L’onere della prova sull’ultimazione dei lavori entro una determinata data ricade in capo al proprietario (o al responsabile dell’abuso edilizio), in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto.
Su chi ricade la prova della datazione di un’opera edilizia entro una determinata data, per beneficiare, ad esempio, di un condono edilizio o di regole urbanistiche meno restrittive? E quali documenti servono per provare che una certa opera è stata realizzata, appunto, prima di una data limite?
Ci viene ancora una volta in soccorso la giustizia amministrativa, nello specifico il Tar Lazio con la sentenza 17200/2024, che tratta il caso di un ricorso contro il parere negativo della Sporintendenza su un’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica di alcune opere.
Il Comune aveva emesso un’ordinanza di demolizione, rifiutando la sanatoria, sostenuta dal parere negativo della Soprintendenza Archeologica e dalla Regione Lazio. Il ricorrente ha contestato questi provvedimenti, affermando che le opere erano necessarie per la manutenzione del terreno e la sicurezza del corso d’acqua.
La valutazione con Google Earth
Secondo il ricorrente, la valutazione dell’impatto ambientale delle opere sarebbe stata effettuata in seguito non già ad una verifica diretta dello stato dei luoghi ma alla mera consultazione delle fotografie aeree reperibili on line con il software Google Earth, peraltro scattate in tempi e con modalità differenti, non idonee a costituire la fedele e dettagliata rappresentazione dello stato dei luoghi ad una certa data.
Ma per il TAR, che conferma la decisione di Soprintendenza e comune, si trattasi di una teoria di interventi che – siccome desumibile dalla stessa documentazione fotografica allegata alla istanza di sanatoria – ha trasformato lo stato dei luoghi, con un innegabile e sensibile impatto paesaggistico.
Inoltre:
- gli interventi hanno alterato significativamente il paesaggio, e l’area è soggetta a vincoli stringenti che impongono l’integrità delle fasce di rispetto attorno ai corsi d’acqua;
- la normativa paesaggistica permette autorizzazioni postume solo per interventi minori che non modificano lo stato dei luoghi, e l’onere della prova della conformità di tali opere spetta al richiedente;
- le autorizzazioni rilasciate dalla Provincia di Viterbo e dalla Regione Lazio riguardavano solo opere di rimozione rifiuti e potatura, non i lavori effettuati dal ricorrente.
Il ponticello della discordia
Arrivamo al punto che ci interessa di più. In ogni caso, osserva il TAR, le stesse allegazioni afferenti alla preesistenza del “ponticello” – oltre che irrilevanti ai fini che ne occupano, tenuto altresì conto della congerie di interventi edilizi realizzati in loco, tali da non consentire una loro valutazione atomistica – sono comunque rimaste prive di un sufficiente supporto probatorio.
Le prove per le opere ante 1967
Secondo il TAR, quindi, l’allegata preesistenza del più volte citato “ponticello”, in epoca antecedente al 1967, è rimasta sfornita di adeguato conforto probatorio.
E’ evidente che, se supportato da prove, l’abuso edilizio del contendere si sarebbe potuto ‘salvare’ dimostrando la sua risalenza a prima del 1967, cioè quando non era previsto il permesso di costruire per le opere fuori dai centri abitati (periodo precedente alla cd. Legge Ponte).
Sappiamo infatti che per dimostrare la regolarità edilizia e urbanistica di alcune opere edilizie realizzate prima del 1967 – cioè, come anticipato, prima dell’entrata in vigore della cd. Legge Ponte che ha introdotto l’obbligo di titolo abilitativo anche per gli immobili fuori dai centri urbani – sono necessarie delle prove circostanziate e chiare, da fornire a cura del privato. In mancanza, si tratta di abusi edilizi passibili di demolizione.
Il principio di vicinanza della prova
Infatti, “costituisce dato inveterato del diritto vivente quello in forza del quale l’onere della prova circa la ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere il condono edilizio, ovvero in un momento antecedente ad una certa data grava in capo all’istante, nella cui sfera di signoria, quale responsabile dell’abuso o proprietario, ricade la condotta“.
E ciò anche in ossequio al cd. “principio di vicinanza della prova”, in forza del quale è ragionevolmente esigibile da chi ha posto in essere le opere la produzione di evidenze documentali atte a comprovare la natura di esse opere, anche attraverso riferimenti alla effettiva consistenza dell’immobile, sia ex ante che ex post .
Il TAR, a rinforzo, ricorda anche che “ai fini della concessione del condono edilizio, l’Amministrazione, pur dovendo sempre espletare un’istruttoria adeguata anche relativamente all’epoca della edificazione (onde individuare il regime giuridico di riferimento), non deve fornire, quale condizione di legittimità per l’irrogazione della sanzione, (anche) prova certa dell’epoca di realizzazione dell’abuso. Ricade, infatti, in capo al proprietario (o al responsabile dell’abuso) l’onere di provare la data di ultimazione (con difforme destinazione d’uso) delle opere edilizie, dal momento che solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto. In difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria.
Abusi edilizi ante 1967, quali prove? Non basta una dichiarazione, serve documentazione certa
In presenza di un ordine di demolizione, l’onere di dimostrare che le opere sono legittime essendo state realizzate in assenza di titolo edilizio ma in epoca anteriore al 1967 incombe sul privato a ciò interessato. Non bastano, in tal senso, semplici dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà ma serve documentazione certa e inconfutabile.
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Quali prove servono?
Giova aggiungere, in merito, che affinchè si verifichi la legittimità delle prove, da una parte il privato deve allegare, a sostegno della tesi sulla realizzazione dell’intervento prima del 1967, elementi dotati di un alto grado di plausibilità (aeorofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione ante 1 settembre 1967) e, dall’altro, il Comune deve fornire elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio, o con variazioni essenziali, non si ravvisano nel caso di specie i parametri richiamati per ammettere il temperamento dell’onere che gravava sull’appellante.
L’onere della prova non è stato ‘assolto’
In questo caso, quindi, mancano prove certe e convincenti sulla datazione dell’opera edilizia in epoca antecedente al 1967.
Da qui nasce l’infondatezza della censura afferente ad una pretesa carenza di istruttoria, stante:
- l’allocazione dell’onere probatorio (sulla dedotta “preesistenza”), gravante in capo al ricorrente;
- in ogni caso, le risultanze documentali deponenti per l’alterazione pregnante dello stato dei luoghi, rivenienti dalla stessa documentazione fotografica posta a corredo della istanza di sanatoria, oltre che dalle immagini aeree tratte da Google Earth.
Il diniego di compatibilità paesaggistica e l’ordinanza di demolizione sono quindi assolutamente legittimi.
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