Il Tribunale di Cagliari – Sezione Procedure Concorsuali, con sentenza dell’8 novembre 2024, ha omologato forzosamente l’accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR) presentato da una società in crisi nonostante l’opposizione dell’Agenzia delle Entrate.
La decisione in parola rappresenta l’applicazione pratica e positiva del c.d. “cram down” fiscale e previdenziale, relativo all’accordo di ristrutturazione dei debiti.
La normativa di riferimento è data dagli artt. 57 e 63 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). In particolare, l’art. 63, che disciplina, appunto, il cd cram down fiscale e previdenziale, consente al tribunale di omologare forzosamente un accordo di ristrutturazione dei debiti in assenza di adesione dei creditori pubblici, purché la proposta di soddisfazione sia più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
E proprio l’applicazione del “cram down” ha permesso al Tribunale di Cagliari di omologare l’accordo di ristrutturazione nonostante l’opposizione del creditore pubblico, “dimostrando che la protezione dei valori aziendali può prevalere su una rigida applicazione degli interessi fiscali e contributivi”[1].
Da questo punto di vista, il provvedimento del Collegio sardo si evidenzia particolarmente, perché, oltre a far chiarezza sui requisiti per l’applicazione del beneficio, valorizzando la continuità aziendale al pari della tutela degli interessi dei creditori pubblici, mette in risalto la “salvaguardia della struttura produttiva e dei posti di lavoro”.
Il fatto.
Il caso oggetto della decisine in commento prende le mosse dal ricorso presentato innanzi al Tribunale del capoluogo sardo da una società srl in liquidazione e volto all’omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR), con transazione sui crediti fiscali e contributivi.
Al riguardo, la ricorrente aveva allegato “di essere imprenditrice commerciale, di possedere requisiti dimensionali superiori a quelli di cui all’art. 2, comma I, lett. d), d.lgs. 14 d.lgs 14 del 2019, di versare in stato di crisi, di far parte di un gruppo più ampio di società, di essere oggetto di domanda proposta nei suoi confronti da Agenzia delle Entrate volta alla sua liquidazione giudiziale, e, infine, di voler accedere allo strumento di soluzione della crisi consistente, appunto, nell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57, codice della crisi e dell’insolvenza, con transazione sui crediti tributari e contributivi”
Quanto alla composizione del passivo, la società aveva “rappresentato che oltre il 90% del suo credito è nei confronti dell’Erario (inteso come Agenzia delle entrate ed enti previdenziali), mentre per la restante parte è nei confronti del ceto bancario, lavoratori dipendenti e fornitori”.
Sotto il profilo dell’attivo societario, la ricorrente aveva esposto “la consistenza dei beni, mobili e immobili aziendali, procedendo alla stima dei terreni e delle cave e illustrando i crediti fiscali e verso clienti, distinguendone la concreta esigibilità”.
La società istante aveva altresì allegato “di aver raggiunto accordo di ristrutturazione” con alcuni creditori e “di voler contestualmente raggiungere transazione fiscale con Agenzia delle Entrate, INPS e INAIL, avendo ottenuto adesione da parte di quest’ultimo”.
Con particolare riferimento ai crediti erariali, l’accordo transattivo proposto dalla ricorrente prevedeva “il pagamento nell’arco temporale di sei anni del 40% del credito dell’Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate Riscossione, nonché del 45% del credito di INPS e INAIL, con ciò garantendo una soddisfazione superiore a quella che conseguirebbe all’alternativa data dalla liquidazione giudiziale”.
L’Agenzia delle Entrate si è opposta all’omologazione degli accordi di ristrutturazione.
La decisione.
Il Tribunale di Cagliari, nonostante l’opposizione dell’Agenzia dell’Entrate, ha accolto il ricorso.
Sulle condizioni per il beneficio del c.d. cram down fiscale
Preliminarmente il Tribunale isolano ha stabilito che “la disciplina applicabile … nel procedimento”, alla luce delle modifiche legislative susseguitesi nel tempo in materia di accordi di ristrutturazione dei debiti”, era da individuarsi in quella vigente al momento della proposizione della domanda (ovvero il 30.4.2024).
