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Riforma degli IRCCS, a che punto siamo? #finsubito prestito immediato


Proprio in queste ore entra in servizio il nuovo Direttore Generale della Ricerca e dell’Innovazione in Sanità del Ministero della Salute, Graziano Lardo: sarà lui il primo interlocutore del sistema degli IRCCS

Fondi, personale e territorio. Sono questi i tre nodi che vengono al pettine quando si affronta il tema IRCCS, Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico. «Se il loro numero aumenta a dismisura c’è un problema. Se i fondi che vengono assegnati non hanno lo stesso andamento, o se restano gli stessi, allora c’è un altro problema. Se sono troppo concentrati in alcuni territori – su 52 IRCCS la Lombardia ne ha 18 e il Lazio 9, Sardegna, Calabria, Umbria, Abruzzo, Trentino-Alto Adige, Val d’Aosta nessuno – allora c’è un altro problema ancora. Se non si mantengono valutazioni scientifiche rigorose che li equiparano a standard internazionali e non si revoca il riconoscimento di IRCCS a chi perde quel livello – cosa mai avvenuta finora – allora i problemi aumentano. Se si diluisce troppo il carattere monospecialistico a favore dei grandi policlinici multidisciplinari allora nuovi problemi possono manifestarsi. E, infine, se non si stabilizza e valorizza il personale che fa ricerca, tutti quei problemi sono destinati ad ingigantirsi».

Il cahiers de doléances compilato per TrendSanità da un esperto del settore non vuole essere un’ombra sul fondamentale ruolo che hanno gli IRCCS per la ricerca sanitaria italiana, tutt’altro. Questi nodi sono gli stessi affrontati anche dalla riforma approvata e resa operativa tra il 2022 e il 2023 e scioglierli vorrebbe dire difendere e rafforzare la missione e il ruolo d’eccellenza che gli istituti hanno da quasi 90 anni.

«Uno dei miei primi atti da Ministro è stata proprio la legge di riordino di questi Istituti, volta a potenziare la rete degli IRCCS e a sostenere la loro capacità di trasferire efficacemente l’innovazione e la conoscenza dai laboratori alla cura dei pazienti» dichiarava il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, in occasione del “compleanno” dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena.

Storia

Iniziarono la storia IRCCS proprio l’Istituto Regina Elena di Roma e l’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano con il Regio Decreto del 1938, Norme generali per l’ordinamento dei servizi e del personale sanitario degli ospedali, che distingueva questi istituti dagli ospedali tradizionali per la loro duplice missione: non solo fornire servizi di ricovero e cura, ma condurre anche attività di ricerca scientifica. Seguì Napoli, qualche anno dopo, con la Fondazione Pascale, anch’essa con un focus sui tumori. Il loro obiettivo innovativo era quello di migliorare l’assistenza sanitaria attraverso l’applicazione diretta delle scoperte scientifiche “al letto del paziente” con lo sviluppo di nuove tecniche diagnostiche, l’introduzione di strumenti terapeutici innovativi, la sperimentazione di nuove molecole e sostanze biologiche con potenziale terapeutico, lo studio di modelli organizzativi e gestionali più efficienti. Questo approccio integrato tra ricerca e cura rappresentava un esempio pionieristico di quella che oggi viene chiamata ‘ricerca traslazionale’, anticipando di decenni un modello che sarebbe diventato fondamentale nella medicina moderna in tutto il Mondo.

«Se noi oggi raggiungiamo l’88% dei casi di tumore alla mammella diagnosticati che si risolve nell’arco del quinquennio successivo alla diagnosi, lo dobbiamo sicuramente alla presa in carico tempestiva, al nostro sistema ospedaliero, ma lo dobbiamo soprattutto alla ricerca. E, in quest’ottica, quella pubblica portata avanti dagli IRCCS è fondamentale» spiega a TrendSanità Marcello Gemmato, sottosegretario alla Salute. «Ma le sfide attuali per la nostra sanità sono inedite ed enormi e la riforma degli istituti è solo uno dei tasselli di un quadro più complessivo che non può rispondere con strumenti datati a questo scenario» ammette ancora Gemmato.

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Evoluzione e derive

Un panorama dove si sono affastellate, via via, eccellenze e realtà non così brillanti, tanto da motivare il Governo attuale e il precedente a mettere mano alla materia

Proseguendo la storia degli IRCCS dai tumori si arrivò a centri che si occupavano di sistema nervoso e salute materno-infantile e poi di altri temi. Dagli anni ’70 del secolo scorso si assistette ad una crescita via via più veloce, con una vera esplosione negli ultimi anni, con il riconoscimento anche per grandi policlinici multidisciplinari e con la nascita di istituti privati inseriti nei servizi sanitari delle Regioni. Un panorama dove si sono affastellate, via via, eccellenze e realtà non così brillanti, tanto da motivare il Governo attuale e il precedente a mettere mano alla materia per fare ordine e tenere alto il livello qualitativo della ricerca e il suo impatto per il Servizio Sanitario Nazionale. «Dobbiamo spingere e accorciare i tempi, c’è una lentezza burocratica tra ricerca e messa in pratica. Dobbiamo puntare sul proof of concept per portare la ricerca a determinare un beneficio per i pazienti e per tutto il SSN» diceva qualche mese fa ai microfoni di TrendSanità Maria Rosa Campitiello, Capo Dipartimento della prevenzione, della ricerca e delle emergenze del Ministero della Salute, in un commento alla riforma.

