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Le ombre sulla Cgil arrivano in Svizzera #finsubito prestito immediato




«L’Inca Cgil fa più soldi all’estero che in Italia». C’è una fonte dietro le indagini che provano a svelare le anomalie sui patronati della Cgil finite nel mirino della trasmissione “Lo Stato delle Cose“ di Massimo Giletti, che questa sera si occuperà di quella di Zurigo, dove decine di pensionati sono stati truffati da un ex dirigente dell’Inca Cgil.

A quanto risulta al Giornale, si tratta del caso dell’ex responsabile dell’Inca Cgil Antonio Giacchetta, che avrebbe truffato 480 pensionati italiani che a lui avevano affidato le prestazioni previdenziali. Giacchetta, arrestato e condannato in via definitiva a sette anni e tre mesi dai giudici svizzeri, si sarebbe intascato circa 35 milioni di franchi svizzeri. Ma i soldi? I pensionati li hanno chiesti alla Cgil, qualcosa come 2,5 milioni di euro, che invece si chiama fuori – «è un’associazione autonoma», avrebbe detto i legali del sindacato guidato da Maurizio Landini – nonostante siano fioccate le condanne, come quella del 2020 che ha condannato il sindacato di Maurizio Landini a risarcire 350mila euro a un pensionato iscritto all’Inca di Zurigo, tanto che la Cgil ha fatto appello. Stasera scopriremo che cosa è successo veramente.

«Gli Inca meritano rispetto, per la loro storia di tanti decenni, per il loro impegno, attraverso le associazioni di diritto locale, nell’aiutare milioni di connazionali residenti all’estero ad avere dallo Stato italiano ciò a cui hanno diritto: pensioni, sussidi, prestazioni previdenziali e sociosanitarie», è la posizione ufficiale della Cgil. Peraltro, già nel 2015 lo scandalo Giacchetta aveva interessato la Cgil e il ministero del Lavoro, l’allora numero uno Susanna Camusso aveva fatto spallucce, si era detto che la Cgil italiana era stata «tirata in ballo, come altre istituzioni estranee alle vicende per ruolo e competenze, da un Comitato dei parenti delle vittime della truffa estremamente mal consigliato da avvocati noti alle vicende giudiziarie elvetiche, e non solo».

Già nel 2009 il Giornale si era occupato dello scandalo dei patronati, che allora intascavano 400 milioni l’anno. Due anni fa il primo a tuonare contro i magheggi del patronato rosso all’estero era stato il deputato Fdi poi eletto in Nord America Andrea di Giuseppe, che oggi accusa la costola di New York del sindacato di aver incassato milioni di euro negli anni per «pratiche gonfiate, soldi richiesti ai nostri connazionali all’estero per svolgere servizi gratuiti e finanziamenti ricevuti dall’Italia per lavori mai svolti». Soldi che «andrebbero restituiti», aveva detto il meloniano la scorsa settimana.
I primi indizi che all’estero stesse accadendo qualcosa di irregolare si capì durante la sua campagna elettorale. Il Giornale si era occupato dei Comites Usa, i Comitati degli italiani all’estero infarciti di pensionati morti («risultò dopo un mio controllo personale», ribadisce) molti anni prima che avrebbero continuato a ricevere sia la pensione sia le schede elettorali per votare i parlamentari eletti all’estero, tanto che la Farnesina si era mossa. «Un anno fa – dice di Giuseppe al Giornale – avevo presentato per primo alla Camera un’interpellanza sugli istituti esteri dei sindacati, sulla necessità di maggiori controlli sul loro operato e le moltissime irregolarità rilevate in seguito ad accertamenti». In aula il parlamentare Fdi ha anche mostrato il volantino di un patronato canadese aveva ospitato le primarie Pd. «Tutto questo è inaccettabile. Cosa fa Landini?», si chiede polemicamente il deputato.

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L’ipotesi del danno erariale enorme è stata segnalata in Procura a Roma da di Giuseppe, sotto scorta per le minacce ricevute dopo aver denunciato anche la compravendita di visti e passaporti in alcuni consolati italiani che qualche giorno fa è stato anche bersaglio di un fallito attentato, sventato dai suoi dipendenti nella fabbrica di Sebring in Florida che avrebbe dovuto visitare. Nell’armadietto di uno dei suoi collaboratori, i colleghi hanno ritrovato un ordigno esplosivo e hanno poi chiamato le forze dell’ordine. Secondo l’ufficio dello Sceriffo della contea di Highlands, l’attentatore sarebbe James Wayne Phillips, un 37 enne che fino a poco tempo fa lavorava nella società del deputato Fdi e che ora rischia 15 anni. «L’ordigno è un tubo metallico con il fondo chiuso e la parte superiore filettata, chiuso con un dado rimovibile con biglie di acciaio all’interno e con altre caratteristiche che ne garantiscono l’efficacia se usato come arma esplosiva», dice il report delle forze di polizia.

Certo è che con il suo lavoro il deputato di Giuseppe ha toccato torbidi interessi sugli italiani all’estero, dai brogli sul voto alle pensioni fantasma, incrostati dopo anni di malaffare impunito. È chiaro a chi dà fastidio la sua azione politica.



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