Spesso sembra che la voglia di innovare si fermi sulla soglia delle aziende che esportano. Tutto il resto è lamentela
Passano gli anni e le Capitali della Cultura, Bergamo cresce, eppure basta grattare la superficie di città che guarda all’Europa (o almeno oltre Ponte Chiasso) per scoprire la persistenza di un’attitudine sedimentata nei secoli. Quella riassumibile nel motto tóca negót, non toccare niente. Perché hai voglia ad avere idee, a sviluppare progetti, a varare iniziative. Sembra che ci siano ancora molti ai quali ciò che c’è non va bene, ma va ancora meno bene se qualcuno prova a cambiarlo.
Poche attività? «Città morta». Si fanno concerti? «Troppo rumore». Poche cose per Natale? «Tristezza». Arriva la ruota panoramica? «Tamarrata da Luna park». L’aeroporto ha successo? «Ma qui non si ferma nessuno». Arrivano i turisti? «Città Alta rovinata». C’è traffico? «Mancano i mezzi pubblici». Arriva il tram? «Sfregio al Parco dei Colli». Si costruisce un quartiere? «Era meglio un parco». Strutture innovative? «Cattedrale nel deserto per ricchi». Lo paga un privato? «La città ceduta a loro». E si potrebbe andare avanti per molto, sintetizzando le chiacchiere da Sentierone o da social.
Certo, a volte i problemi sono reali, a partire da una Città Alta sulla via della trasformazione in parco a tema medievale come San Gimignano. Ma spesso sembra che la voglia di innovare si fermi sulla soglia delle aziende che esportano. Ai tempi della Repubblica di Genova c’era il diritto di mugugno: i marinai venivano pagati meno in cambio della possibilità di lamentarsi. Spesso la famosa concretezza bergamasca sembra esprimersi nel fatto che qua lo si può fare gratis.
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