Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sta riversando in Sardegna un fiume di denaro. Fonti ufficiali parlano di quattro miliardi di euro destinati a progetti per rimodernare l’Isola, farla ripartire puntando su innovazione, politiche green e internazionalizzazione. Ma un piano così ambizioso, paragonabile per portata ai piani di Rinascita che travolsero l’Isola negli anni Sessanta, ha davvero messo a fuoco gli obiettivi giusti per far risorgere una terra economicamente e demograficamente debole?
Le declinazioni del Pnrr
I fondi – che sulla carta stanno andando molto bene – si articolano in una vasta gamma di interventi: si parte dalla digitalizzazione di scuole, comuni e ospedali. Il nuovo sistema informativo del Brotzu, per fare un esempio, costa circa 500mila euro, mentre per Areus si parla di oltre 600mila euro. Legati alla digitalizzazione ci sono i servizi di implementazione cloud per tutti i comuni: dai 47mila euro di Baradili, il più piccolo comune dell’isola, ai quasi 921mila euro di Cagliari e agli oltre 1,3 milioni di Areus.
Ogni pubblica amministrazione dovrà dotarsi di un sistema PagoPA, con costi variabili: dai 15mila euro dei piccoli comuni agli oltre 100mila dei centri più grandi. Spazio anche all’accessibilità digitale: il Comune di Cagliari destinerà 69mila euro alle notifiche digitali, mentre nei piccoli comuni i costi saranno dimezzati. Si finanzia anche il miglioramento dei siti Internet di scuole, uffici e ospedali.
Una domanda: che senso ha dotare le amministrazioni di “nuovi motori” digitali se mancano le “strade” per farli funzionare? La fibra ottica è assente o inefficiente in molti piccoli centri e, in alcuni casi, anche nelle città maggiori. A questo il Pnrr non ha pensato.
Gli altri interventi
Internazionalizzazione delle imprese e transizione digitale: dai 30mila ai 300mila euro ad azienda. Istruzione e cultura: finanziamenti a percorsi scolastici, iniziative culturali e interventi su edifici storici. Per esempio, la biblioteca comunale di Quartu Sant’Elena riceve 500mila euro, così come il Museo delle Maschere di Mamoiada e il Museo Emilio Lussu di Armungia. Restauri e recuperi: dalla Basilica di San Saturnino a Cagliari (86mila euro per l’abbattimento delle barriere architettoniche e 700mila per gli infissi) al santuario nuragico di Serri e alla Giara di Gesturi (quasi 500mila euro ciascuno). Ci sono anche interventi multimilionari: il Comune di Ulassai primeggia con un progetto complesso da oltre otto milioni di euro.
Ampio budget agli spazi multimediali e spettacoli dal vivo, piattaforme digitali e realtà aumentata. Così come all’efficientamento energetico, all’adeguamento strutturale degli ospedali, al miglioramento della viabilità di moltissime aree, non solo urbane, e alla mitigazione del rischio idrogeologico con un importante sviluppo del verde pubblico.
Un progetto complesso, mai visto prima per una regione come la Sardegna, che potrebbe avere ricadute enormi. C’è però un nodo irrisolto. La Sardegna è una terra che invecchia, con una popolazione sempre più anziana e giovani in fuga. I dati demografici non mentono. I paesi risorgeranno davvero con una strada nuova o con il restauro di una chiesa, ma senza una fibra ottica accettabile e senza politiche che trattengano le nuove generazioni? Quattro miliardi di euro sono un’occasione irripetibile. Ma senza una visione che metta al centro le persone e il loro futuro, rischiano di essere solo un’altra, nuova, grande opportunità sprecata.
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