Ebbene, in base alla disciplina vigente all’epoca della domanda, ovvero, “ai sensi degli artt. 57, 60 e 63, d.lgs. 14 del 2019, nonché ai sensi del d.l. 69 del 2023, come convertito con legge 103 del 2023”, è possibile omologare accordi di ristrutturazione dei debiti raggiunti da imprenditore in stato di crisi, anche in mancanza di adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, a condizione che:
a) gli accordi non abbiano carattere meramente liquidatorio;
b) l’adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali sia determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1, d.lgs. 14 del 2019;
c) il credito complessivo vantato dagli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione sia pari ad almeno un quarto dell’importo complessivo dei crediti e, in caso sia inferiore, la percentuale di soddisfacimento dei crediti dell’amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie non sia inferiore al 40 per cento dell’ammontare dei rispettivi crediti, inclusi sanzioni e interessi, e la dilazione di pagamento richiesta non ecceda il periodo di dieci anni, fermo restando il pagamento dei relativi interessi di dilazione in base al tasso legale vigente nel corso di tale periodo;
d) la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione finanziaria o dei predetti enti, tenuto conto delle risultanze della relazione del professionista indipendente, sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
a) Sulla natura non meramente liquidatoria del piano proposto
Nel caso sub judice, l’amministrazione finanziaria ha contestato la sussistenza del primo presupposto, sostenendo “la natura meramente liquidatoria del piano articolato” dalla società ricorrente “in quanto fondato dapprima sull’affitto dell’azienda in esercizio ad altra società del gruppo cui appartiene la ricorrente e, quindi, sulla cessione a titolo definitivo”.
Il Tribunale non ha però condiviso l’allegazione dell’opponente.
A tal proposito è stato osservato, infatti, “che la ratio della condizione di ammissibilità dell’omologazione non è quello di imporre la continuazione dell’esercizio dell’impresa da parte della debitrice, quanto la salvaguardia della struttura produttiva e dei posti di lavoro, a prescindere dal soggetto cui poi l’impresa sia riconducibile.
Il legislatore, in altri termini, ha condizionato il beneficio del c.d. cram down, anche fiscale, tramite accordi di ristrutturazione dei debiti, all’interesse pubblico di ordine economico e sociale consistente nella salvezza di fattori produttivi operanti sul mercato e del livello occupazionale derivante”.
Pertanto, secondo il Collegio sardo, è ben possibile “che il requisito di ammissibilità dell’omologa costituito dalla continuità aziendale, può essere garantito sia direttamente che indirettamente e, in quest’ultimo caso, sia mediante l’affitto che mediante la cessione dell’azienda in esercizio”.
Ciò, secondo il giudicante, si ricava dal sistema delineato dal codice della crisi e, in particolare, dall’art. 84, comma II, d.lgs. 14 del 2019, che, pur dettato in materia di concordato preventivo, sembra espressione di un principio generale, laddove afferma che «La continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro. La continuità aziendale può essere diretta, con prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, se è prevista dal piano la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo».
Ne consegue che “la previsione dell’affitto e successiva cessione dell’azienda (…) è coerente con la condizione di omologazione degli accordi, costituiti appunto dalla continuità aziendale, così escludendosi la natura meramente liquidatoria del piano”.
b) Sull’adesione determinante dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali
Nell’ipotesi in esame è stato ritenuto sussistente anche il secondo requisito, posto che “l’adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali” risultava “determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1, d.lgs. 14 del 2019”. Infatti, il complessivo debito della società ricorrente nei confronti dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali è “nella misura di oltre il 90%, sicché la loro adesione è essenziale ai fini del raggiungimento della percentuale del 60% dei creditori”.
c) Sulla percentuale di soddisfacimento
L’Agenzia delle Entrate ha contestato anche la sussistenza della condizione di omologazione relativa alla percentuale di soddisfacimento. Tale contestazione, tuttavia, è stata ritenuta “superata dall’integrazione depositata dalla ricorrente il 24.9.2024, con la quale ha recepito il maggior debito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, garantendo il pagamento nella misura del 40%”.
d) Sulla convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria
Infine, la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali è stata ritenuta dal Tribunale “conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”.
Al riguardo è stato osservato “che i dati esposti dalla ricorrente e verificati positivamente dall’attestatore, sono nel senso che, nell’ipotesi di liquidazione giudiziale, le risorse ottenute per la soddisfazione dei creditori sarebbero inferiori rispetto a quelle a disposizioni degli stessi in caso di omologa degli accordi. Tanto è vero che, secondo quanto evidenziato dall’attestatore, il piano di risanamento porterebbe a una soddisfazione: a) pari al 40%, per l’Agenzia delle Entrate, a fronte del 9% nella liquidazione giudiziale; b) pari al 40% per l’Agenzia delle Entrate – Riscossione, contro un 8% nella liquidazione giudiziale; c) pari al 40% per INPS, contro il 16% nella liquidazione giudiziale; d) pari al 40% per INAIL, contro il 15% nella liquidazione giudiziale”.
