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Stellantis Melfi: “‘C’è fame di lavoro, siamo alla disperazione” #finsubito prestito immediato


Callmat (Matera), Fdm (Melfi), in 24 ore si sente il dolore di 200 famiglie sul lastrico per ‘chiusura’ aziendale. Questo odore di ‘dismissione’, in Basilicata, si fa sempre più acre ogni giorno che passa. Proprio ieri sera, un lavoratore del più importante stabilimento lucano (Stellantis) parlava con le lacrime agli occhi. “Avrei dovuto fare il turno di notte questa settimana – spiega – ma di notti non ne facciamo più da un anno, quindi avrei dovuto guadagnare, in teoria, 500 euro, invece resto a casa, Cassa Integrazione, con 30 euro al giorno. Ma la capite la differenza?”. È solo l’inizio di un urlo disperato, il suo, durato diversi minuti. “Quando hai famiglia e figli piccoli, ti senti disperato, sul lastrico, e proprio non sai come devi fare, c’è una grande fame di lavoro, ma ti fanno stare a casa, come se fosse un castigo”.

Poi l’operaio spiega cosa ha dovuto fare nell’ultimo mese per far fronte alle spese. “Se hai 1200 euro di stipendio e spese di bollette, mutuo e garantire l’essenziale alla famiglia, devi fare scelte dolorose che non avresti immaginato solo un anno fa”. Gli chiediamo a quali scelte si riferisca, e lì si apre fino in fondo. “Ho dovuto chiedere un finanziamento per poter pagare le bollette, tra utenze, elettricità, Tari, non sapevo come far fronte, a meno di dover rinunciare al pane sulla tavola”. Ed eccoci così ad un paradosso: “Se prima il prestito lo chiedevi per comprare il televisore, un elettrodomestico o per fare una settimana al mare coi bambini, ora lo devi chiedere per pagare le bollette, ma dove siamo andati a finire, devi spendere più di ciò che guadagni, ma per sopravvivere”. Una sorta di baratro, quello raccontato dal lavoratore, in cui non si intravede via d’uscita. “Ma se lo stabilimento (Stellantis, ndr) di Melfi lo acquistassero i cinesi, i giapponesi, persino i finlandesi, a noi, a questo punto interesserebbe poco, basta che ci fanno tornare a lavorare. Così invece siamo alla disperazione, senza speranza e senza futuro”.

E ancora: “Ho dei colleghi che hanno dovuto dire di no ai figli, meritevoli, che volevano proseguire gli studi, perché non ce la fanno. Ma così, se devi anche precludere una strada a un figlio, ma cosa hai lavorato a fare per 30 anni sulla linea?”. Si fatica a trovare un senso. Molti lavoratori non si raccapezzano più. “Personalmente ho partecipato allo sciopero del 18 ottobre a Roma, parteciperò a tutte le mobilitazioni possibili, perché non vedo più una luce, una speranza. E quando arrivi a questo punto ti appigli a tutto, potresti fare qualsiasi cosa, pur di far campare la tua famiglia”. E ancora. “A ottobre ho lavorato 3 giorni e a novembre ancora devo scendere in fabbrica, ma mi dite così come dobbiamo campare?”. È un continuo interrompersi, la voce dell’operaio. Strozzata da un improvviso singhiozzare che poco si addice ad un uomo di 50 anni, all’apice della propria forza lavorativa, ma che deve accontentarsi di pochi spiccioli, oggi. E domani, forse, neanche di quelli. E conclude: “Se la situazione rimane così anche nei prossimi mesi, il rischio della guerra civile, anche in Italia, potrebbe concretizzarsi davvero. Se non ce la fai a tirare avanti la famiglia, sei disposto a tutto”.

La temperatura sta salendo, anche a San Nicola di Melfi, all’interno di quello che un tempo era uno stabilimento modello, fiore all’occhiello della famiglia Agnelli. Oggi resta il simulacro di quel virtuoso esempio passato. Il passaggio all’elettrico, ma non solo quello, ha spolpato tutti i sogni. E allora tanti operai iniziano ad aggirarsi, per le vie dei paesini lucani, sempre più spaesati. Con la mannaia di mutui e bollette. E con un prestito sulle spalle che non sanno se e come riusciranno ad estinguere. Amara Lucania. E all’orizzonte si addensano, per ora, solo nuvoloni scuri. Basta guardarsi attorno, per capire. Eppure languono le soluzioni, a questa lenta, ma continua, emorragia.



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