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“Ruderi alberghieri”, per la Cassazione l’Imu va dimezzata. La Corte accoglie il ricorso della “Ischiamareterme Alberghi” #finsubito prestito immediato


La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla società “Ischiamareterme Alberghi” che insisteva per vedersi riconoscere la riduzione del 50% dell’Imu per due strutture ricettive ormai dismesse ubicate a Casamicciola, ovvero “per inagibilità del bene”.

La società difesa dall’avv. Silvio Trani, proprietaria tra l’altro anche dell’ex Hotel La Pace a Lacco Ameno, ha impugnato la sentenza di appello della Commissione tributaria regionale che le aveva dato torto, come già in precedenza la CTP. Chiamando in causa sia il Comune di Casamicciola Terme che la “SO.GE.T.– Società di Gestione Entrate e Tributi”, i cui controricorsi sono risultati vani.

Oggetto del contenzioso, l’avviso di accertamento Imu per l’anno di imposta 2015. La CTR aveva rigettato l’appello motivando che «il diritto ad ottenere la riduzione del 50% del tributo in considerazione della dichiarazione di inagibilità o di inabilità dell’immobile oggetto di tassazione è subordinato alla definizione di un apposito procedimento da instaurarsi, su impulso del contribuente, che consenta all’ente impositore di verificare la sussistenza dei relativi presupposti di fatto o in alternativa alla presentazione di una dichiarazione sostitutiva, adempimenti questi che il contribuente non aveva curato; non poteva invocarsi il giudicato di cui alla sentenza n. 1264/3/2018 della Commissione regionale tributaria, che aveva riconosciuto il diritto della società alla riduzione tariffaria per le condizioni di inagibilità dei beni, in quanto relativa ad altri anni di imposta, considerando che le citate condizioni possono mutare con decorso del tempo ed addirittura anche nel corso dell’anno solare».

LE SENTENZE PRECEDENTI

Ma l’inagibilità di quelle strutture permane nel tempo ed era ben nota al Comune. Questo ha sostenuto nel ricorso per cassazione la “Ischiamareterme Alberghi”. Evidenziando innanzitutto che «il giudice dell’appello aveva errato nel ritenere che l’inagibilità dovesse risultare in catasto poiché tale condizione di fatto dell’immobile non può essere censita».

Fatta questa importante precisazione, si ribadiva: «Gli immobili interessati erano due (rispettivamente siti in Via Fundera e Via Casamennella), iscritti in categoria D2 (attività ricettiva) e costituivano due autentici ruderi, la cui fatiscenza li rendeva da molti anni inagibili e non utilizzati, come risultato, per il primo bene, dall’allegata consulenza tecnica di ufficio redatta, nell’anno 2013, in altro procedimento e per il secondo, come desumibile dalle revoche delle licenze, nonché dalle sentenze del 2010 e del 2018 della Commissione tributaria regionale, quest’ultima passata in giudicato, sottolineando che detta condizioni di inagibilità “… è suscettibile di tendenziale stabilità nel tempo, in quanto concerne la tipologia degli immobili tassati”, richiamando sul punto l’ordinanza di questa Corte del 2021 resa tra le medesime parti, che aveva cassato con rinvio la decisione ivi impugnata, considerando che “… la società contribuente aveva dedotto circostanze asseritamente dimostrative del fatto che il Comune fosse documentalmente ed ufficialmente a conoscenza, già nelle annualità in questione, della condizione oggettiva di permanente inagibilità dell’immobile; conoscenza che poteva legittimare la riduzione dell’imposta, pur in assenza di una formale denuncia”».

GLI ELEMENTI DI PROVA

Il collegio della Quinta Sezione civile ha accolto il ricorso. Archiviando senza indugi «l’eccezione di inammissibilità dello stesso per difetto di specificità sollevata dalle controparti, avendo chiaramente la ricorrente contestato la sentenza impugnata nella parte in cui non ha riconosciuto, anche per l’anno in questione, lo stato di fatiscenza dei beni, siccome accertato (anche con pronuncia – del 2018 – passata in giudicato) nelle menzionate sentenze, nonché emergente dagli altri elementi di prova indicati nelle proprie difese».