Fondi

È sotto gli occhi di tutti il caso IRCCS Santa Lucia di Roma, dedicato alla neuroriabilitazione ospedaliera di alta specialità e alla ricerca nelle neuroscienze, sommerso da 300 milioni di euro di debiti

Il tema del finanziamento degli IRCCS, al netto della capacità di attrarre fondi per la ricerca pubblici e privati, cade sotto il tema più generale delle crescenti difficoltà nel finanziare tutta la sanità italiana. È intuitivo che, con un numero crescente di strutture pubbliche, anche i finanziamenti andrebbero accresciuti per non generare una complicata corsa “fratricida” a garantirsi le risorse facendo restare qualcuno a bocca asciutta. Il finanziamento ministeriale corrente prevede 5 criteri diversamente pesati: un 55% per la produzione scientifica, un 20% per l’attività assistenziale, un 10% per la capacità di operare in rete, un 10% per la capacità di attrarre risorse e un 5% per il trasferimento tecnologico. Un sistema di valutazione che, nonostante gli aggiustamenti, negli ultimi tempi ha subito critiche perché tende a privilegiare indicatori quantitativi come il numero di pubblicazioni, che sappiamo essere soggetto a pericolose derive, rischiando di mettere in secondo piano l’impatto reale sulla salute dei pazienti. Inoltre, viene evidenziato da più parti il rischio che la penuria di finanziamenti pubblici e la necessità di attrarre finanziamenti privati possa orientare la ricerca verso ambiti più “redditizi”, a scapito di settori ugualmente importanti ma meno attraenti per gli investitori. Così come è sotto gli occhi di tutti il caso IRCCS Santa Lucia di Roma, dedicato alla neuroriabilitazione ospedaliera di alta specialità e alla ricerca nelle neuroscienze, sommerso da 300 milioni di euro di debiti e su cui è dovuto intervenire il Governo nell’agosto scorso versando 11 milioni per garantire il pagamento degli stipendi arretrati agli oltre 800 dipendenti.

Personale

La riforma degli IRCCS «recepisce solo parzialmente, e in maniera confusa, la richiesta di introduzione di una percentuale minima di personale dedicato alla ricerca. Non ha individuato un vero percorso di stabilizzazione del personale della ricerca e di supporto» scriveva la CGIL in una nota a commento del Decreto legislativo 200 del 23 dicembre 2022. E quello del personale dedicato alla ricerca è un tema ricorrente quando si tratta di questi istituti. Attualmente sono circa 10mila i ricercatori impegnati e molto si è fatto negli ultimi anni per inquadrare al meglio la loro figura e limitare la “fuga di cervelli” verso altro Paesi. A partire dalla riforma della cosiddetta “piramide della ricerca sanitaria” si è cercato di coniugare le esigenze del settore, caratterizzato in tutti i Paesi da flessibilità, mobilità e da una competizione giocata a suon di assegni, con quelle proprie dei ricercatori di avere stabilità economica e continuità nel rapporto di lavoro. Ma le complesse procedure di attuazione di quelle norme ancora non sono andate compiutamente a regime e negli istituti ancora convivono figure atipiche con borse di studio, co.co.co. e partite IVA, mentre vanno avanti le battaglie sindacali e giuridiche per vedere riconosciuti diritti maturati nei 13 anni di precariato che, in media, ha svolto un ricercatore IRCCS.

Territorio

Da poco è arrivato uno stanziamento di 20 milioni di euro in favore degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico da destinare alla cura di cittadini residenti in Regioni diverse da quelle di appartenenza

La distribuzione geografica degli istituti rivela il terzo elemento di disequilibrio: la forte concentrazione nel Nord Italia, con particolare densità in Lombardia, crea disparità nell’accesso alle cure d’eccellenza per i cittadini del Centro-Sud creando ulteriori ondate di spostamenti di pazienti da una Regione all’altra. Su questo aspetto il sottosegretario alla Salute, Gemmato, ha di recente applaudito per lo stanziamento di 20 milioni di euro «in favore degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, da destinare alla cura di cittadini residenti in Regioni diverse da quelle di appartenenza». E, intanto, la riforma dovrebbe essere all’opera per procedere a razionalizzarne funzioni e distribuzione collegando maggiormente gli istituti al territorio dove operano e definendo le modalità di individuazione di un ambito di riferimento per ciascuna area tematica, per rendere la valutazione per l’attribuzione della qualifica IRCCS più coerente con le necessità dei diversi territori in virtù del criterio del “bacino minimo di utenza su base territoriale” introdotto dalla norma. Così, mentre in tanti bussano al portone di Lungotevere Ripa per ottenere l’ambito riconoscimento e tentare la corsa ai finanziamenti per la ricerca, non è remota la possibilità che qualche istituto perda il suo status.

Futuro

Il sistema IRCCS si trova oggi di fronte a nuove sfide. La medicina di precisione, l’intelligenza artificiale, la telemedicina richiedono investimenti importanti e competenze sempre più specializzate. La competizione internazionale si fa più intensa, mentre le risorse pubbliche rimangono limitate. Proprio in queste ore entra in servizio il nuovo Direttore Generale della Ricerca e dell’Innovazione in Sanità del Ministero della Salute, Graziano Lardo. Sarà lui il primo interlocutore del sistema degli IRCCS e a lui toccherà dare concretezza alla riforma per portare nel futuro una storia così stratificata.

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