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La ‘ndrangheta e la coca dal Sud America: la “regia” della cosca Molè di Gioia Tauro #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


Sono almeno quattro gli indagati dell’inchiesta della Dda di Firenze accusati anche con l’aggravante di agevolazione della criminalità organizzata nell’inchiesta sul traffico di cocaina da Ecuador e Colombia verso Livorno e altri porti europei. Tra le 30 misure cautelari eseguite dalla guardia di finanza di Pisa – 23 in carcere, sei ai domiciliari, un obbligo di firma – emergono, a vario titolo, nell’accusa di associazione a delinquere per traffico internazionale di droga anche le aggravanti della transnazionalità e dell’agevolazione mafiosa. A dare il via all’inchiesta della Dda toscana antimafia sul traffico internazionale di stupefacenti, nel 2021 un controllo della guardia di finanza a Calambrone, a ridosso del porto. I militari sorprendono un gruppo di albanesi intenti a scaricare partite di droga da un container.

Il ruolo della ‘ndrina Molè di Gioia Tauro

Poi hanno corroborato le indagini le rivelazioni di un collaboratore di giustizia, un napoletano che faceva parte della ‘ndrina Molè di Gioia Tauro (in provincia di Reggio Calabria). Una volta arrestato, avrebbe ammesso di aver partecipato, nel 2022, per conto della cosca a due operazioni di recupero sventate dalle forze dell’ordine, indicando anche due “finanziatori” calabresi del traffico di droga. Nel corso delle indagini sono state sequestrate oltre 2 tonnellate di cocaina, 45 chili di hashish, 20 chili di marijuana, che avrebbero fruttato circa 70 milioni di euro. La cocaina arrivava dalla Colombia fino al porto di Livorno dove intervenivano “squadre” specializzate nel recupero della droga dai container, composte da albanesi, romeni e gli italiani, che, secondo l’accusa, erano i referenti della ‘ndrina Molè, cosca calabrese di Gioia Tauro.

A coordinare i recuperi nel porto di Livorno, hub cruciale del narcotraffico, secondo quanto emerge dalle indagini della guardia di finanza di Pisa, era un albanese di 44 anni, Albert Turja – tra gli arrestati in carcere -, residente a Santa Croce sull’Arno (Pisa) e gestore con la moglie di un B&B a Firenze, in via Martelli, accanto al duomo. In realtà, secondo gli inquirenti, Turja sarebbe l’organizzatore in Toscana della banda, attraverso un “criptofonino” manteneva i contatti con i broker in Ecuador, che finanziavano l’acquisto della droga in Colombia. Sempre lui, secondo l’accusa, avrebbe gestito l’importazione e poi la fase più delicata dell’uscita dello stupefacente dal porto di Livorno. Per portare a termine le operazioni, Turja avrebbe complici dentro il porto livornese. Le indagini proseguono.



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