(Adnkronos) –
Annullare la sentenza che boccia la richiesta di revisione e considerare la “pletora di elementi di prova” a favore di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati in via definitiva all’ergastolo per la strage di Erba. E’ uno dei passaggi del ricorso in Cassazione, lungo 111 pagine, firmato dalla difesa – gli avvocati Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux – per ribaltare la sentenza della corte d’Appello di Brescia che lo scorso luglio ha bocciato la richiesta di revisione del processo per il quadruplice omicidio dell’11 dicembre del 2006. Per i legali, si legge in alcuni passaggi, la motivazione “è del tutto scollata dal contenuto dell’istanza difensiva”, per altre si connota “per l’illogicità manifesta e in altri ancora per la contraddittorietà di spessore tale da risultare percepibili e di macroscopica evidenza”. Per la difesa “il vizio di legge si apprezza anche come conseguenza della erronea interpretazione di concetti giuridici che, richiamati in modo inappropriato, costituiscono il perno su cui si innerva la motivazione” e sono le ragioni per cui la difesa chiede alla Cassazione l’annullamento della sentenza pronunciata a Brescia. Nel ricorso in Cassazione, la difesa contesta la sentenza del 10 luglio scorso quando la corte d’Appello di Brescia ha ribadito la verità sulla strage di Erba che si ripete identica da quasi 18 anni: sono stati i coniugi Romano, Olindo e Rosa Bazzi, a uccidere – a colpi di spranga e coltelli -, Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk di soli due anni, la nonna materna del piccolo Paola Galli. Le fiamme appiccate nella corte di via Diaz cancellano le tracce, ma quando gli aggressori si chiudono alle spalle la porta dell’appartamento di Raffaella si trovano di fronte, increduli, i vicini di casa: si salva per una malformazione alla carotide Mario Frigerio assalito da Olindo, viene colpita sulle scale e poi uccisa nella loro mansarda la moglie Valeria Cherubini. La difesa – nel provvedimento indirizzato alla Cassazione – prova a scardinare i tre pilastri della condanna: la testimonianza di Frigerio, la traccia di sangue sul battitacco dell’auto di Olindo di una delle vittime e le confessioni dei due imputati. Nel ricorso vengono messe in fila le “plurime acquisizioni scientifiche nuove” e i “dirompenti dati clinici nuovi – da leggere a loro volta alla luce di nuove scoperte scientifiche” che, per la difesa, mettono in dubbio la credibilità dell’unico testimone oculare. Nelle pagine si evidenzia l’aver portato all’attenzione dei giudici fatti “nuovi” e “diversi” e si sottolinea lo “strabismo motivazione” nel descrivere le fasi della morte di Valeria Cheribini. Non solo: si parla, per alcuni aspetti, di “palese illogicità” o “cortocircuito logico” e della “negazione”, operata dalla Corte bresciana, “della novità degli elementi addotti dalla difesa a sostegno della falsità delle confessioni”, con ciò risultando la sentenza “viziata sia nella interpretazione giuridica del concetto di prova nuova, sia nella motivazione, la quale risulta in più punti omessa o meramente apparente”. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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