Né, secondo il Tribunale isolano, “si giungerebbe a risultato sostanzialmente differente ove si ipotizzasse l’apertura di liquidazione giudiziale con esercizio provvisorio dell’impresa (o affitto dell’azienda a soggetto terzo, pur sempre da reperire sul mercato).
In primo luogo, perché l’apertura della predetta procedura concorsuale plausibilmente, a normativa vigente, comporterebbe la revoca delle concessioni di coltivazione delle cave.
In secondo luogo, perché in considerazione della stima del complesso aziendale e dei progressivi ribassi cui vanno incontro i beni oggetto di asta giudiziaria, il ricavato sarebbe di certo inferiore a quello ipotizzabile in ragione del piano proposto …”.
Infine, “perché comunque la liquidazione giudiziale dovrebbe intervenire prima del termine di sei anni, e la procedura di certo non potrebbe confidare del canone di affitto per il lasso di tempo che, invece, viene previsto nel piano della società ricorrente”.
All’uopo è stato sottolineato anche che, “pur opponendosi all’omologa degli accordi di ristrutturazione, Agenzia delle Entrate non contesta la convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria, anzi l’ha espressamente confermata, così come ha effettuato propria stima dei beni costituenti l’azienda, sostanzialmente coincidente con quella prodotta dalla debitrice”.
Infine, l’Agenzia delle Entrate, “dopo aver evidenziato che gli accordi già raggiunti dalla ricorrente incidono sul credito oggetto di accordo di ristrutturazione con una percentuale pari al 4,43% del debito complessivamente dichiarato” ha eccepito anche “che la percentuale sarebbe non significativa e che, in sostanza, la procedura in parola sarebbe funzionale al solo scopo della falcidia del credito erariale al di fuori ed oltre le ipotesi di legge”.
Il Collegio, però, non ha condiviso neanche quest’ulteriore allegazione dell’opponente.
È stato evidenziato, infatti, che “il legislatore non ha posto un limite inferiore (percentuale o in termini assoluti) all’ammontare dei creditori con cui il debitore deve raggiungere un accordo. Anzi, espressamente prevede la possibilità che il credito complessivo vantato dagli “altri creditori” aderenti agli accordi di ristrutturazione sia inferiore ad un quarto dell’importo complessivo dei crediti, laddove in tale ipotesi innalza il limite del soddisfacimento da garantire all’Erario.
Ne consegue che “l’organo giudicante non può … introdurre un limite (inferiore) alla percentuale degli altri creditori con cui la ricorrente deve raggiungere un accordo. Limite che, peraltro, in assenza di indicazioni legislative, non sarebbe meramente discrezionale, ma addirittura arbitrario, in quanto neanche sussistono parametri legislativi cui ancorare un’eventuale soglia inferiore. Ciò, ovviamente, salva l’ipotesi in cui i creditori con cui la ricorrente ha raggiunto un accordo non siano talmente esigui da palesare l’abuso dello strumento degli accordi di ristrutturazione, al solo fine, appunto, di ottenere la falcidia del credito erariale al di fuori dei casi di legge. Si tratta, tuttavia, di ipotesi residuale e, nel caso di specie, non ricorrente, in quanto” la società istante “ha raggiunto accordi con creditori che, sebbene costituiscano un importo piuttosto modesto in termini percentuali, non è prossimo a zero e, in termini assoluti ammonta a centinaia di migliaia di euro”.
Per tutti i motivi sopra esposti, il Tribunale di Cagliari ha omologato “forzosamente” gli accordi di ristrutturazione dei debiti raggiunti dalla società istante, con la transazione fiscale e contributiva proposta dalla ricorrente, nonostante, appunto, l’opposizione dell’Ente pubblico.
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[1] Cfr.: M. MANDICO: Omologa forzosa degli accordi di ristrutturazione dei debiti: prevalenza della continuità aziendale e dell’interesse concorsuale sul dissenso dei creditori pubblici, nota a Trib. Ancona, Sez. II, 15 maggio 2024, sempre su www.dirittodelrisparmio.it.
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