Curiosa l’assenza dalla cronache italiane di notizie riguardo l’accordo commerciale fra Unione Europea e Mercosur (organizzazione a cui aderiscono Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay).
A Parigi e a Bruxelles invece infuriano le proteste degli agricoltori; in particolare i francesi appaiono letteralmente inferociti.
L’accordo è in effetti di straordinario valore geopolitico ed è in ballo da ben 25 anni. Iniziati gli incontri nel 1999, al culmine della voga globalizzante, non è però ancora stato ratificato dalle parti nonostante la firma del 2019. Sul piatto c’è un mercato enorme (450 milioni di abitanti la Ue, 270 il Mercosur) e interessi che riguardano lo scambio di beni strategici (per esempio i famosi metalli rari).
Da parte europea si guarda con timore all’abbattimento (fino alla eliminazione totale) dei dazi sui beni agricoli: carne bovina e avicola, zucchero, soia. L’Ue potrebbe invece esportare favorevolmente auto, macchinari, farmaceutici oltre a prodotti dell’agroindustria come formaggi, vini e liquori. Non meraviglia quindi che la Francia si schieri come capofila dei Paesi contrari, mentre la Germania (con la Spagna) sia invece apertamente favorevole.
La Francia per bloccare l’accordo ha bisogno di trovare una minoranza qualificata di 3 paesi con popolazione pari al 35% del totale Ue. Si guarda allora agli “indecisi” fra cui la Polonia e, appunto, l’Italia (nonostante la opinione, che è parsa ben contraria all’accordo, da parte del Ministro Lollobrigida). Vedremo ora.
Di certo i prodotti sudamericani sono molto lontani dagli standard ambientali e sanitari europei e dal punto di vista economico l’apertura del mercato potrebbe produrre danni elevatissimi al sistema agricolo dell’Unione.
Aggiungiamo poi che in epoca di post globalizzazione l’accordo appare (forse) un tantinello anacronistico: nel 1999 il Brasile esportava, per esempio, il 40% dei suoi prodotti agroalimentari nella Ue; oggi siamo al 13%. I fattori competitivi sono totalmente cambiati – il famelico partner principale dei sudamericani è oggi la Cina che ha già stabilito nel sub continente poderose teste di ponte all’interno di una strategia ben precisa.
Abbiamo aspettato 25 anni, forse è meglio usare ancora un poco di cautela.
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