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Detenuto morto a 21 anni, dottoressa di Belcolle e poliziotto a processo per omicidio colposo #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


Morte di Hassan Sharaf: a processo per omicidio colposo la dottoressa del reparto di medicina protetta dell’ospedale di Belcolle, Elena Niniashvili, e l’agente della polizia penitenziaria Massimo Riccio, responsabile della sezione di isolamento del carcere Mammagialla. Ieri, mercoledì 13 novembre, l’udienza di ammissione delle prove davanti alla giudice Daniela Rispoli del tribunale di Viterbo, rinviata alla settimana prossima.

Sharaf, detenuto egiziano di 21 anni, è stato trovato impiccato nella sua cella di isolamento nel penitenziario Nicandro Izzo nel luglio 2018. La vicenda ha già visto una prima sentenza nei confronti di Pierpaolo D’Andria, ex direttore di Mammagialla, condannato a due mesi e venti giorni per omissione di atti d’ufficio. Assolto dall’accusa di omicidio colposo, il tribunale lo ha ritenuto responsabile del mancato trasferimento di Sharaf in una struttura minorile. Giudizio che è stato espresso in rito abbreviato, con una riduzione di pena di un terzo. Sono stati assolti, invece, l’ex comandante della polizia penitenziaria Daniele Bologna e l’agente Luca Floris, anch’essi accusati di omissione di atti d’ufficio.

Parti civili contro la dottoressa Niniashvili e il poliziotto Riccio la madre, la sorella e il cugino di Sharaf e l’associazione Antigone, impegnata nella tutela dei diritti dei detenuti. I responsabili civili sono stati identificati nel ministero della giustizia e nella Asl di Viterbo.

Ieri in aula presente anche il sostituto procuratore generale Tonino Di Bona, che sostiene l’accusa. Sharaf si è tolto la vita, a soli 21 anni, in una cella di isolamento, appendendosi con un lenzuolo, a pochi mesi dalla fine della pena e dal ritorno in libertà, previsto per settembre 2018. Poco prima di quel tragico epilogo aveva mostrato al garante dei detenuti del Lazio segni di presunte percosse che, a suo dire, sarebbero stati causati da alcuni agenti.

La denuncia aveva portato all’apertura di un’indagine per istigazione al suicidio da parte della procura di Viterbo, ma il caso era stato successivamente archiviato. Gli avvocati della famiglia Sharaf hanno però ottenuto la riapertura del caso e l’avocazione da parte della procura generale, che ha sottratto l’indagine alla procura di Viterbo per proseguirla autonomamente.

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