti trattati con 100 mg SC q8w e nel 46,1% dei trattati con 200 mg SC q4w, rispetto al 29,8% dei trattati con ustekinumab. Nei pazienti con malattia di Crohn refrattari ai farmaci biologici la remissione endoscopica è stata raggiunta nel 28,1% dei trattati con 100 mg Sc q8w e nel 28,6% con 200 mg SC q4w, rispetto al 20,5% del braccio ustekinumab.
“Questi risultati evidenziano il potenziale di guselkumab come opzione terapeutica differenziante per i pazienti con malattia di Crohn, sia in coloro che iniziano per la prima volta un trattamento biologico, sia per i pazienti che hanno fallito terapie biologiche precedenti e che tradizionalmente presentano una minore probabilità di rispondere ad altre opzioni terapeutiche – osserva Silvio Danese, direttore dell’Unità di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’Irccs Ospedale San Raffaele e professore ordinario di Gastroenterologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, Milano – Sono risultati incoraggianti che dimostrano che guselkumab è una terapia promettente, con il potenziale di rispondere alle esigenze di pazienti sia in linee precoci sia in linee più avanzate di trattamento”.
Sempre nella malattia di Crohn, Graviti è uno studio di fase 3 randomizzato, in doppio cieco, che ha valutato la terapia di induzione con guselkumab Sc (400 mg somministrato alle settimane 0, 4 e 8) in pazienti con malattia di Crohn da moderata a grave. Come nel caso degli studi Galaxi 2-3, la dose di mantenimento è stata pari a 200 mg SC q4w e 100 mg SC q8w. I dati più recenti presentati al Congresso dell’American College of Gastroenterology, evidenziano come guselkumab, già a partire dalla quarta settimana, dimostra una differenza significativa nel tasso di remissione clinica rispetto al placebo. Per quel che riguarda la terapia di induzione, alla settimana 12 oltre, la metà dei pazienti trattati (56,1%) ha raggiunto la remissione clinica rispetto al 21,4% dei gruppo placebo. Inoltre, il 44,3% del gruppo trattato ha ottenuto una risposta endoscopica, rispetto al 21,4% del placebo. Nella fase di mantenimento, alla settimana 48, il tasso di remissione clinica è stato di oltre 3 volte superiore con entrambe le dosi di mantenimento di guselkumab rispetto al placebo (60% per 100 mg Sc q8w; 66,1% 200 mg Sc q4w rispetto al 17,1% placebo). La risposta endoscopica è stata raggiunta nel 44,3% e nel 51,3% nel gruppo guselkumab 100 mg Sc q8w e 200 mg Sc q4w, rispettivamente, contro il 6,8% del placebo. La remissione endoscopica, infine, è stata raggiunta nel 30,4% e nel 38,3% del gruppo trattato con 100 mg Sc q8w e 200 mg Sc q4w rispettivamente, rispetto al 6% per cento del gruppo placebo.
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