Presentato come una svolta, il progetto di trasformare le onde del mare in energia è stato messo da parte. La ditta privata ora rischia di fallire. «Colpa di Eni». Che replica: «Accuse false»
Era stata presentata come una «importante collaborazione strategica», con tanto di campagna pubblicitaria e presentazione del progetto insieme all’allora premier Giuseppe Conte. Era il 28 ottobre del 2019, ed Eni descriveva così, a Ravenna, la sua iniziativa green: «I vantaggi per l’Italia sono notevoli, in quanto l’energia da moto ondoso può essere realizzata sfruttando lo sviluppo costiero del Paese». Sembrava l’inizio di una rivoluzione. Una brochure distribuita quel giorno magnificava una tecnologia caratterizzata da «produttività, affidabilità ed elevata replicabilità». Obiettivo: installare entro il 2025 «118 dispositivi» in Italia, tra isole minori e la Sardegna. A cinque anni di distanza, del progetto rimane ben poco.
Guerra legale in vista
Annunci a parte, c’è una piccola società – ideatrice della tecnologia – che è appena stata messa in liquidazione. Sostiene sia stata Eni ad averla spinta «verso il collasso finanziario», «abusando della posizione di dominanza e sfruttando comunicativamente tutto quello che poteva della partnership».
Critiche che la multinazionale respinge, spiegando di aver «deciso di sospendere le attività di sviluppo» perché le attività di ricerca e i test condotti «hanno evidenziato la mancanza dei presupposti tecnico/economici per poter considerare al momento concrete prospettive di scalabilità industriale della tecnologia».
Chiamato Iswec, il sistema si basa su un impianto composto da uno scafo galleggiante che contiene al suo interno un giroscopio e un generatore. In altre parole, immaginate una specie di chiatta che oscilla grazie al movimento del mare, e dentro la chiatta una sorta di grande trottola che trasforma il moto in elettricità.
Per l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), nel 2023 Iswec era uno dei 20 progetti più significativi al mondo nel suo genere. L’idea è stata appunto della Wave for Energy, in sigla W4E, uno spin off del Politecnico di Torino, creato nel 2010 da alcuni ingegneri. Nell’aprile del 2019, mentre al governo l’M5s spingeva per la rivoluzione verde, il Cane a sei zampe firmava un contratto di licenza esclusiva quinquennale con la startup.
L’accordo, secondo W4E, «prevedeva un investimento minimo da parte di Eni di 300mila euro all’anno, che sarebbe potuto arrivare – senza autorizzazioni da parte del cda del colosso – fino a 2 milioni di euro all’anno».
Com’è finita? Che nei cinque anni del contratto W4E dice di «aver ricevuto solo un terzo della somma discussa durante le trattative». Corretto? A questa e altre domande, Eni ha risposto con un’unica nota in cui, sul punto specifico, spiega di aver «sempre adempiuto a tutti gli obblighi assunti contrattualmente, inclusi gli impegni di spesa», e di riservarsi la possibilità «di tutelare la propria posizione nelle opportune sedi».
Si prospetta dunque una battaglia legale tra Davide e Golia. Anche perché, nella relazione patrimoniale aggiornata ad agosto 2024, W4E scrive che, «in virtù dei contratti intercorsi», Eni dovrebbe versarle ancora 1,9 milioni di euro «oltre al risarcimento dei gravissimi danni provocati». Il danno consisterebbe nell’aver «improvvisamente deciso di abbandonare il progetto» di Pantelleria – che prevedeva la ristrutturazione del prototipo Iswec e l’installazione davanti all’isola – dopo aver spinto la piccola impresa a «contrarre debiti».
Dimenticatoio
Ma per Eni si tratta solo di un contratto «giunto a naturale scadenza»: per la società, «il progetto prevedeva verifiche sperimentali che avevano per loro natura un rischio tecnologico intrinseco; considerati i risultati di tali verifiche, Eni ha deciso di sospendere le attività di sviluppo successive».
Di certo W4E è stata messa in liquidazione il 2 ottobre scorso, con un patrimonio netto negativo per 2,7 milioni di euro. «Dall’analisi dei libri contabili e dei contratti sottoscritti da W4E con Eni», ci ha spiegato il liquidatore, Filippo Canale, «ho potuto appurare la presenza di ingenti crediti scaduti e oggetto di contestazione. Il mancato incasso di dette somme ha comportato uno stato di tensione finanziaria e la conseguente impossibilità per la società di onorare tutti i pagamenti, in primis verso partner-fornitori».
Rischia così di finire nel dimenticatoio un progetto che sembrava molto promettente, soprattutto per le parole spese dalla controllata di Stato. Un cambio di opinione che, aspetti tecnologici a parte, riflette il mutato parere governativo sulle energie rinnovabili. Entusiasta, quello dei 5 Stelle allora al potere. A dir poco negativo, quello dell’esecutivo Meloni.
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