Spiega in proposito la Corte che «la diversità degli anni di imposta (2010/2011) considerati nella sentenza del 2018 rispetto a quello oggetto di causa (2015) esclude, in presenza di circostanze fattuali (lo stato del bene) variabili nel tempo, la sussistenza, ex se, di un giudicato, il che però non permette di negare, a monte, la sua ricorrenza, dovendo, piuttosto, tale effetto misurarsi ed essere giustificato dal riscontro circa la permanenza delle condizioni fattuali su cui è caduto il giudicato; la contribuente aveva, all’uopo, dedotto nel giudizio di merito che lo stato di inabitabilità o inagibilità dei beni fosse ben noto al Comune per effetto di tale pregresso contenzioso e di altre controversie (di cui alla sentenza del Tribunale di Napoli – Sez. Ischia del 2011 ed alla sentenza della Commissione regionale tributaria del 2010, nonché per effetto delle revoche delle licenze di esercizio per l’attività alberghiera), oltre che accertato con perizia redatta da un consulente tecnico di ufficio nell’ambito del procedimento esecutivo immobiliare del 2012».

Ed è proprio la revoca delle licenze per attività alberghiera, oltre ai precedenti contenziosi, che smentisce la tesi sostenuta dal Comune.

LA DURATA DELL’AGEVOLAZIONE

La Cassazione quindi richiama le proprie sentenze in tema di Ici, di cui ha poi precisato l’applicabilità anche per l’Imu, considerato che si verte sempre su imposte relative alla proprietà di immobili. Ebbene, la Corte ha statuito che «in tema di ICI e nella ipotesi di immobile inagibile, inabitabile e comunque di fatto inutilizzato, l’imposta va ridotta al 50% e qualora dette condizioni di inagibilità o inabitabilità accertabili dall’Ente locale o comunque autocertificabili dal contribuente permangano per l’intero anno, il trattamento agevolato deve estendersi a tutto il relativo arco temporale, nonché per i periodi successivi, ove sussistano le medesime condizioni di fatto».

Ancora, «quando lo stato di inagibilità è perfettamente noto al Comune è da escludersi il pagamento dell’ICI in misura integrale anche se il contribuente non abbia presentato richiesta di usufruire del beneficio della riduzione del 50% tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente, di cui è espressione anche la regola secondo la quale al contribuente non può essere richiesta la prova dei fatti documentalmente noti all’ente impositore».

L’ERRORE DELLA CTR

Assodata la infondatezza della tesi dell’Ente, il collegio ricorda di aver già “bacchettato” la Commissione Tributaria Regionale sempre in un analogo contenzioso tra le stesse parti, ma per gli anni di imposta 2006/2008: «Questa Corte ha cassato la sentenza del giudice di appello che non si era fatta carico di accertare la sussistenza delle circostanze asseritamente dimostrative del fatto che il Comune fosse a conoscenza della condizione oggettiva di permanente inagibilità dell’immobile, richiamando sul punto sia il provvedimento di revoca delle licenze di esercizio asseritamente basato proprio su questa ragione, che l’accertamento della pregressa inagibilità permanente da parte della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania del 2010».

E dunque «Quanto precede consente di ritenere che, anche nella fattispecie in rassegna, compito del giudice di merito (fosse) sia quello di accertare per l’anno di imposta 2015 la sussistenza e quindi l’invarianza dello stato di fatto accertato con le predette sentenze, in tesi legittimante la riduzione dell’imposta anche per il diverso anno in questione».

La CTR ha sbagliato. In forza dell’accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata è stata cassata e «la causa rinviata alla Corte di giustizia di secondo grado della Campania – in diversa composizione – perché provveda ad effettuare il suindicato accertamento». Ovvero della inagibilità delle strutture e la conseguente “colpa” del Comune che aveva fatto finta di non essere al corrente della circostanza che dava diritto alla riduzione del 50% sull’Imu.





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